Riprendiamo dall STAMPA di oggi, 11/10/2015, a pag. 3, con il titolo "Ai ferri corti con Mosca, Iran e i ribelli, il 'Sultano' adesso conta i suoi nemici", l'analisi di Maurizio Molinari; dalla REPUBBLICA, a pag. 5, con il titolo "Questo Stato è un serial killer", l'intervista di Marco Ansaldo a Selahattin Demirtas, leader del partito curdo in Turchia.
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Ai ferri corti con Mosca, Iran e i ribelli, il 'Sultano' adesso conta i suoi nemici"
Maurizio Molinari
Recep Tayyip Erdogan
Regista di una massiccia campagna aerea contro la guerriglia curda, protagonista di rapporti ambigui con lo Stato Islamico, ai ferri corti con l’Iran e la Russia per il disaccordo sulla sorte di Bashar Assad, assediato dagli scandali interni e alle prese con l’avversario-fantasma Muhammed Fethullah Gülen: il presidente turco Recep Tayyp Erdogan è assediato da tanti e diversi avversari, contro i quali brandisce l’arma del nazionalismo nel tentativo di portare il proprio partito Akp alla vittoria nelle elezioni politiche del 1 novembre.
Il rischio escalation
«In genere sono sempre stato ottimista sul mio Paese ma ora devo ammettere il timore di violenze, esterne e interne» aveva affermato, pochi giorni fa, Soner Cagaptay, analista di Turchia al «Washington Institute», riassumendo la «somma di tensioni senza precedenti» accentratesi sulla figura del presidente turco. Il motivo è l’insolita quantità di nemici, politici e militari, che lo circondano. A cominciare dai curdi che Erdogan ha sfidato, alla fine di agosto, inaugurando un’offensiva di raid aerei sulle basi dei guerriglieri in Siria ed Iraq definita dai comandanti delle forze armate «una vera guerra» tanto più traumatica quanto ha portato al collasso dei negoziati di pace con il Partito dei lavoratori curdi (Pkk) iniziati nel 2013.
I raid sul Pkk
Sono centinaia i curdi uccisi dall’inizio dei raid a fine agosto, sommandosi a quanto avvenuto a fine anno, con i tank turchi immobili davanti alla cittadina siriana di Kobane dove i peshmerga curdi tentavano di resistere a Isis. Il conflitto contro i curdi, per impedire la creazione di loro zone autonome in Siria lungo i confini turchi, si accompagna alle ambiguità con lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi. Se dal 2013 Ankara gli ha fatto arrivare armi, rifornimenti e volontari attraverso il proprio territorio - al punto da meritare il termine «autostrada della Jiahd» nei documenti Nato - la scelta di unirsi alla coalizione guidata dagli Usa ha portato Isis a diffondere video nei quali si accusa Erdogan di «tradimento» minacciando sanguinose rappresaglie. Ciò significa che il disegno ambizioso di Erdogan di sostenere i movimenti islamici nel mondo arabo - dall’Egitto alla Giordania, da Gaza alla Libia - per creare un’area di influenza neo-ottomana si sta trasformando in un pericoloso boomerang.
Sono conseguenze della guerra in Siria, dove Erdogan vuole far cadere a tutti i costi il regime di Assad sostenuto con armi, uomini e miliardi di dollari dagli ayatollah di Teheran come dal Cremlino. Questo il motivo per cui Erdogan è divenuto il principale avversario dell’intervento russo in Siria grazie a gruppi ribelli come Ahrar al-Sham in grado di insidiare Damasco e Latakia. Come se non bastasse c’è il fronte interno ovvero una raffica di scandali di corruzione che lambiscono famiglia e collaboratori di Erdogan, la cui reazione è di attribuirli a Fethullah Gülen, l’oppositore in auto-esilio a Filadelfia, a cui attribuisce la capacità di «attivare ogni ramo dell’apparato turco per rovesciare il governo».
LA REPUBBLICA - Marco Ansaldo: "Questo Stato è un serial killer"
Marco Ansaldo
Selahattin Demirtas
«Ora basta. L’attentato di oggi qui ad Ankara è un atto codardo. Qui si vuole creare una strategia della tensione prima del voto. Sul luogo della strage la polizia lanciava i gas lacrimogeni contro i soccorritori dei feriti. Tutti devono sapere che queste bombe vigliacche non ci fermeranno. Questo Stato è come un serial killer». Davanti alla stazione ferroviaria nella capitale turca, Selahattin Demirtas ha una ragione in piu’ per scagliarsi contro la strage. I suoi consiglieri, strettiglisi intorno mentre ad Ankara ha convocato i giornalisti per parlare con i media, dicono che il vero obiettivo era lui. Non è un caso se questo avvocato di 42 anni, leader curdo e vero avversario politico del presidente Tayyip Erdogan, da cinque mesi il leader curdo gira con una scorta.
Accuse molto dure. Come le motiva? «Il partito di Erdogan, ha le mani sporche di sangue. Per lunghi mesi abbiamo cercato di arrivare a un governo condiviso. Ma, nonostante la sconfitta elettorale, voleva a tutti costi tornare a governare da solo. Così il governo e l’esercito hanno ricominciato la guerra contro i curdi nel sud est del Paese. Adesso e’ ora di dire chiaramente che questo partito sostiene il terrorismo».
Ma le elezioni del prossimo 1 novembre potranno portare chiarezza? «Il popolo della Turchia ha tutto il diritto di esprimersi, ci deve essere libertà, ma sembra costretto a sostenere il governo. Perché in questo Paese chiunque parla contro il governo viene distrutto».
Che interpretazione dà della strage? «Ogni volta che cominciamo la campagna elettorale arriva un attentato. Lo abbiamo visto a Suruc, in una strage che l’Is non ha mai rivendicato. Il partito curdo è sotto tiro. Il bersaglio sono sempre i nostri simpatizzanti, con le stesse modalità».
Ora lei come pensa di reagire? «Il governo ci vuole far tacere, non ci riuscirà. Continueremo la nostra battaglia pacifica fino all’ultima goccia di sangue».
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