martedi` 19 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.08.2015 L'arsenale dello Stato Islamico
Analisi di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 agosto 2015
Pagina: 17
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «L'arsenale dell'Isis»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/08/2015, a pag.17, con il titolo " L'arsenale dell'Isis ", l'analisi di Guido Olimpio.


Guido Olimpio

Nell'estate del 2014, dopo la marcia trionfale dello Stato Islamico verso Mosul, un rapporto Onu ha fatto la sua previsione: i jihadisti hanno un arsenale che basterà per almeno due anni. Un bottino conquistato grazie al collasso di interi reparti iracheni, con i soldati in fuga e migliaia di mezzi abbandonati. Dai tank ai pezzi d'artiglieria, dai costosi blindati Mrap ai semoventi. Da allora l'Isis ha incassato sconfitte e messo a segno altre vittorie. I raid della coalizione hanno incenerito molte delle prede belliche, ma hanno solo intaccato una parte di un dispositivo formidabile. Almeno per gli standard locali. In queste ore, gli Usa hanno rilanciato una notizia già trapelata in passato. Un'informazione preoccupante: i militanti del Califfo avrebbero usato gas iprite contro i curdi nella zona di Erbil. Non è escluso che gli estremisti siano entrati in possesso di munizioni dell'epoca di Saddam Hussein. Del resto, nelle loro file, sono tanti gli ex ufficiali baathisti e qualcuno sapeva probabilmente dove trovarli. L'iprite è solo una delle armi non convenzionali utilizzate dai jihadisti. Più volte gli avversari hanno denunciato di aver subito attacchi con sostanze tossiche, razzi riempiti di miscela al cloro. In Siria e in Iraq. Lo avevano già fatto gli insorti qaedisti ma non con grande successo. Si tratta di armi instabili, non sempre facili da usare, che però hanno qualche effetto negli scontri in centri urbani: servono per «gasare» le postazioni. La lezione di questi mesi — che sarà a lungo studiata — è la capacità di adattamento dello Stato Islamico. Metà esercito, metà movimento di guerriglia, capace di combinare manovre complesse, fuoco di sbarramento, colpi mordi-e-fuggi, terrorismo e sabotaggio. Ed essendosi ritrovato tra le mani un «parco» impressionante, lo ha riadattato alle proprie esigenze. mezzo preferito dello Stato Islamico è la «tecnica», il pick up armato — di solito Toyota — usato in formazione. All'inizio in colonne ampie, formate anche da 30-50 veicoli, poi nuclei più piccoli per sfuggire alle incursioni aeree. Con la disfatta irachena, il Califfo ha incamerato centinaia di Humvee blindate. Spesso impiegate nelle offensive oppure riconvertite per le missioni kamikaze. La disponibilità di fuoristrada identici a quelli govemativi ha permesso anche di organizzare trucchi. I soldati — incauti — hanno aperto le porte delle basi pensando che fossero i rinforzi tanto attesi e invece erano i nemici travestiti. Molti i tank catturati. I vecchi e rustici T 72 (o T 55), sempre utili in un teatro usurante come quello mediorientale, e qualche sofisticato Abrams, ceduto dagli americani a Baghdad. Essendo però troppo complessi da mantenere, l'Is li ha convertiti in mezzi-bomba da affiancare ai veicoli «corazzati» in speciali officine e riempiti d'esplosivo. Un ariete lanciato per sfondare le difese. C'è voluto quasi un anno prima che gli iracheni trovassero una risposta adeguata, grazie ai consigli degli alleati e nuovi sistemi anti-carro. Il camion-bomba si è trasformato in un missile da crociera affidato ad un «martire», spesso arrivato dall'estero. Ed è diventato anche l'alternativa ai cannoni a lunga gittata da 155 e 122, ai mortai d'ogni calibro e ai razzi stile Katiuscia di produzione cinese e a quelli fatti in casa. Un dispositivo completato da sistemi arti-aerei portatili cinesi e russi, anti carro (dal Tow al Komet), piccoli droni per la ricognizione avanzata. Lo Stato Islamico ha calibrato forze e risorse a seconda degli scacchieri Contro gli avamposti siriani e iracheni ha scelto spesso la tattica dell'assedio. Ha tagliato le vie di rifornimento, fatto saltare ponti, allagato strade. Quindi ha iniziato a «picchiare» con mortai e fuoco delle mitragliatrici dai pick up. Una manovra asfissiante, di solito conclusa con la falange dei kamikaze a bordo dei camion esplosivi. I video di propaganda hanno mostrato le unità scelte dei «neri» impiegare con precisione le loro armi per saturare l'obiettivo. Quando invece hanno preso di mira le grandi città, gli isla-misti hanno prima indebolito il morale con gli attentati e gli omicidi, hanno inserito piccoli kommando composti dagli «invisibili» o hanno attivato cellule pre-posizionate nella comunità sunnita. D colpo finale è venuto dalla duplice mossa: interna ed esterna, agevolata talvolta dalla presenza di truppe governative stanche, mal guidate e con pochi rifornimenti. Anche a livello di plotone, l'armamento jihadista è parso ottimo: oltre al fucili AK e M4 ha distribuito un gran numero di granate e mitragliatrici, sempre con ottime scorte di munizioni. Prima di ogni assalto, lo Stato Islamico ha condotto missioni per testare le difese, eseguito diversivi, montato incursioni lontano dal target principale. Notevole la mobilità: interi reparti sono stati trasferiti dalla Siria in Iraq lungo un asse stradale comunque oggetto di raid della coalizione. Una volta presa una località, l'Isis si è affidato a un apparato variabile. Di solito ha preferito affidare il presidio a nuclei ridotti di combattenti, cecchini e centinaia di ordigni-mine. Un network in grado di far pagare un prezzo altissimo a chi avanza. In altre occasioni ha invece costruito trincee, barricate, bunker e tunnel. Nei Paesi come la Libia, dove la presenza dello Stato Islamico non è massiccia, gli strateghi locali si sono affidati agli attentati, ai bombardamenti indiscriminati e ai soliti attacchi con veicoli armati. Nel Sinai, invece, hanno messo in piedi una realtà insurrezionale dove i metodi terroristici si saldano ad attività guerrigliere dl ampia portata. Pericolo concreto e profondo, nonostante abbiano davanti l'esercito egiziano. Scenario differente in Arabia Saudita e nello Yemen: qui il Califfo ha solo un'avanguardia e deve limitarsi all'iniziativa individuale, affidata all'attentatore suicida. Primo passo in vista di qualcosa di più ambizioso.

Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT