Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/09/2015, a pag. 6-7, con il titolo "La sfida di Assad all'Europa: 'Il caos migranti è colpa vostra' ", l'analisi di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, con il titolo "Il grande gioco di Putin: perché è in Siria", l'analisi di Paolo Valentino.
A destra: Bashar al Assad con Vladimir Putin
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "La sfida di Assad all'Europa: 'Il caos migranti è colpa vostra' "
Maurizio Molinari
Vladimir Putin estende la presenza delle truppe russe in Siria e chiede ad «altre nazioni» di entrare nella sua coalizione anti-Isis. È un’offerta che il raiss di Damasco, Bashar Assad, indirizza in particolare all’Europa: «Per bloccare l’ondata di rifugiati dovete cessare di aiutare i terroristi» abbandonando l’alleanza guidata dagli Usa per aderire a quella del Cremlino.
Putin cerca alleati
Il presidente russo parla da Dushanbe, l’occasione è il summit sulla sicurezza fra sei repubbliche ex-Urss in Tagikistan dove nell’ultimo mese 20 persone sono state uccise dai jihadisti. «Sosteniamo il governo della Siria nella lotta al terrorismo, daremo ed aumenteremo aiuti militari, senza la Siria sarebbe impossibile espellere i terroristi dalla regione - dice Putin, in diretta tv - mi auguro che altre nazioni seguano il nostro esempio, offrendo sostegno ad Assad». L’intento è dunque di trasformare l’intervento in Siria nella genesi di una coalizione.
La situazione in Siria: forze di Assad (rosso), ribelli (verde), curdi (giallo), Al Nusra (azzurro), Stato islamico (grigio), aggiornata la 15 settembre 2015
Assad, appello all’Ue
Nelle stesse ore il raiss di Damasco incontra nella sua residenza i reporter russi, consegnandogli un messaggio: «Se l’Europa è preoccupata per l’ondata di profughi deve occuparsi delle cause, porre fine al sostegno ai terroristi, iniziare a combatterlo al nostro fianco».
La lettura della guerra è cristallina: «A sostenere i terroristi sono Arabia Saudita, Qatar e soprattutto la Turchia di Erdogan, espressione di un partito con l’ideologia dei Fratelli Musulmani, che si propone di creare un Sultanato dall’Atlantico al Mediterraneo». L’errore di «Francia e Usa» è di «coprire questo progetto» con l’intervento militare che a parole si propone di combattere Isis «ma in realtà aiuta i terroristi».
L’accusa centrale è agli Usa: «Usano il terrorismo come una carta politica, prima con Al Qaeda in Afghanistan contro l’Urss e ora con Al-Nusra e Isis contro di noi». Russia e Iran invece «ci aiutano a combattere Isis» assieme all’Iraq «che ha problemi analoghi» e dunque l’Ue può unirsi alla nascente coalizione. Anche perché Assad promette «accordi con ogni forza politica» e «il rispetto di ogni etnia, curdi inclusi». Ovvero, non lascerà il potere «sotto pressione» ma è disposto ad alcune concessioni.
Truppe russe a Hama
A dare consistenza all’iniziativa politica di Putin e Assad c’è l’estensione della presenza russa in Siria. Fonti dell’opposizione descrivono ai media libanesi l’arrivo di «15 autobus di soldati» nel Club Equestre di Hama «trasformato in caserma» e di «10 autobus con esperti militari» all’hotel Al-Nawair, divenuto il loro quartier generale. Per il giornale «Al-Watan», filo-regime, «hanno consegnato 15 tonnellate di aiuti umanitari» ma l’opposizione ritiene che i russi vogliamo blindare Hama per impedirne la caduta nelle mani dei ribelli in arrivo da Nord.
Missili a Latakia
I militari russi sono arrivati a Hama da Latakia, dove stanno accumulando tank, blindati, artiglieria, radar e fanteria navale. Lavorano alla realizzazione di piste ed hangar per jet ed elicotteri che consentiranno operazioni aeree e terrestri. Jeffrey White, ex analista del Pentagono, prevede l’«imminente arrivo» di missili terra-aria SA-22 per proteggere i cieli. Fonti militari Usa ritengono che Putin stia accelerando i tempi per avere un «contingente credibile sul terreno» quando parlerà dal podio dell’Onu, a fine mese, presentandosi da leader dell’unica coalizione anti-Isis che dispone di contingenti di terra.
Netanyahu al Cremlino
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu la prossima settimana sarà al Cremlino per discutere con Putin «le minacce che ci vengono dall’incremento del flusso di armi sofisticate in Siria che possono finire nelle mani di Hezbollah ed altri gruppi terroristi». Israele chiede garanzie a Mosca che la nascente coalizione non rafforzerà i suoi nemici regionali. Per Putin significa poter dialogare sulla Siria tanto con l’Iran che con Israele. A conferma che l’intervento a Latakia, ancora nelle sue fasi iniziali, sta già cambiando la mappa strategica regionale.
