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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.08.2015 Addio a Robert Conquest: raccontò l'Urss del grande terrore
Commenti di Gianni Riotta, Federigo Argentieri

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Gianni Riotta - Federigo Argentieri
Titolo: «Robert Conquest ce l'aveva detto: l'orrore di Stalin non ha giustificazioni - Addio a Conquest, indagò sui delitti del regime di Stalin»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/08/2015, a pag. 23, con il titolo "Robert Conquest ce l'aveva detto: l'orrore di Stalin non ha giustificazioni", il commento di Gianni Riotta; dal CORRIERE della SERA, a pag. 39, con il titolo "Addio a Conquest, indagò sui delitti del regime di Stalin", il commento di Federigo Argentieri.

Ecco gli articoli:

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Robert Conquest

LA STAMPA - Gianni Riotta:  "Robert Conquest ce l'aveva detto: l'orrore di Stalin non ha giustificazioni"

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Gianni Riotta

Sarebbe dura fare il marketing di una bottiglia di vino con i baffi di Hitler sull’etichetta e solo qualche vecchio camerata appenderebbe nel tinello una tela di Warhol con il cranio pelato di Mussolini. Invece i baffi di Giuseppe Stalin sono spesso bonariamente citati come kitsch di un’epoca perduta e il faccione di Mao Tse-tung è gadget amato dai turisti. Chi studia con attenzione la storia del XX secolo apprende che dalle politiche, gli errori e la ferocia cinica dei dittatori di Mosca e Pechino sono derivati milioni di morti (50? 60? la ragioneria dell’orrore si divide), ma troppi se ne dimenticano.

Lo storico inglese Robert Conquest, scomparso a 98 anni, a lungo non riuscì a comprendere questo divario etico, perché europei e americani fossero inflessibili nello sdegno contro i crimini del nazifascismo ma, affascinati dalla propaganda comunista, si sforzassero di trovare giustificazioni razionali ai 20 milioni di caduti nei gulag in Siberia o per la carestia (questo il calcolo di Conquest), in nome della Storia hegeliana. Il critico letterario George Steiner recensendo per la rivista The New Yorker la prima traduzione dell’Arcipelago Gulag di Aleksandr Solzenicyn, lo accusava sfrontato di «mancanza di intelligenza storica» e «semplificazioni», per non avere saputo comprendere le radici lontane della deriva sanguinaria di Stalin.

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Il Grande Terrore, di Robert Conquest

L’opposto di Hobsbawm
Conquest, mentre redigeva i suoi colossali libri di racconto storico delle purghe e della politica staliniana (Stalin, Il grande Terrore, Il secolo delle idee assassine, Raccolto di dolore, Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli) restava perplesso davanti alle reazioni di un altro storico insigne, il marxista inglese Eric Hobsbawm, che mai scriveva un paragrafo contro l’orrore dello stalinismo. Alla caduta dell’Urss, tra il 1989 e il 1991, il sofisticato Times Literary Supplement chiede a Hobsbawm «Lei dunque ritiene che se il Sol dell’Avvenire fosse infine davvero sorto sull’Urss, la morte di 15, di 20 milioni di esseri umani sarebbe stata giustificata?», e Hobsbawm rispose serafico «Sì».

Come lui, magari schermati da un filo di furbizia, pensavano - e ancora pensano - milioni di intellettuali. Conquest si ribellava con il suo lavoro al doppio standard. Prima che la caduta del Pcus aprisse gli archivi di Mosca (oggi riprotetti dalla censura di Putin), lo storico documenta che le stragi del Terrore non erano affatto «eccessi», «errori», «deformazioni», come il Rapporto di Krusciov al XX Congresso del partito prova a dire, ma strategica pianificazione della morte, la tortura e la deportazione come strumento di dominio. Dalla nascita dell’Urss sotto Lenin alla successione di Stalin e l’eliminazione dei fondatori del partito bolscevico, fino alla persecuzione degli intellettuali, dei dissidenti, delle minoranze etniche, di interi ceti sociali, lo stalinismo era un progetto totalitario, razionale, non la degenerazione di un sogno romantico, come nelle illusioni appena velate di cinismo di Hobsbawm e i suoi seguaci.

Esorcizzato a sinistra
A lungo Conquest venne perciò esorcizzato a sinistra, isolato, le sue ricerche discusse e ridicolizzate. Quando gli stessi storici russi, offrendo a piene mani prove documentarie, confermano invece la sua tesi, lui schizza un nuovo, ribaldo, titolo per i suoi libri, proponendo ironicamente che vengano chiamati «Ve l’avevo detto io, fottuti idioti!».

