Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/09/2015, a pag.19, con il titolo " Siria, l'apertura Usa: Assad dovrà lasciare ma discutiamo i tempi ", l'analisi di Guido Olimpio.
Guido Olimpio Come ridevano...
WASHINGTON - Lo possiamo chiamare il «fattore T», T come tempo. E potrebbe avere un ruolo per trovare un'alternativa al carnaio siriano, anche se le speranze sono poche. Nell'arco di due giorni il segretario di Stato americano John Kerry ha lanciato segnali interessanti. «Non siamo dogmatici su quando Assad se ne andrà. Può essere tra un giorno, tra un mese o tra un po'» nel frattempo si deve negoziare la sua uscita attraverso un meccanismo da stabilire. Dunque nessuna fretta, niente pre-condizione. L'apertura è ancora più significativa perché il capo della diplomazia americana è sempre stato il fautore di un approccio duro contro il raìs mentre Pentagono e Casa Bianca hanno avuto ed hanno una visione più pragmatica. Kerry, in missione a Londra, ha esortato la Russia e l'Iran, i due principali alleati della Siria, a usare la loro influenza per convincere il presidente a farsi da parte accettando un processo di transizione. Non si tratta solo di dichiarazioni. Il segretario di Stato ha avuto molti contatti — così come il responsabile del Pentagono Ashton Carter — con la controparte. Colloqui legati agli spostamenti di truppe e, sopratutto, di caccia del Cremlino in Siria — Kerry li ha definiti «preoccupanti» — e agli scenari diplomatici. Di fatto Washington, tra deboli proteste, ha assistito senza troppa resistenza al dispiegamento dei marines russi. Non poteva fare diversamente. Ma al tempo stesso ha accettato di parlare con Mosca per prevenire possibili incidenti nel teatro ed esaminare i punti in comune nel contrasto dell'Isis. Creata questa cornice è chiaro che la domanda riguarda il futuro di un'eventuale trattativa. Kerry è parso pessimista, come lo sono molti osservatori. Le esperienze degli ultimi mesi, duranti i quali c'è stata un'intesa attività del Cremlino in questa direzione, non hanno confortato i negoziatori. Putin ha sondato Arabia Saudita e Qatar, tra i principali sponsor dei ribelli siriani, ma non è riuscito ad ottenere molto. Troppi gli ostacoli, troppi i massacri compiuti dai contendenti. Gli oppositori del regime per il momento non accettano compromessi sulla partenza di Assad, sono convinti che l'iniziativa di Mosca abbia solo uno scopo: salvare il regime. Commentatori occidentali pro-ribellione mettono in guardia su un allineamento russo-americano. A Washington, invece, ritengono che sia necessario trovare un'alternativa alla soluzione militare e sperano di agire di concerto, pur tra le diffidenze, con il Cremlino. Una delle chiavi del conflitto è certamente nelle mani di Putin. Ieri Kerry si è chiesto se il leader sia pronto ad usarla. Una risposta verrà nelle prossime settimane. In attesa di sviluppi sui fronti del conflitto si sparano. Fonti locali citate dalla Reuters sostengono che in alcune operazioni i siriani avrebbero usato con successo nuove armi fornite da Mosca, colpite anche le posizioni Isis a Palmira. Inoltre team di forze speciali russe sarebbero entrati in azione in numerose località, ben al di fuori della cintura di sicurezza che stanno costruendo a Latakia. Segnalati a Zabadani, Hama e Homs. All'offensiva nella regione di Al Fuah le brigate islamiste con largo uso di mezzi-bomba, alcuni guidati da kamikaze e un paio radiocomandati. I qaedisti di al Nusra hanno fucilato una cinquantina di prigionieri nella base di Abu Zhour. Tutto come al solito.
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