Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/09/2015, a pag.49, con il titolo " Faccia a faccia con colui che mi tradì ", la recensione di Susanna Nirenstein al libro "I traditori " di David Bezmozgis, pubblicato da Guanda.
Susanna Nirenstein David Bezmozgis la copertina
Bravo David Bezmozgis! Bravo perché scrive col passo sicuro e i dialoghi coinvolgenti di un Cechov ( anche se dalla Lettonia dell' Unione Sovietica è immigrato in Canada all'età di 6 anni, ora ne ha 42 ), perché a tratti adotta invece un ritmo teso, degno di un thriller. Perché dopo i suoi primi romanzi e racconti di stampo autobiografico sull'esperienza famigliare in Urss e sul complicato passaggio verso e nel mondo libero, soggetti che si iscrivono a pieno nella corposa tradizione letteraria dell'immigrazione ebraica, fa un salto coraggioso e atterra in una storia di pura fiction, audace, attuale, sorprendente, piena di ironia eppure terribilmente seria. Una storia che vuol rispondere alla domanda: «cosa significa avere una morale forte e indistruttibile?». Chi non si è mai chiesto se, sotto minaccia, tradirebbe le sue idee, i suoi compagni, se nasconderebbe un perseguitato?
E se sì, se si è un valoroso, si è sempre migliore degli altri?
I traditori, vincitore del National Jewish Book Award e indicato da Wall Street Journal, New Yorker e New York Times Book Review tra i migliori libri del 2014, parla di un politico israeliano ex-sovietico 60enne che incontra casualmente chi molti anni prima l'ha ingiustamente denunciato al Kgb come spia sionista. Risultato: 13 anni di prigione, interrogatori, botte, scioperi della fame e infine, dopo infinite proteste mondiali, l'agognata partenza per Israele. Accolto come un re, fatto ministro, è agli occhi del globo intero un eroe, un eroe dei refusnik, dei dissidenti di ogni dittatura, del senso di una lotta dura e impavida per i diritti delle minoranze.
Il riferimento è chiaramente a Nathan Sharanskyche ha avuto questi identici trascorsi. Il nostro protagonista, alias Sharansky, si chiama Baruch Kotler, e, a differenza del vero Nathan, sta tradendo sua moglie, un'eroina che combattè per ottenere la sua scarcerazione e il suo visto per Gerusalemme. Sono giorni, adesso, in cui si dice contrario al ritiro dalla Cisgiordania annunciato dal suo governo, con tanto di sradicamento dei coloni dagli insediamenti.
Dopo l'esperienza di Gaza ( per cui in effetti nel 2005 Sharansky lasciò la coalizione governativa e il suo ministero), laico, pragmatico, non immagina ne possa scaturire qualcosa di buono, si aspetta solo altri razzi contro Israele. E lo afferma pubblicamente. È a questo punto che i Servizi, o forse qualcun altro, lo minacciano: se insisterà troppo su questa posizione daranno in pasto alla stampa delle foto compromettenti con la sua amante, immagini che infangherebbero la rettitudine assoluta che rappresenta.
Ma nel suo dna c'è scritto che non cederà mai a un ricatto, che non rinuncerà mai alle sue idee. E così, mentre lo scandalo dell'amichetta esce sui giornali, parte con la sua giovane Leora. Sbarca in Crimea dove andava al mare da bambino senza sapere bene cosa sta facendo. Il romanzo inizia più o meno qui: i due amanti molto politicamente impegnati si accorgono subito che gli ebrei sono ancora mal giudicati, e che i pochi rimasti nel post comunismo o si travestono da altro o vivono una vita misera.
Ma ecco, da quel mazzo di quasi pezzenti sbuca come un fantasma Tankilevich il traditore. È un uomo vinto, è evidente, vive di un misero sussidio, ed è costretto a nascondere la sua identità di Giuda. L'incontro è una sorta di bomba per lui. Invece di prostrarsi a chiedere perdono però, accusa.
Accusa Kotler di aver costruito ogni fortuna sul quel torto subito, e rivendica di aver solo ceduto alle pesanti intimidazioni del Kgb, per diventare poi un mentecatto, marchiato da un peccato originale, infelice. Eppure è un ebreo, trattato da ebreo da quegli antisemiti degli ucraini, ed era, è sionista, eccome se è sionista, perché deve marcire in quel fango e non diventare un uguale tra uguali nella Terra Promessa? Non mancano i colpi di scena, e la tragicommedia tesse una discussione esemplare e ironica sul giusto e l'ingiusto, sul bene e il male da far invidia a Platone, sul sionismo. Chi ha ragione? David Bezmozgis è un maestro dei finali ellittici. Ma un centro c'è, c'è sempre.
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