Riprendiamo dalla LETTURA - CORRIERE della SERA di oggi, 11/10/2015, a pag. 21, con il titolo "Dalla parte dei coloni, a colpi di matita", l'intervista di Elisabetta Rosaspina Yigal Dilmoni, autore di "Kibush Kishkush".
La facile e zoppa ironia con cui Elisabetta Rosaspina introduce l'intervista è del tutto fuori luogo. E' più che legittimo non concordare con alcune delle affermazioni di Dilmoni - siamo i primi a farlo - ma che la figura del "colono" venga demonizzata ben oltre la realtà è un dato di fatto che va di pari passo con la disinformazione su Israele. E in questo pezzo Rosaspina cede a entrambe le cose.
Ecco l'intervista:
Elisabetta Rosaspina
Yigal Dilmoni
La storia di Israele spiegata dai coloni: a fumetti. Per chi è ancora così testone da non aver capito che gli insediamenti in Cisgiordania non sono illegali. Perché la Cisgiordania non esiste. O meglio: esisteva. L'hanno liberata gli israeliani nel 1967 con la guerra dei Sei Giorni e ora va chiamata, come ai tempi della Bibbia, Giudea e Samaria. Neanche la Palestina è mai esistita, a dirla tutta. E «palestinesi» è soltanto il soprannome degli arabi che abitano, appunto, in Giudea e Samaria, dall'altra parte della vecchia Linea Verde. Per differenziarli dagli arabi israeliani, che hanno documenti israeliani. Lo sanno anche i bambini, ora che un piccolo prontuario di 22 pagine e 11 vignette è stato diffuso, con una tiratura iniziale di diecimila copie, tra i piccoli lettori affinché sappiano che cosa rispondere se qualcuno si permette ancora di chiamarli «occupanti».
Una vignetta del libro:
"Ehi, Jamil, hai bisogno di una mano?"
"Non ti disturbare. Non vorrai metterti nei guai con i gruppi di sinistra"
Mentre continua a scorrere il sangue a Gerusalemme Est, nella Città Vecchia, a Jaffa, Nazareth e altrove, nei territori, per così dire, «contesi», e mentre Abu Mazen, presidente dell'Autorità nazionale palestinese, anzi araba-di-Giudea-e-Samaria, e Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, litigano e si minacciano, senza più parlarsi direttamente, all'assemblea generale delle Nazioni Unite, la matita di un affermato caricaturista israeliano, Shlomi Charka, e la penna di Yigal Dilmoni, vice amministratore delegato del Yesha Council, il movimento dei coloni, chiariscono attraverso i personaggi gioviali e sorridenti delle loro vignette che non c'è proprio ragione di azzuffarsi.
«L'occupazione è uno scarabocchio», è una delle possibili traduzioni del titolo originale ebraico del libro, Kibush Kishkush: uno scioglilingua per indicare che tutte quelle chiacchiere sugli insediamenti, sull'esproprio di terre e ulivi palestinesi, sul ritorno ai confini del '67 sono soltanto sciocchezze. Scarabocchi. Esattamente come i negoziati che impegnano inutilmente da decenni i grandi della Terra. Accordi di Oslo? Quali accordi? Israele è una e indivisibile, le colonie nascono per restare, 400 mila coloni hanno definitivamente ritrovato la loro terra promessa. E non la lasceranno più. Definirli poi ultraortodossi è inesatto: almeno un terzo dei coloni è laico. Lo status quo in fondo non è male, tutt'al più si potrebbe migliorare un po' la qualità di vita degli arabi. Tutto il resto è kibush kishkush.
Dunque meglio impararlo fin da piccoli? «Sì, certo — risponde l'autore, Yigal Dilmoni —. È proprio ai bambini che vogliamo rivolgerci. Il nostro grande problema è che la gente non sa quel che accade veramente. Pensa che noi coloni siamo cattivi, che facciamo del male agli arabi, che combattiamo tutti i giorni per occupare una terra che non è nostra».
