Ripeendiamo da REPUBBLICA di oggi, 14/08/2015, con il titolo " Perchè l'intesa sul nucleare può rendere Israele più sicuro ", l'analisi di Thoma L.Friedman.
Rispetto ai vari JStreet - americani e nostrani- Friedman qualche passo avanti l'ha fatto. Nell'analisi che segue l'unica ipotesi da respingere è la cieca fiducia dell'autore nella politica americana, che, al momento opportuno, interverrebbe in aiuto di Israele tramite una misteriosa bomba capace di perforare qualsiasi montagna. Non tiene conto, Friedman, che l'Iran, nel frattempo avrebbe già avuto tutto il tempo necessario per sganciare una bomba atomica su Israele. Date le dimensioni dello Stato ebraico, ne basterebbe una sola per cancellarlo dalle carte geografiche.
Il secondo errore nell'analisi di Friedman sta nell'errata valutazione dell'ipotesi 'due stati', che non è mai stata respinta da Israel. Il fatto che non si sia ancora avverata è da attribuirsi alla saggezza dei governi israeliani, per i quali la parola "sicurezza" ha un significato diverso da quello che gli viene attribuito da chi vive a New York o Washington. Lo stato unico, arabo-ebraico, è poi una ipotesi puramente teorica, irrealizzabile nella pratica, tirata fuori ogni tanto, specialmente quando fa comodo.
Friedman ha citato nel suo pezzo un droghiere, un generale e il primo ministro, tutti israeliani. Doveva aggiungerne un quarto, se stesso. Forse la sua analisi ne avrebbe tratto giovamento se si fosse immaginato un cittadino d'Israele
Ecco l'articolo:.
Riguardo al confronto tra gli Stati Uniti e Israele sull'accordo nucleare iraniano, mi sono chiesto: come vedrei questo accordo se fossi un droghiere, un generale oppure il primo ministro israeliano? Se fossi un droghiere israeliano che segue alla radio la cronaca di questo accordo, aborrirei il riconoscimento del diritto dell'Iran di arricchire l'uranio, dato che l'Iran ha sempre aggirato i vincoli per aumentare tale capacità, pur avendo firmato il Trattato di non proliferazione nucleare. D'altronde, l'Iran organizza marce che inneggiano "alla morte di Israele", e nel 2006 sponsorizzò una conferenza per promuovere la negazione dell'Olocausto. Inoltre nel 2006 il braccio armato dell'Iran, la milizia libanese sciita Hezbollah, cominciò ad attaccare Israele senza motivo, e in seguito alle rappresaglie di Israele contro i civili e le milizie Hezbollah, queste ultime hanno lanciato migliaia di razzi iraniani contro Israele. No — non c'è difesa che tenga — come droghiere israeliano, rifiuterei questo accordo in modo viscerale. Se fossi un generale israeliano, condividerei lo scetticismo del mio droghiere, ma pervenendo ad un'altra posizione (come molti vertici militari israeliani). Comincerei a rievocare quello che diceva lo statista israeliano Abba Eban quando i falchi israeliani obiettavano i rischi connessi ad una pace con i palestinesi: che Israele non è una «Costarica disarmata. Non solo possiede da 100 a 200 testate nucleari, ma può anche utilizzarle contro l' Iran con aerei, sotto- marini e razzi a lunga gittata. Farei anche notare che Hezbollah non lancia un attacco non provocato contro Israele dal 2006 perché sa che la filosofia strategica di base di Israele è: nessun nemico ci farà perdere la testa a tal punto da abbandonare questa regione. Quando deve, Israele gioca una guerra senza quartiere, secondo quelle che ho chiamato le "regole di Hama". L'esercito israeliano cerca di evitare di colpire i civili, ma sia in Libano che a Gaza, ha dimostrato che non sarà frenato dal rischio di stragi della popolazione araba, quando Hezbollah o Hamas lanciano i razzi dalle aree civili. Non è bello, ma questa non è la Scandinavia. Lo Stato ebraico è sopravvissuto in un mare arabo-musulmano perché i suoi vicini sanno che, per la sua cultura occidentale, non cederà. Giocherà secondo le regole locali. Iran, Hamase