Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/10/2015, a pag. 53, con il titolo "A proposito di sindaci: un ricordo di Nathan", la risposta di Sergio Romano alla lettera di Andrea Sillioni.
Questo pezzo di Sergio Romano ricorda lo storico che è stato prima della pubblicazione di "Lettera a un amico ebreo" (1997), un libro che segnò il suo passaggio da amico di Israele ad avversario.
La figura di Nathan è tratteggiata, in questo caso, nel rispetto della realtà storica.
Ecco la lettera e la risposta di Romano:
Sergio Romano
Le prime pagine non fanno che parlare del primo cittadino della Capitale, dei suoi errori, degli errori dei suoi predecessori e della difficoltà di amministrare Roma. Da più parti è ricordata favorevolmente la figura di Ernesto Nathan, alta figura mazziniana che ha gestito Roma per sei anni all’inizio del Novecento. Secondo le sue informazioni, il massone Nathan, può essere veramente considerato un buon amministratore?
Andrea Sillioni
a.sillioni@yahoo.it
Ernesto Nathan
Caro Sillioni,
Ernesto Nathan appartiene anzitutto alla storia dell’ebraismo italiano negli anni del Risorgimento. Il padre era un uomo d’affari tedesco emigrato in Gran Bretagna nei primi decenni dell’Ottocento; ma la madre, Sara Levi, era nata a Pesaro e aveva un forte legame familiare con un’altra famiglia ebraica, i Rosselli, che erano in affari con uffici di commercio a Livorno e a Londra. Grazie a Sara e ai Rosselli, la casa dei genitori di Ernesto divenne il luogo dove Mazzini e gli esuli italiani a Londra erano certi di trovare accoglienza e sostegno. La morte del padre, nel 1859, cambiò la vita della famiglia. Sara tornò in Italia e divenne da quel momento la maggiore collaboratrice di Mazzini, la custode dei suoi documenti, la promotrice della sua immagine.
Ernesto, allora quattordicenne, la seguì, completò gli studi in Italia, crebbe nel culto di Mazzini e divenne, dopo la conquista di Roma, il direttore amministrativo del giornale mazziniano della capitale. Da allora si sarebbe mosso all’interno di quel mondo democratico, radicale, repubblicano e massone che si appellava a Mazzini e alla sua eredità intellettuale. Ma avrebbe sempre agito con realismo e pragmatismo. Sapeva che l’unità era ormai strettamente legata al ruolo della monarchia nella storia nazionale e la sua maggiore ambizione, dopo la morte di Mazzini, fu quella di ottenere che il fondatore della «Giovane Italia» venisse annoverato, come Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi, fra i creatori dello Stato nazionale. Vi riuscì nel 1904 quando Vittorio Emanuele III firmò il decreto che autorizzò l’«Edizione nazionale delle opere». Ma l’inaugurazione a Roma di un monumento a Mazzini dovette attendere l’avvento della Repubblica ed ebbe luogo soltanto nel 1949 (il monumento era stato realizzato nel 1929). Contemporaneamente Nathan si rivelò uno straordinario agitatore civile e un infaticabile promotore di iniziative sociali. Concentrò molte delle sue energie sui problemi di una capitale che doveva scrollarsi di dosso qualche secolo di governo clericale.
La sua lunga presenza in Comune, prima come consigliere comunale, poi come sindaco dal 1907 al 1913, gli permise di dedicarsi interamente ad alcune grandi esigenze della città: l’edilizia scolastica, la municipalizzazione dei servizi pubblici, i sistemi di fognatura, le associazioni di quartiere, il risanamento dell’Agro romano, la costruzione di ponti e monumenti che avrebbero abbellito e modernizzato la capitale. Mise a frutto, come sindaco, tutte le qualità della sua triplice formazione: britannica, ebraica e italiana.
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