Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/10/2015, a pag. 48, con il titolo "La ricerca del cedro perfetto rinsalda i legami con gli ebrei", il commento di Paolo Salom.
Paolo Salom
Un frutto, un legame antico, il nuovo pellegrinaggio. Il cedro — agrume noto più per le sue virtù salutari che per il suo sapore (il limone è certamente più popolare) — è il motivo che spinge, quando l’estate comincia a spegnersi, numerosi rabbini italiani ed europei in terra di Calabria, lungo la «riviera dei cedri». I maestri (questo è il significato proprio del termine che indica gli amministratori del culto mosaico) si spingono giù, lungo lo Stivale, per scegliere i frutti migliori che saranno poi utilizzati durante la Festa di Succoth, o Festa delle Capanne, uno dei momenti più sentiti e importanti del calendario ebraico, che cade tra settembre e ottobre. La ricerca del cedro perfetto è un rituale che risale alla notte dei tempi, quando gli ebrei — così come prescritto nel Pentateuco, i cinque libri della Torah — sono tenuti a portare in processione in sinagoga quattro vegetali: mirto, salice, palma e, appunto, il cedro.
È una festa, quella di Succoth, dalla doppia valenza, agricola (celebra la fine del raccolto) e identitaria (ricorda i 40 anni trascorsi nel deserto dopo la fuga dall’Egitto). E in qualche modo, grazie alla qualità e alla bellezza dei cedri di Calabria, ha permesso la riscoperta da parte degli ebrei di una terra nella quale vissero per secoli, fino al (disgraziatissimo) arrivo degli spagnoli. I quali, come da editto del 1492, provvedevano a cacciare i discendenti di Mosè da qualunque luogo loro si trovassero a governare. Ma ecco che la natura e la particolarità del clima calabrese, nella sua costa tirrenica, da Tortora a Cetraro, ha costellato le colline che digradano verso il mare del verde intenso di alberi la cui origine si perde nella notte dei tempi. Forse sono arrivati al seguito dei soldati di Alessandro Magno o, addirittura, durante la colonizzazione ellenica del Metaponto, quando molti dei nuovi abitanti erano ebrei.
Una storia antichissima dunque. Un legame rinnovato grazie alla tradizione che da decenni spinge a un pellegrinaggio forse un po’ fuori dal comune. Ma osservato senza più curiosità dai residenti, ormai abituati all’arrivo dei rabbini con i loro copricapo (le kippoth) che non si tolgono mai per ricordarsi «che in Cielo c’è qualcuno più importante di noi». Il rituale della scelta dei «cedri più belli dell’albero più bello» è semplice e complesso allo stesso tempo. Il rabbino precede l’agricoltore che lo segue reggendo un cesto di vimini.
Prima di tutto osserva i tronchi, perché l’albero non deve essere cresciuto da innesto di talea. Quando si trova finalmente di fronte al «principe» della tenuta, il religioso si sdraia sul terreno, per osservare i frutti dal basso, schivando le spine dei rami. Poi indica al suo compare di «caccia» i cedri migliori che, prima di entrare nella cesta, devono superare tuttavia un ultimo esame visivo: la loro buccia non deve presentare macchie o imperfezioni e anche la forma deve avere un andamento armonioso. A quel punto, l’agrume, che è ancora di colore verde intenso, può prendere la strada delle diverse comunità ebraiche del nostro Paese e d’Europa per fare da protagonista durante le festose celebrazioni di Succoth. Naturalmente, il cedro non viene coltivato soltanto per l’uso nelle sinagoghe. È un frutto dalle celebrate qualità fitocosmetiche e ormai fa la parte del leone nell’industria alimentare, in particolare nella produzione dolciaria, dei liquori e delle bevande (chi non ha mai gustato una cedrata?). Tuttavia, a noi piace pensare che il ruolo più importante — e inconsueto — sia quello rituale. Se non altro perché ha riportato un popolo a riscoprire una terra, la Calabria, che le è stata amica per secoli.
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