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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
13.10.2015 Stato islamico: le mosse di Renzi, mentre Russia e Usa accelerano
Analisi di Angelo Panebianco, Maurizio Molinari

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Angelo Panebianco - Maurizio Molinari
Titolo: «Il dovere della verità sull'Isis - Bombe russe, missili Usa: in Siria guerra per procura fra le due superpotenze»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/10/2015, a pag. 1-30, con il titolo "Il dovere della verità sull'Isis", l'editoriale di Angelo Panebianco; dalla STAMPA, a pag. 7, con il titolo "Bombe russe, missili Usa: in Siria guerra per procura fra le due superpotenze", l'analisi di Maurizio Molinari.

Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Angelo Panebianco:  "Il dovere della verità sull'Isis"

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Angelo Panebianco

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Matteo Renzi

Se qualcuno vorrà scommettere sulla capacità di Matteo Renzi di continuare a sconfiggere i suoi nemici, vincere le prossime elezioni e governare a lungo, dovrà essere consapevole del fatto che si tratterà di una scommessa al buio. A occhio, le probabilità sono fifty fifty , cinquanta per cento a favore di Renzi e cinquanta contro. A suo favore giocano diversi fattori.

Innanzitutto, la sua personalità: il suo fortissimo istinto per il potere unito a una non comune disponibilità al rischio. Nell’avventura di Renzi sembra trovare molte conferme il detto secondo cui la fortuna arride agli audaci. In secondo luogo, il fatto che, per un concorso di circostanze, egli non sia sostenuto solo da coloro che lo apprezzano. Gode anche dell’appoggio di molti a cui non piace ma che pensano di lui ciò che Winston Churchill pensava della democrazia: la peggiore soluzione escluse tutte le altre. Poi c’è il fatto che, come ormai è accertato, Renzi riuscirà a portare a casa la riforma costituzionale. Liquidare il bicameralismo simmetrico non è fare una «riformetta»: significa cambiare la «costituzione materiale» del Paese, ristrutturare le regole del gioco. Anche se non è garantito, colui che riesce a farlo, di solito, si trova in vantaggio nella competizione politica successiva. Da ultimo, c’è la ripresa economica in atto. Se la tendenza si confermerà Renzi se ne prenderà tutto il merito. Ciò gli darà un fortissimo vantaggio rispetto agli avversari.

Fin qui le probabilità a suo favore. Le probabilità contro dipendono dal fatto che la politica nostrana non è un compartimento stagno, isolabile dal resto del mondo. Sono le conseguenze dell’irruzione del mondo esterno nelle nostre vicende interne che possono, politicamente parlando, tagliare le gambe a Renzi. In parte a causa della visione del mondo che impregna segmenti rilevanti della coalizione sociopolitica che sostiene il suo governo e, in parte, forse, anche a causa dell’incapacità di Renzi di emanciparsi del tutto dal suo passato «scoutistico» (e lapiriano). In tempi di grandi emergenze occorrono leader capaci di dire la verità all’opinione pubblica e di trascinarsela dietro. È precisamente per questo — non certo per la battuta sopra citata sulla democrazia — che Churchill è passato alla storia come uno dei grandi statisti del XX secolo . Il modo in cui Renzi ha deciso di trattare le questioni siriana e libica non convince. Da un lato, abbiamo scelto di non contribuire con azioni di fuoco ai bombardamenti della coalizione anti Stato Islamico (lo faremo, e stiamo decidendo come e quando, solo in Iraq). Non partecipando a tali azioni di fuoco della coalizione in Siria ne restiamo membri di serie B. Corriamo rischi (i nostri aerei svolgono attività di intelligence) ma non partecipiamo a pieno titolo, col diritto di dire la nostra, all’attività decisionale della coalizione. Dall’altro lato, ci siamo dichiarati disponibili a guidare una rischiosissima missione militare (eufemisticamente descritta come peace enforcing ) contro i gruppi armati che alimentano il caos libico.

Come mai? Eppure è chiaro che le due cose sono interdipendenti, è chiaro che se non si riesce a indebolire lo Stato Islamico non sarà neppure possibile pacificare la Libia. E, inoltre, come mai, rinunciando a bombardare lo Stato Islamico, rinunciamo anche alla forza negoziale che quella partecipazione ci conferirebbe, per esempio, ai tavoli ove si decide come fronteggiare il flusso di profughi in fuga dalla Siria? La risposta è semplice. Partecipare ai bombardamenti contro lo Stato Islamico significa partecipare a una guerra che non può essere camuffata da altro. Guidare la missione in Libia significa ugualmente partecipare a una guerra ma con la possibilità — almeno nella prima fase — di camuffarla da peace enforcing . È per questo che si insiste tanto su argomenti che dovrebbero essere resi irrilevanti dallo stato di necessità in cui ci troviamo: come l’argomento secondo cui l’articolo 11 della Costituzione ci autorizzerebbe ad agire in Libia (sotto l’egida delle Nazioni Unite) ma non in Siria. Per inciso, i costituenti vollero l’articolo 11 per bollare le guerre di aggressione condotte dal fascismo. Non potevano immaginare quali manipolazioni ideologiche ne sarebbero seguite. Naturalmente, quando si scoprirà che la suddetta guerra, camuffata da peace enforcing , come tutte le guerre, lascerà sul terreno sia combattenti che vittime civili, la finzione non potrà più reggere e il governo dovrà fronteggiare la mobilitazione «pacifista» contro l’intervento in Libia.

