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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.08.2015 Ecco come gli Usa vengono sconfitti, lo Stato Islamico vince, i cristiani vengono massacrati
Analisi di Maurizio Molinari, Guido Olimpio, Davide Frattini

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari-Guido Olimpio-Davide Frattini
Titolo: «I ribelli siriani contro gli Usa 'Non combattiamo al Qaeda'-Lo Stato Islamico non è virtuale. Così l'Isis governa e uccide-Sessanta cristiani rapiti in Siria 'i nomi nella lista nera dell'Isis'»

Sulla Siria, riprendiamo oggi, 08/08/2015, tre servizi da STAMPA, a pag. 12, e CORRIERE della SERA, a pag.1 e 15.

La Stampa-Maurizio Molinari: " I ribelli siriani contro gli Usa 'Non combattiamo al Qaeda'

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Maurizio Molinari

Per capire la vulnerabilità delle operazioni militari Usa e il caos nel quale si muovono, questa analisi di Maurizio Molinari è magistrale. Dopo averla letta si comprende perchè Israele affermi sempre più spesso " se lo riterremo inevitabile, agiremo da soli". Con un alleato come gli Usa, la sconfitta è sicura.

La «Divisione 30» si rifiuta di combattere contro Al Qaeda e la Siria diventa il teatro di un fallimento degli alleati militari di Washington che evoca il disastro della Baia dei Porci e l'umiliazione del Vietnam del Sud. In pochi sul campo La «Divisione 30» è l'unità dell'«Esercito di liberazione siriano» che il Pentagono è riuscito con gran fatica a far nascere in un campo di addestramento in Turchia: in teoria avrebbe dovuto contare almeno 1500 ma ne sono stati addestrati solo 54, a causa della difficoltà di trovare reclute affidabili. Questi 54 combattenti, agli ordini del comandante Nadim al-Hassan, a metà luglio sono entrati nel Nord della Siria, assumendo il controllo di una base e preparandosi a compiere missioni di ricognizione per gli aerei della coalizione guidata dagli Usa. Il loro compito avrebbe dovuto essere di identificare sul territorio gli obiettivi da far colpire ai jet, rimediando cosi alla maggiore difficoltà della coalizione: trovare chi bersagliare. La cattura del leader Ma i jihadisti di Al Nusra, emanazione diretta di Al Qaeda, nell'arco di pochi giorni hanno scoperto la base della «Divisione 30» e l'hanno attaccata in forze, provocando fra i ribelli filo-Usa un bilancio pesante: 5 morti e 18 catturati, incluso il comandante Nadim al-Hassan.
I sopravvissuti hanno reagito allo smacco militare imputando al Pentagono di «non averci difesi» con il «necessario fuoco di protezione» e quando i portavoce della base di Tampa, in Florida, hanno fatto presente che «in realtà la protezione c'è stata» la replica dell'ufficiale dei ribelli filo-Usa, Ammar al Wawi, è stata: «Certo che avete sparato, ma quando ormai era tardi».
Scontro con il Pentagono L'irritazione contro gli ex-istruttori militari Usa è diventata, in pochi giorni, rivolta vera e propria con la scelta di incrociare le braccia e cessare ogni operazione «perché non siamo venuti in Siria per combattere contro Al Nusra, ma solo contro Isis e il regime di Bashar Assad». Il tutto presentato sotto forma di comunicato scritto nel quale ciò che resta della «Divisione 30» afferma di «essere contrario ai raid della coalizione contro gli obiettivi di Al Nusra perché non sono nostri nemici». Che si tratti di volontà di riavere i compagni catturati, paura di combattere o insubordinazione verso il Pentagono, Charles Lister, arabista del «Brookings Doha Center», definisce tale comportamento «un inizio disastroso per le unità addestrate dagli Usa» al punto tale che «le altre fazioni ribelli filo-occidentali non si fidano più di loro». Da qui il parallelo con la Baia dei Porci ovvero il fallimento dell'invio nel 1961 di 1400 esuli sull'isola di Cuba nel tentativo di rovesciare Fidel Castro: l'operazione dopo 24 ore era già fallita e in 3 giorni la «Brigada 2506» era stata decimata, con i sopravvissuti detenuti e interrogati nel carcere dell'Avana. Più clamoroso è il collasso del Vietnam del Sud di Nguyen Van Thieu, nell'aprile del 1975: l'esercito di un milione di uomini formato dagli americani si sciolse come neve al Sole consentendo ai nordvietnamiti di prendere Saigon.

Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Lo Stato Islamico non è virtuale. Così l'Isis governa e uccide


Guido Olimpio

Il servizio che segue di Guido Olimpio descrive invece con minuziosa precisione come è organizzato lo Stato Islamico. Se lo paragoniamo con quello americano - raccontato da Maurizio Molinari- non ci chiederemo più chi sarà il vincitore nella guerra contro il terrorismo islamico.