CORRIERE della SERA - Paolo Valentino: "Il grande gioco di Putin: perché è in Siria"
Vladimir Putin
Il tono delle informative è improvvisamente cambiato due mesi fa. I rapporti inviati al Cremlino dagli uomini del Gru (l’intelligence militare russa) stazionati in Siria, «si sono fatti via via più allarmati». L’avanzata dell’Isis è apparsa sempre meno contenibile dall’esercito di Assad, ormai ridotto al controllo di poco più di un quarto del territorio siriano. Le diserzioni tra i soldati di fede sunnita verso il califfato si sono intensificate. E soprattutto il rischio dello spill-over , la tracimazione del terrorismo islamico prima nelle regioni di confine e poi nel cuore della Federazione è apparso agli agenti di Mosca non più solo un’ipotesi remota.
«Non è più un mistero che al momento nelle file dell’Isis combattano tra 800 e 1500 cittadini russi», mi dice una fonte governativa. Bisogna avere ben presente questo elemento dell’equazione, per cercare di capire genesi e obiettivi dell’ultima mossa dello Zar, il build-up militare ordinato da Vladimir Putin a sostegno dell’antico alleato alawita, ormai vacillante. «Noi appoggiamo il governo di Damasco nel contrastare l’aggressione terrorista dello Stato islamico. Forniamo e continueremo a fornire tutta l’assistenza tecnica militare necessaria. E sollecitiamo altri Paesi a unirsi a noi al più presto», ha detto Putin martedì, durante il vertice del Csto, l’organizzazione di sicurezza collettiva guidata dalla Russia, che raggruppa le Repubbliche dell’Asia centrale ex sovietica.
In verità l’azione del Cremlino è più articolata del semplice sostegno al regime, il che motiva l’allarme generato nelle capitali occidentali e in particolare a Washington. Non solo la fornitura ai regolari siriani di sistemi d’arma avanzati, come i carri T-90 o i missili terra-aria Pantsir-S1, assistiti da alcune centinaia tra tecnici, consiglieri e soldati delle unità speciali. Ma anche un significativo rafforzamento della presenza navale russa sulla costa, a partire dalla storica base di Tartus. E non ultimo, novità assoluta, una serie di lavori preparatori a Latakia, in apparenza mirati a farne una futura base operativa per caccia ed elicotteri. Gli analisti concordano che un intervento diretto russo non è in questa fase nell’agenda di Putin. «Mosca non è pronta a entrare nei combattimenti, anche se il rischio c’è e la situazione è così instabile che un episodio, come la morte violenta di consiglieri russi per mano dei terroristi, potrebbe fare da miccia», dice Fyodor Lukyanov, presidente del Council on Foreign and Defense Policy.
Per Sergei Markov, esperto di politica estera legato al partito di Putin, «l’intervento diretto in Siria è improbabile. La maggioranza dei russi non lo vuole e poi aumenterebbe la pressione sul Cremlino a fare altrettanto in Donbass». In realtà, puntellando Assad con aiuti militari, perfetta giustificazione per poter stanziare in Siria anche truppe speciali a protezione dell’arsenale, lo Zar centra allo stesso tempo l’obiettivo di ampliare e tenere aperte le sue opzioni: «In questo modo può aggiustare i termini e le modalità della sua presenza, in base all’evolvere della situazione, tenendo tutti sulla corda», spiega Olga Oliker, del Centro per la Russia e l’Eurasia della Rand Corporation.
Ma il punto vero, secondo Lukyanov, è un altro: «Putin non crede che la Siria come l’abbiamo conosciuta possa più essere salvata. La partizione è già un fatto. Così vuole assicurarsi un ruolo anche per il futuro, difendendo la maggior parte di territorio possibile per conto del suo alleato di sempre. Non permetterà che Assad cada, anche perché uscito lui di scena, della Siria non resterebbe nulla, solo caos violento. E non credo che neppure l’Occidente abbia interesse a un esito del genere». Per una volta, smentendo la fama di giocatore d’azzardo, Vladimir Putin sembra quindi aver calcolato freddamente pro e contro della sua mossa. Ha giocato d’anticipo, mentre Francia e Stati Uniti stanno ancora valutando l’opzione militare, segnalando con chiarezza che è deciso a impedire in Siria uno scenario libico. Ma ha anche svelato un’ambizione più vasta, sia pure frutto di uno stato di necessità: «Putin vuole ampliare il contesto diplomatico e forzare Washington a un dialogo che vada oltre l’orizzonte ormai asfittico degli accordi di Minsk e dell’Ucraina, dove il conflitto è congelato. E magari puntare a un grande baratto», spiega Dmitrij Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, secondo il quale i russi stanno facendo di tutto perché a fine mese, durante l’Assemblea generale dell’Onu, i passi di Putin e di Obama si incrocino, se non per un incontro formale, almeno per un scambio di vedute.
Che la scommessa dello Zar riesca, è tutto da vedere. Ma è certo che, a differenza dell’Ucraina, nella partita siriana e nella lotta allo Stato islamico sunnita, Putin non è isolato e la sua non è una mossa avventuristica. Il pericolo di nuovi successi del califfato riguarda tutta la comunità internazionale. Lo scenario di una Siria del tutto liquefatta, con il corollario di nuove ondate di profughi, terrorizza i governi occidentali. Mentre l’accordo nucleare con l’Iran prelude all’aperto riconoscimento del ruolo decisivo di Teheran nella lotta contro lo Stato Islamico.
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