Hezbollah lo sanno, ed è il motivo per cui i generali di Israele sanno di disporre di deterrenti significativi contro l'eventualità di una bomba iraniana. Inoltre, in passato, gli ayatollah dell'Iran hanno ampiamente dimostrato di non avere istinti suicidi. Come hanno recentemente scritto gli strateghi israeliani Shai Feldman e Ariel Levite nel National Interest: «È interessante notare come, durante la sua storia di trentasei anni, la Repubblica Islamica non abbia mai giocato d'azzardo con la propria sopravvivenza, a differenza dell'Iraq di Saddam Hussein, che lo ha fatto per almeno tre volte» — dichiarando guerra all'Iran nel 1980, invadendo il Kuwait nel 1990 e scommettendo che George W. Bush non lo avrebbe attaccato nel 2003. Se io fossi un generale israeliano, non apprezzerei questo accordo, ma sarei in grado di riconoscerne i vantaggi, specialmente se gli Stati Uniti ne promuovessero il potere deterrente. Se fossi il primo ministro israeliano, comincerei ad ammettere che il mio Paese deve vedersela con due minacce alla propria sopravvivenza: una, esterna, è una bomba iraniana e l'altra, interna, è il fallimento della soluzione dei due Stati, lasciando così spazio solo alla soluzione del mono-Stato, per cui Israele finirebbe per governare così tanti palestinesi da non potere essere più considerata una democrazia ebraica. Per trovare un accordo sulla minaccia iraniana, in qualità di leader israeliano, non farei pressione sugli ebrei americani per metterli contro il loro stesso governo e far fallire l'accordo — in mancanza di un'alternativa credibile. Questo accordo riduce le riserve iraniane d'uranio per uso bellico per i prossimi 15 anni, e posticipa di un anno, dagli attuali tre mesi, la sua capacità di disporre di una arma nucleare. Se potessi mantenere per altri 15 anni l'incapacità effettiva dell'Iran di produrre una bomba prima di un anno, sarei assolutamente fiducioso che la tecnologia difensiva israeliana, nel frattempo, sarebbe in grado di sviluppare nuovi metodi per identificare ed eliminare ogni tipo di minaccia nucleare iraniana. E riconoscerei che, se i miei lobbisti a Washington riuscissero veramente a demolire questo accordo, il risultato non sarebbe un accordo migliore. Sarebbe nessun accordo, per cui l'Iran tornerebbe a essere in grado di produrre una bomba entro tre mesi — senza l'intrusione di ispettori, con le sanzioni che crollano e Israele, non l'Iran, che rimane isolata diplomaticamente. Quindi come primo ministro, piuttosto che oppormi al presidente americano Barack Obama, gli direi che Israele appoggia questo accordo ma che vuole che gli Usa promuovano la cosa più importante — il suo potere deterrente — facendolo approvare dal Congresso unitamente alla facoltà dei futuri presidenti di usare qualsiasi mezzo necessario per distruggere qualunque tentativo iraniano di costruire una bornba. Non mi fido degli ispettori delle Nazioni Unite; mi fido della deterrenza. E per aumentarla, chiederei agli Usa di dislocare in Medio Oriente lo U.S. Air Force's Massive Ordnance Penetrator (Mop), una bomba guidata di precisione bunker buster (ndt, anti-bunker) di circa 15.000 tonnellate, che eliminerebbe qualsiasi reattore iraniano nascosto in qualunque montagna. Gli iraniani capirebbero il messaggio. Poi, come leader di Israele, concentrerei tutte le mie forze sul tentativo di un disimpegno in sicurezza dai palestinesi della Cisgiordania, per proteggere Israele come democrazia ebraica. Questo — più l'accordo con l'Iran sommato alla deterrenza americana — renderebbe Israele più sicuro contro entrambe le sue minacce esistenziali. Sfortunatamente, Israele ha un primo ministro la cui strategia è di rifiutare l'accordo con l'Iran senza un piano B credibile, e di svalutare la minaccia interna senza un piano A credibile.
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