Prima ha lanciato la campagna di conquista, quindi ha consolidato il terreno strappato al nemico, poi ha rafforzato le strutture per comportarsi e governare come uno Stato. Islamico. Non più 'solo una sigla, ma un vero apparato. Capillare, burocratico, inflessibile ma anche pratico. La vita sotto il Califfo non è uguale per tutti. I muhajireen, i volontari arrivati dall'estero se la passano meglio. Pagati e «coperti» per le spese. Le minoranze soffrono, costrette ad andarsene oppure a pagare per essere risparmiate. Chi agli occhi dei jihadisti è «diverso», viola la legge islamica, commette dei «peccati» conosce l'Inferno. Le lapidazioni, gli omosessuali gettati dai palazzi, il taglio della mano, la morte in piazza davanti alla folla. La struttura è guidata da Abu Bakr al Baghdadi, assistito dai luogotenenti. L'amministrazione è gestita localmente dai governatori — circa una dozzina — e dai dipartimenti, noti come "diwan". Di fatto i ministeri dello Stato Islamico. Le basi del potere sono state create per tappe, un lavoro che ha accompagnato l'espansione militare e geografica del movimento. Come ha rilevato in un interessante studio il ricercatore Aymenn Jawad Al Tamimi, l'anno chiave è il 2013. Da quel momento Daesh (nome arabo dell' Isis) dedica molte risorse alla creazione di un network semplice anche in zone dove è la forza egemone. Di solito il primo passo è l'apertura dell'ufficio per la Dawa: ha compiti sociali, in quanto crea legami con la popolazione e cerca di assisterla; ha un ruolo di intelligence Gli «stipendi» dei militanti Lo Stato Islamico sborserebbe ogni mese dai 3 ai 10 milioni di dollari in salari. Gli stranieri sarebbero pagati pure con le donne catturate poiché è usato per raccogliere informazioni e tenere d'occhio l'ambiente. ll secondo passo è l'arrivo delle corti islamiche, incaricate di amministrare la giustizia; a seguire l'Istituto per la Sharia. Insieme a queste presenze pubbliche opera un apparato clandestino. Potremmo definirli i servizi speciali dell'Isis: sono loro ad eliminare eventuali rivali in quelle località dove c'è magari la presenza di altri «partiti». Sono sempre loro a indebolire dall'interno i futuri obiettivi, con rapimenti, minacce, attentati. Una volta che il Califfato ha spazzato via tutti, subentra la rete amministrativa. I seguaci di al Baghdadi si occupano di ogni settore: scuola, sanità, raccolta dell'immondizia, polizia locale, asili, panificazione, elettricità. Forniscono servizi e incassano denaro. Raro che usino la parola tassa, preferiscono ricorrere alla formula dell'offerta religiosa. In realtà i jihadisti impongono il pizzo su commerci, transito di camion, merci, locali. Sulle cifre bisogna andar cauti. Spesso girano numeri non sempre attendibili. Una recente inchiesta del New York Times ha sostenuto che il movimento ricaverebbe un milione di dollari al giorno solo di tasse e tra gli 8 e i 10 milioni di dollari al mese grazie alla vendita del greggio. Altre stime parlano di 40. Più confuso il quadro degli stipendi. Per una bizzarra situazione, una parte dei dipendenti statali iracheni continua a ricevere il soldo da Bagdad pur vivendo nelle zone occupate. E Daesh screma una parte della somma. Fonti statunitensi affermano che lo Stato Islamico sborsa ogni mese dai 3 ai 10 milioni di dollari in salari. Altro dato da prendere con le molle. Come quelli degli stipendi dei militanti. Re Abdallah di Giordania ha parlato di mille dollari al mese per gli stranieri, ricostruzioni dei media ribassano a 900, alcuni esperti scendono ancora, tra i 50 e i 100. Somme alle quali bisogna però aggiungere in qualche caso i bonus, comprese le schiave portate via, comprate, rivendute. Prede umane che non mancano mai nel teatro siro-iracheno. Da un anno a questa parte si è a lungo speculato se gli eccessi dei militanti «neri» avrebbero provocato reazioni tra gli abitanti. Molto di loro sopportano, qualcuno ammette che vi sarebbe meno corruzione rispetto al passato e di sicuro più ordine. Opinabile quanto siano sinceri i commenti visti la facilità con la quale si finisce sul patibolo improvvisato. Per ora sono stati segnalati episodi sporadici di attacchi anti-Isis. Un'organizzazione di ex militari baathisti avrebbe colpito dirigenti del Califfato a Mosul, altri agguati si sono verificati — e da tempo — a Deir Ez Zour e Raqqa dove opererebbero nuclei di resistenza. Di certo qualche elemento ha pagato con la vita, ma è arduo verificare la profondità e il seguito. Poi, alla fine di luglio, c'è stato un attentato a Falluja, gesto attribuito ad una fantomatica kamikaze di trent'anni che si sarebbe vendicata facendosi esplodere tra i mujaheddin. Verità o leggenda propagandistica? Non c'è risposta sicura mentre è certa la determinazione del movimento nel reagire, prevenire e sorvegliare. Lo Stato Islamico sa bene, per aver usato queste tecniche, che il pericolo può venire dall'interno, dunque non concede spazi. Quando può offre condizioni migliori, altrimenti taglia la testa. Il presidente del Parlamento iracheno ha sostenuto ieri che nella sola Mosul nell'ultimo anno sono state uccise oltre 2.000 persone.