Tipici pasticci in cui va a infilarsi un’Italia pubblica che ha ribattezzato «operatori di pace» i propri soldati e che di eufemismi sembra anche disposta a morire. Niente di quanto accade nel grande incendio mediorientale, dal crollo di interi Stati all’impennata del flusso dei profughi verso l’Europa, fino alla destabilizzazione in atto della Turchia, sembra in grado di scuotere questa Italia facendole comprendere che il mondo sicuro e pacifico in cui vivevamo fino a poco tempo fa è finito. Una incapacità che, a quanto pare, condividiamo con i tedeschi. Chi crede che le ripetute minacce del Califfo contro Roma o che le immagini di San Pietro su cui sventolano le bandiere dello Stato Islamico, siano scherzi, boutade , non ha capito nulla. Spetterebbe a Renzi spiegare all’opinione pubblica come stiano davvero le cose. Il fatto che uno di solito così loquace non abbia trovato ancora le parole giuste per spiegare la verità agli italiani, non è di buon auspicio. Per noi, prima di tutto. Ma anche per la sua futura carriera politica .

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Bombe russe, missili Usa: in Siria guerra per procura fra le due superpotenze"

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Maurizio Molinari

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Hama, Siria

L’aviazione russa intensifica i raid sulla Siria e i ribelli anti-Assad aumentano l’uso di armi americane: il conflitto per Damasco rischia di trasformarsi in una guerra per procura fra Mosca e Washington, aggiungendo un ulteriore tassello al già pericoloso mosaico della guerra iniziata nel 2011.

Il weekend appena trascorso ha visto il Cremlino raddoppiare i raid. Il ritmo oramai è di 60 al giorno, si concentrano sulle province di Hama, Latakia, Idlib e Homs martellando spesso le stesse posizioni dell’Esercito della Conquista, sostenuto da Riad ed Ankara, e di Al Nusra, emanazione di Al Qaeda, per spingerli ad arrendersi. Su Iblib e Latakia i Sukhoi russi hanno gettato migliaia di volantini in arabo, destinati ai ribelli. «Ci sono 40 tipi di munizioni che vi aspettano - recita uno di questi - e sono capaci di distruggere rifugi, bunker sotterranei e aree fortificate». «O combattente! È il momento della verità - si legge in un altro - il mondo cambia veloce, l’esercito sta arrivando, pensa a te, getta le armi e pensa al futuro».

Fonti ribelli affermano che Mosca adopera bombe a frammentazione e l’impatto sui civili è immediato se, come afferma l’inviato Onu Staffan De Mistura, «l’entrata in guerra della Russia ha innescato nuove dinamiche e causato lo spostamento di circa 40 mila civili». Ad avvantaggiarsene è l’esercito di Assad che avanza nella provincia di Hama e conquista terreno attorno ad Aleppo. E anche lo Stato Islamico (Isis) trae guadagni tattici, riuscendo ad avanzare a Hama, rubando terreno ai ribelli islamici rivali.

Rifornimenti Usa dal cielo
Ma nel Nord-Est sono gli Stati Uniti che accelerano, seppur limitandosi a forniture di armamenti. I C-17 del Pentagono hanno paracadutato nella provincia di Hassakeh oltre 45 tonnellate di munizioni destinate, secondo fonti militari alle Bbc, alle Forze democratiche siriane ovvero la coalizione di ribelli, formatasi lunedì, che vede alleati il Fronte rivoluzionario di Raqqa arabo e le unità curde del Ypg. Gli oltre cento grandi contenitori di armi «sono arrivati tutti a destinazione», aggiungono le fonti militari, e ciò significa che i ribelli arabo-curdi hanno a disposizione sistemi offensivi come i missili anti-tank Tow già forniti da Riad e Ankara all’Esercito della Conquista. Se dunque l’offensiva di Putin tende a schiacciare i ribelli filo turchi e filo-sauditi nel Nord-Ovest, il Pentagono accelera nel Nord-Est il potenziamento di unità arabo-curde armate in maniera analoga. Per far dimenticare in fretta il passo falso dei gruppi addestrati dalla Cia.

La missione di De Mistura
È una dinamica che suggerisce il possibile scenario di un conflitto indiretto in Siria fra Russia e Stati Uniti - sovrapponendosi a quello già esistente fra Iran ed Arabia Saudita - e spiega la preoccupazione di De Mistura: «Le differenze fra Mosca e Washington sembrano aumentare e ciò rischia di complicare la creazione di un Gruppo di Contatto per i colloqui di pace». De Mistura oggi sarà a Mosca e domani a Washington con un obiettivo che da Ginevra descrive così: «Evitare a tutti i costi una spartizione di fatto della Siria» dando vita a un «gruppo di lavoro che includa Usa, Russia, Arabia Saudita, Iran, Turchia e altri attori regionali». Ma il tempo sembra giocargli contro.

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