Conquest era stato militare in Gran Bretagna, aveva lavorato per i servizi segreti inglesi, non immaginando che fossero infiltrati fino al midollo da spie staliniste, ma la sua prima vocazione era stata la poesia. Voleva passare la vita a comporre versi e letteratura, nel «Movimento» con Kingsley Amis, Philip Larkin, Thom Gunn, ma finì invece alla London School of Economics a capire l’Urss. Non amava sentirsi chiamare «cremlinologo», l’oscura setta degli «esperti» di Urss che discettava dei movimenti tettonici della politica russa, senza vedere l’orrore del sistema: il corrispondente del New York Times da Mosca, Walter Duranty, ricevette un premio Pulitzer per il suo lavoro, che purtroppo consisteva nel dire che a Mosca c’erano lavoro, benessere e libertà e le denunce dei processi e delle purghe erano propaganda anticomunista.

Del passato giovanile di poeta Conquest mantenne lo stile forte, letterario, da storico-scrittore. Rileggerlo oggi ci ricorda come l’ipocrisia di chi giustifica il male corrente per stupidità o interesse può fare male, e tanto, nel presente, ma nella Storia verrà presto smascherata come opera di «fottuti idioti».

CORRIERE della SERA - Federigo Argentieri: "Addio a Conquest, indagò sui delitti del regime di Stalin"

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Federigo Argentieri

Robert Conquest, deceduto alla rispettabile età di 98 anni compiuti, può essere senz’altro considerato, assieme ad Alec Nove e Robert Tucker, come uno dei massimi studiosi occidentali di prima generazione dell’Urss e del comunismo. Nato proprio nel 1917, l’anno della rivoluzione russa, da padre americano e madre inglese, conosciutisi sul fronte occidentale della Grande guerra, compì studi di prim’ordine e nel 1937 giunse ad Oxford, dove aderì al piccolo ma combattivo Partito comunista della Gran Bretagna. Una simile scelta, per giunta effettuata proprio in quello che si sarebbe rivelato l’anno più tragico e spietato della dittatura staliniana, avrebbe pesato come un macigno su tutta la sua vita, influenzando — assai più del conseguimento di un dottorato in storia sovietica, materia allora del tutto sperimentale — non solo il suo desiderio di conoscere e far conoscere le vicende dell’Urss, ma anche talvolta una certa eccessiva drasticità di giudizio, che però non fu mai tale da inficiare il valore complessivo della sua opera.

L’esperienza vissuta nella Seconda guerra mondiale, sia come soldato che come diplomatico e studioso, lo rese pienamente consapevole del carattere tirannico dei regimi comunisti che andavano espandendosi in Europa orientale man mano che l’Armata rossa avanzava: come avrebbe poi efficacemente detto Vjaceslav Molotov nelle sue memorie, la dichiarazione di Yalta sull’Europa liberata andava disattesa nel momento stesso in cui veniva firmata. Tornato in patria nel 1948 dalla Bulgaria, dove aveva prestato servizio presso l’ambasciata britannica, Conquest fu assegnato al dipartimento ricerca e informazione del Foreign Office, dove lavorava anche George Orwell: erano gli anni più duri della guerra fredda, che da parte occidentale furono combattuti da un governo laburista, ossia socialdemocratico, guidato da Clement Attlee e un’amministrazione americana democratica guidata da Harry Truman, e quell’ufficio era incaricato di svolgere contro-propaganda su quanto realmente l’Urss e i partiti comunisti facevano, sia al potere che all’opposizione. Lasciato ogni incarico governativo nel 1956, Conquest si dedicò a tempo pieno alla redazione di opere storico-politiche.

Nel 1968 uscì la più importante, Il Grande Terrore , che analizzava gli anni delle cosiddette purghe staliniane in base a testimonianze e altre fonti «aperte», ma che vent’anni dopo resse benissimo all’apertura degli archivi ex sovietici, confermando in sostanza la validità di quasi tutti gli elementi raccolti quando tali documenti erano inaccessibili: l’edizione riveduta e corretta (uscita in italiano dalla Bur nel 1999) può essere considerata il testo quasi definitivo in materia. La successiva monografia dedicata all’atto iniziale del terrore, l’assassinio di Kirov (1989, non uscita in italiano), soffre invece dei giudizi troppo drastici di cui sopra e manca talvolta del ragionevole dubbio che, in assenza di documenti inoppugnabili, deve essere sempre vigile nello storico di vaglia.

Quasi tutte le opere di Conquest sono state pubblicate e diffuse in Italia, ma ve n’è una che provoca reazioni irragionevoli in alcuni settori: si tratta di Raccolto di dolore , uscito nel 1986 e pubblicato in Italia solo nel 2004 dalle edizioni Liberal dopo essere stato tradotto e lasciato in un cassetto da un noto editore nazionale. Accettare l’idea che Stalin nel 1932-33 compì un genocidio contro i contadini e contro l’Ucraina porta troppo vicino all’equazione Stalin=Hitler, che da noi risulta ancora indigesta. Intanto però la storiografia va avanti e aspettiamo fiduciosamente la versione italiana del recente studio di Norman Naimark, collega di Conquest a Stanford, intitolato Stalin’s Genocides (al plurale).

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