Corriere della Sera-Davide Frattini: " Sessanta cristiani rapiti in Siria 'i nomi nella lista nera dell'Isis' "


Davide Frattini

Ecco il destino tragico dei cristiani nei paesi islamici, che dovrebbe convincere il Vaticano a guardare con attenzione ciò che avviene veramente, e non solo invocare la pace, parole inutili che suscitano soltanto derisioni da parte dei macellai che in nome dell'islam 'ripuliscono' il Medio Oriente.

Padre Jacques Mourad aiutava i cristiani e i musulmani. Tre mesi fa stava preparando il monastero dl Mar Elian ad accogliere la gente di Palmira in fuga dall'avanzata dello Stato Islamico. I miliziani del Califfo non potevano accettare quel sacerdote che faticava per la coesistenza, l'hanno rapito ll 21 maggio. «Stiamo vivendo un momento difficile, c'è molta tensione perché gli estremisti si avvicinano alla nostra città. Oggi ci siamo, domani non si sa... pregate per noi», è stata la sua ultima email alla comunità di Mar Musa, la stessa di padre Paolo Dall'Oglio, sequestrato un anno fa. Nella città, come prevedeva Mourad, gli estremisti sono entrati. Le truppe irregolari di Abu Bakr al Baghdadi hanno conquistato Qaryatain e portato via almeno 230 civill, tra loro 60 cristiani, anche donne e bambini. «Hanno cercato casa per casa — racconta Rami Ab-del Rahman che dirige a Londra l'Osservatorio siriano per I diritti umani — le persone accusate di collaborare con il regime. Avevano una lista». A Qaryatain, nel centro della Siria tra Damasco e Homs, in questi 4 anni e mezzo di guerra sono fuggiti i cristiani che vivevano nella zona di Aleppo perché la città era conosciuta nel Paese come un'oasi di tolleranza: i 18 mila sunníti e i 2 mila siro-cattolici vivevano insieme senza attriti. La popolazione cristiana sarebbe ormai ridotta a 180 persone. «Non sappiamo di preciso quale sia la situazione — spiega da Damasco il vescovo Matta Al Khoury all'agenzia France Presse , alcune famiglie sono state arrestate e obbligate a restare in casa, i fondamentalisti vogliono usarle come scudi umani». Lo Stato Islamico avanza da oriente, dal deserto che circonda Palmira, verso le montagne al confine con II Libano. I millziani vogliono interrompere I collegamenti tra Horns e Damasco, premere sulla capitale-fortezza di Bashar Assad. «Con l'offensiva stanno compiendo anche una pulizia religiosa, non la chiamo etnica, perché noi siamo della stessa etnia dei musulmani in Siria», commenta Ignace Youssif III Younan, patriarca della chiesa siro-cattollca, a Radio Vaticana. «Non ci vogliono e tutto questo è colpa di quei governanti machiavellici che pensano solo a cercare le opportunità economiche, a loro poco importa della libertà religiosa di queste comunità in Medio Oriente». Il parlamento iracheno calcola che dopo l'invasione un anno fa della piana di Ninive e la cattura della città di Mosul oltre 2 mila persone, siano state uccise per «tradimento». Amnesty International denuncia il sequestro a Qaryatain come un crimine di guerra e Human Rights Watch ricorda le responsabilità del regime da quando Assad ha dato l'ordine di reprimere le manifestazioni pacifiche nel marzo del 2011, da allora i morti sono almeno 250 mila: «Gli orrori commessi dallo Stato lslamico — scrive Kenneth Roth — sembrano rappresentare la minaccia più grave per i civili. Quel primato ignobile va invece alle "botti bomba" sganciate dal governo sui quartieri delle città: riempite di esplosivo e frammenti di metallo, sono così imprecise che l'esercito non le lascia cadere vicino alle sue postazioni. Si è creato il paradosso dei civili che considerano la prima linea più sicura di casa loro. Le azioni del Califfato ci hanno distratto da questa realtà». L'accordo sul nucleare iraniano (Teheran sostiene Assad) sembra aver riaperto I contatti per trovare una soluzione al conflitto. Ne hanno discusso ieri a Roma anche Paolo Gentiloni, il ministero degli Esteri italiano, e il saudita Adel Al Jubeir. Per la monarchia del Golfo il leader siriano può solo scegliere tra andarsene o «essere sconfitto con le armi».

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