Davvero? E come mai lo pensa? «Perché i giornali ne parlano sempre e soltanto dal punto di vista palestinese. Sì, anche la stampa israeliana, è quasi tutta di sinistra. E quella che non lo è, non è abbastanza letta e diffusa. Tutti scrivono e parlano male degli ebrei di Giudea e Samaria. Il nostro libro insegna ai più giovani come difendersi da accuse e bugie».
Seguite gli sviluppi della politica, le trattative per arrivare alla creazione di due Stati? «Certo. C'è l'Anp in quella che voi chiamate Cisgiordania. Ma non c'è mai stato uno Stato palestinese, non c'è e non ci sarà. E' un falso. Prima di Israele, semmai, c'era il regno di Giordania. Se in inglese viene chiamata West Bank («sponda occidentale», ndr), è perché c'è una East Bank, dall'altro lato, quello che appartiene alla Giordania».
Però il popolo palestinese c'era già, e ben prima della creazione dello Stato di Israele, nel 1948. «Che cosa significa? C'erano anche gli ebrei. Pensate agli Stati Uniti d'America: anche lì c'erano gli indiani, e allora?».
Non accetterete mai la creazione di uno Stato indipendente palestinese? «Mai. Qualsiasi iniziativa in quella direzione è fallita finora. Noi non vogliamo buttare fuori gli arabi da quella che voi chiamate Cisgiordania. Nel nostro libro si illustra chiaramente come la convivenza sia possibile. Io ho anche amici arabi. Loro vengono da noi. Noi no, noi non andiamo da loro, perché abbiamo paura. Ma lavoriamo assieme. Certo, non è San Valentino tutti i giorni, non ci amiamo. Diciamo che si vive gli uni accanto agli altri abbastanza tranquillamente».
Quando qualcuno non brucia le case degli altri, con dentro famiglie e neonati. O quando qualcun altro non spara sulle auto di passaggio. «Ci sono attacchi terroristici. È vero, anche tra coloni opera una minoranza estremista e criminale, che noi condanniamo. La verità è che le relazioni tra noi e gli arabi non sono né buone né cattive. Ma migliori di quanto dica la sinistra israeliana. Io ho vissuto a Gush Katif (un blocco di insediamenti smantellati dieci anni fa nella Striscia di Gaza, ndr) e sono in Giudea e Samaria da 19 anni, a 500 metri di distanza dai villaggi arabi».
Se non avranno uno Stato proprio, i palestinesi non dovrebbero godere allora degli stessi diritti dei loro vicini israeliani? «Per me queste sono questioni troppo complicate da discutere ora in una lingua diversa dall'ebraico. Gli arabi di Giudea e Samaria vivono sotto il controllo dell'Anp, hanno elezioni e scuole palestinesi, prigioni palestinesi. Non hanno un esercito né confini. Hanno una loro autonomia, ma lo Stato può essere solo israeliano. Se Hamas diventasse uno Stato, attaccherebbe Israele, come sta già facendo adesso da Gaza. Se consegnassimo anche la Giudea e la Samaria, farebbe la stessa cosa».
Quando avete deciso di rendere più amabile la figura del colono attraverso un fumetto? «Avevamo già realizzato un piccolo libro tre anni fa, rivolto agli studenti, per raccontare loro la storia della Giudea e Samaria. Era andato bene. Così, con Shlomi, abbiamo deciso di continuare con una graphic novel indirizzata ai ragazzini che spiegasse, in modo soft, perché l'occupazione è una fandonia della sinistra israeliana».
E la vostra non è forse propaganda? «No, non è propaganda. E' il nostro punto di vista, espresso con parole o con disegni. Ma abbiamo privilegiato le immagini perché valgono più di mille parole. L'arte funziona sempre bene».
II punto di vista di una parte di Israele e di buona parte del mondo è che siano proprio le colonie e la loro continua espansione a impedire la pace. «Ce l'hanno con noi. L'Europa vuole l'etichettatura dei prodotti delle colonie per boicottarli. Ed è in corso una guerra all'ambasciatore designato da Israele in Brasile, Dani Dayan, perché era il presidente del Yesha Council. È evidente».
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