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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Stampa - Libero Rassegna Stampa
05.08.2015 Iran 'fattore di stabilità'? Ma se è il più grande sponsor del terrorismo islamico!
Le 'dimenticanze' di Roberto Toscano e di Paolo Gentiloni in un articolo di Francesca Paci, due titoli di Libero

Testata:La Stampa - Libero
Autore: Roberto Toscano - Francesca Paci
Titolo: «L'Iran non vuole né la guerra né la pace - Gentiloni: Teheran sarà decisiva in Siria»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/08/2015, a pag. 1-25, con il titolo "L'Iran non vuole né la guerra né la pace", l'analisi di Roberto Toscano; a pag. 15, con il titolo "Gentiloni: Teheran sarà decisiva in Siria", l'analisi di Francesca Paci, che riporta le dichiarazioni di Paolo Gentiloni; segue il nostro commento a due titoli di LIBERO.

Ecco gli articoli:

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Roberto Toscano: "L'Iran non vuole né la guerra né la pace"

Roberto Toscano non si esime dal definire il libro di Khamenei "inaccettabile e criminale", ma nella sua analisi non considera minimamente il pericolo, in primo luogo per Israele e per i Paesi arabi, ma più in generale per il mondo tutto, di un Iran dotato di ordigni nucleari. Sfugge inoltre a Toscano il disegno complessivo dell'Iran degli ayatollah, un disegno aggressivo ed espansionista. Così come sfugge il sostegno diretto ai terroristi di Hezbollah e quello economico a Hamas.
Ci chiediamo se Toscano legga gli articoli di Maurizio Molinari sulla stessa STAMPA, al quale invece non sfugge proprio nulla del pericolo che l'Iran nucleare rappresenta.

Ecco il pezzo:

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Roberto Toscano

L’ultimo libro dell’ayatollah Khamenei («Palestina») non sarà di certo un best-seller ma, ancora prima di essere in distribuzione in una versione integrale in lingua inglese, ha subito dato il via a una serie di allarmate considerazioni. A poca distanza dallo storico accordo sul nucleare, Khamenei sembra riproporre il profilo di un regime tutt’altro che disponibile al dialogo e invece radicalmente intransigente nel riaffermare una propria invariata identità antiamericana e antisionista. Con uno scenario di indebolimento di Israele sotto la pressione di Hezbollah e di Hamas al punto da indurre la sua popolazione a lasciare il Paese. Si potrebbe dire, un disegno che è di pulizia etnica invece di genocidio, ma che rimane inaccettabile e criminale.

Una certa cautela nel dare per buona l’anticipazione ci viene suggerita dalla sua fonte: Amir Taheri, un emigrato iraniano con un curriculum giornalistico non troppo attendibile fatto di ripetuti scoop spesso rivelatisi infondati.
Eppure i contenuti del presunto libro non sono affatto incredibili. Essi confermerebbero anzi le valutazioni di molti analisti della politica iraniana sulla fase che si è aperta con l’accordo nucleare di Vienna.
Non si tratta, come qualcuno cercherà certamente di dedurre soprattutto a Washington, di una marcia indietro del regime sull’accordo stesso, ma se mai di una conferma che – come del resto non ha mancato di sottolineare il presidente Obama – l’intesa sul nucleare non comporta il superamento delle rivalità geopolitiche e ancor meno un abbandono da parte del regime iraniano dei suoi tratti identitari e delle sue ambizioni.

Come ha scritto qualche giorno fa il presidente dell’American Iranian Council, un’organizzazione di cittadini americani di origine iraniana, la linea invariabilmente e coerentemente sostenuta da Khamenei nei suoi rapporti con Washington è «Niente guerra, niente pace». Convinto che l’inasprirsi, soprattutto con le sanzioni, del rapporto con gli Stati Uniti avesse fatto troppo pendere l’ago della bilancia verso l’ipotesi di un conflitto – sicuramente disastroso per il Paese e per il regime – Khamenei ha dato il proprio sostegno al presidente Rohani e al ministro degli Esteri Zarif, permettendo così che, con l’accettazione di un sostanziale compromesso, si potesse raggiungere l’accordo. Ma il Leader Supremo ha altrettanto paura della pace quanto ne ha della guerra, e allora in questa fase - resa delicata dagli entusiasmi dei cittadini iraniani, che tornano a sperare in un Paese più libero – si capisce che voglia cercare non solo di smorzare le speranze, ma di rendere impossibile, alzando i toni della retorica e dell’ideologia, ulteriori passi avanti in un cammino che, nella sua ottica di conservazione del regime, potrebbe portare troppo avanti e risultare incontrollabile.

Negli incubi di Khamenei c’era senz’altro la fine di Saddam, ma oggi probabilmente prevale la consapevolezza delle conseguenze del ruolo di Gorbaciov, cioè della fine di un regime in parallelo con un processo di negoziato e distensione. Il regime iraniano, in altri termini, non ritiene di potersi permettere né la guerra né la pace.
Ma l’errore dei regimi, di tutti i regimi, è quello di ritenere di poter controllare con ideologia e repressione l’andamento di grandi fenomeni sia a livello internazionale che all’interno delle singole società.

