Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/10/2015, a pag. 39, con il titolo "Martin Amis, l'Olocausto e le 'Pecore in erba' ", il commento di Pierluigi Battista.
Pierluigi Battista
Martin Amis, la copertina
E' molto forte la convinzione che il ghigno del grottesco, non dunque il sorridere commosso e tenero de La vita è bella di Roberto Benigni e nemmeno l’ironia amara di Train de vie , bensì l’orrore di una satira apparentemente non sfiorata dall’ombra della pietà, possa deturpare la memoria della Shoah, profanare la sacralità che impone il ricordo dello sterminio. Sull’onda di questa convinzione la casa editrice Gallimard in Francia e la Hanser Verlag tedesca (ma in quest’ultimo caso le cose si complicano) si sono rifiutate di pubblicare il romanzo di uno scrittore famoso e di successo come Martin Amis, La zona d’interesse , che invece è uscito in questi giorni in traduzione italiana presso Einaudi, che di Amis è l’editore in Italia pressoché da sempre.
La convinzione dell’intangibilità della memoria di un evento straordinariamente tragico da proteggere dalle insidie del grottesco ha stavolta sbagliato bersaglio. Non c’è niente nelle pagine di Amis che possa provocare pena per l’accostamento blasfemo tra Auschwitz e la stupidità umana che muove al sarcasmo chi ne è spettatore, tra le camere a gas e l’umore corrosivo dello scrittore, tra l’orrore e l’idiozia, tra la morte e la frivolezza dei carnefici. Perché gli ebrei dovrebbero sentirsi offesi se i loro persecutori sono raffigurati in istantanee di ordinaria idiozia? La lettura del romanzo di Amis può risultare sgradevole, ma non offensiva, intriso com’è di umorismo macabro, non oltraggioso per la memoria del popolo che ha sofferto l’orrore indicibile della Shoah. La scelta di Gallimard e di Hanser Verlag appare perciò il frutto di un eccesso di zelo, o forse del timore di suscitare polemiche apparendo irrispettosi. Ma il rispetto può essere anche rappresentato dal sorriso, dalla satira, dall’ironia.
Alberto Caviglia, regista di "Pecore in erba"
O dall’autoironia, come si vede in quel riuscitissimo racconto delle ossessioni dell’antisemitismo, e dell’incapacità sociale di comprenderlo, che è il film Pecore in erba di Alberto Caviglia. Un film fatto con pochi soldi, ma con molte idee. Esilarante, ma capace di far pensare, comico, ma anche malinconico. Un fiore del cinema italiano povero di risorse ma ricco di intelligenza e di umorismo che sa sfidare i tabù con il sorriso e senza prosopopea. L’oltraggio non c’entra, e le scempiaggini dell’antisemitismo possono talvolta essere battute più facilmente dal sorriso che non dal pedagogismo arcigno. O dal grottesco di Amis meglio che da tante cerimonie istituzionali.
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