Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 10/10/2015, a pag. 25, con il titolo "Turchia, in carcere per un tweet", cronaca e commento di Marco Ansaldo.
Marco Ansaldo
Recep Tayyip Erdogan
MANETTE per un tweet. Un messaggio di 140 caratteri, critico verso il capo dello Stato, e l’ordine di arresto si abbatte sul direttore di un quotidiano. Accade nella Turchia che fra tre settimane va nuovamente a votare, in un clima esasperato, dopo che il risultato deludente di giugno per il partito conservatore islamico non è riuscito a produrre un governo condiviso. È solo l’ultimo episodio di una lunga serie di contrasti fra il potere e i media, nel Paese della mezzaluna. Diversi giornalisti sono stati di recente licenziati o processati a causa dei loro messaggi su Twitter. Ma mai finora si era arrivati a un arresto per una frase sui social network, tantomeno nei confronti di un direttore di un quotidiano, o comunque di un professionista che con le parole lavora ed esercita il suo diritto di critica.
L’ordine di cattura è invece partito ieri sera nei confronti di Bulent Kenes, direttore di un grande giornale di opposizione come Today’s Zaman , edizione in inglese, anch’esso filo islamico ma appartenente a un gruppo opposto rispetto a quello del leader turco. L’accusa: ingiuria verso il presidente, Tayyip Erdogan. Nel luglio 2014 Kenes aveva scritto sul suo account Twitter: «Sua madre si sarebbe vergognata del proprio figlio (Erdogan, ndr) per quello che sta facendo alla Turchia». Erdogan lo ha subito querelato, adducendo fra le motivazioni il decesso della propria madre, avvenuto nel 2011. L’altro ieri il giornalista si è difeso in tribunale dicendo di non avere insultato nessuno, limitandosi a esercitare la propria libertà di espressione ed esprimendo la sua opinione. Ma dopo la sentenza del giudice è stato preso in consegna da parte delle forze dell’ordine, gli è stato ritirato il passaporto, e ieri sera aspettava da un momento all’altro di essere portato in carcere.
Contro di lui erano partite 9 denunce, 2 cause per danni di immagine, e 6 diverse inchieste giudiziarie in cui il suo nome compare per aver insultato, oltre a Erdogan, un suo consigliere e il primo ministro Ahmet Davutoglu. Commenta Kenes: «Vogliono farmi tacere, ma non ci riusciranno. Mi opporrò sempre a chi vuole fare di questo paese una prigione a cielo aperto, un paese autoritario, governato dall’arbitrarietà». In Turchia, più si avvicina la data delle elezioni, e più le critiche aumentano verso un partito che intende continuare a guidare il paese con un governo monocolore piuttosto di aprirsi a una coalizione. Il pugno di Erdogan si fa sentire soprattutto con la stampa e i social network, molto critici fin dai tempi della rivolta di Gezi Park contro un governo che li ha sempre tenuti nel mirino. Due giorni fa quattro canali tv digitali sono stati oscurati, e i giornalisti di Digiturk hanno manifestato davanti alla sede lasciando all’entrata i loro telecomandi. Anche il quotidiano più prestigioso, Hurriyet , è sotto tiro. Il leader del partito curdo, Selahattin Demirtas, considerato a giugno il vincitore morale delle elezioni per aver abbattuto l’altissimo sbarramento elettorale del 10 per cento per entrare in Parlamento, ha visitato il giornale portando la solidarietà sua e dei 70 deputati entrati nell’Assemblea di Ankara.
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