Khameni può ammonire, scrivere, intimidire. Ma il popolo iraniano, che con l’accordo sul nucleare comincia a intravedere la possibilità di ottenere senza guerra e senza rivoluzioni un miglioramento delle proprie condizioni sia in termini di benessere che di libertà, non verrà facilmente distolto dalle proprie aspirazioni.
Sul piano internazionale, poi, in Iran si rafforza il consenso sul fatto che le esigenze di sicurezza del Paese non richiedono certamente una retorica truculenta stile Ahmadinejad e un avventurismo stile «molti nemici/molto onore», ma la disponibilità a raggiungere con americani ed europei su altri temi (per primo la Siria) compromessi come quelli che hanno permesso l’accordo nucleare.

Francesca Paci: "Gentiloni: Teheran sarà decisiva in Siria"

Il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni afferma che uno degli obiettivi degli accordi con l'Iran era "coinvolgere l’Iran nella stabilizzazione della regione e nella lotta al terrorismo". Dimentica, però, che l'Iran a oggi è il più grande sponsor di terrorismo in Medio Oriente, da Gaza allo Yemen, dalla Siria al Libano all'Iraq. La somiglianza del nostro Ministro degli Esteri con Federica Mogherini si fa sempre più evidente.

Ecco il pezzo:

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Francesca Paci, Paolo Gentiloni

I negozi di Teheran sono in buona parte chiusi per ferie. Ma ad animare l’estate della capitale iraniana ci pensano le delegazioni internazionali che dall’accordo sul nucleare raggiunto due settimane fa si avvicendano per sondare l’orizzonte. Molti imprenditori vengono in avanscoperta. L’Italia vanta invece una lunga storia di amicizia con il Paese che nei caffè cita ancora Enrico Mattei e il suo tentativo di difendere la produzione petrolifera locale dagli appetiti stranieri. La visita del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, atterrato ieri con la collega dello sviluppo economico Federica Guidi, sigla l’endorsement del rilanciato dialogo politico ma punta anche al ritorno delle nostre aziende in vista della revoca progressiva dell’embargo.

«Il nostro Paese vuole recuperare il ruolo di primo piano tornando ai livelli precedenti alle sanzioni quando era il primo partner commerciale del Paese», spiega Gentiloni al termine del colloquio con l’omologo Zarif. Ad accompagnarlo nella due giorni iraniana ci sono una trentina di realtà imprenditoriali italiane, rappresentanti di un tessuto di relazioni che ai tempi d’oro si aggirava sui 7,4 miliardi. Il ministro italiano è convinto che nel giro di due anni si possa raddoppiare il volume d’interscambio del 2014 (1,6 miliardi di euro).
«L’accordo crea un clima nuovo», ripete da metà luglio il presidente iraniano Rohani. Gentiloni ne ha parlato con Zarif: «Oggi si apre una fase di consolidamento affinché le conseguenze dell’accordo, per cui l’Italia è stata in prima fila in Europa, si riflettano sul piano politico ed economico. L’obiettivo dei negoziati era prevenire rischi ma anche creare le condizioni per coinvolgere l’Iran nella stabilizzazione della regione e nella lotta al terrorismo».

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I terroristi di Hezbollah dipendono direttamente da Teheran


Non solo il nucleare
Non tutti i Paesi vicini brindano. Nei giorni scorsi il segretario di Stato Usa Kerry ha pendolato tra Cairo e Doha per rassicurare i malmostosi. Gentiloni sta facendo lo stesso: «Sappiamo che Israele e Arabia Saudita sono preoccupati ma l’Italia può contribuire al dialogo, venerdì vedrò a Roma il ministro degli Esteri saudita. L’accordo di Vienna non va letto solo relativamente al nucleare». Con il ministro degli Esteri iraniano Zarif ha ragionato della crisi siriana e della minaccia Isis: «Dobbiamo essere ambiziosi e non troppo impazienti, c’è ancora molta strada da fare prima dell’implementation day (la revoca delle sanzioni, ndr). Gli scettici avranno modo di vedere per esempio un’apertura dell’Iran sulla Siria. Da mesi le posizioni estreme su cui erano arroccate la comunità internazionale e la regione, divise tra chi voleva bombardare Assad e chi lo voleva al suo posto, si sono avvicinate. Oggi appare più realistico un processo di transizione che faccia i conti con la realtà ma ponga almeno alla fine l’obiettivo del cambiamento. L’Iran darà un contributo».

Economia e politica. La cena che in serata mette intorno al tavolo la delegazione italiana, i viceministri iraniani di petrolio, commercio e affari esteri più big di colossi elettrici come Tavanir rende l’idea della posta in gioco. Nei giorni scorsi il presidente francese Hollande, non esattamente un fan dell’accordo, ha invitato a Parigi il collega Rohani. L’Italia ha buone carte in mano. L’ultimo numero del settimanale economico iraniano «Asia» apriva sull’imprenditore dei pellami Marco Palmieri al suo debutto in un centro commerciale di Teheran.

«L’Iran ha le infrastrutture, autostrade, ferrovie, teleferiche per le miniere, c’è un sistema economico che era inesistente nella Russia dei primi Anni 90 e che offre opportunità sconfinate» nota il businessman Emmanuel Gout che con il socio Fabio Bassan lancerà a settembre a Teheran uno studio legale italo-iraniano specializzato in diritto commerciale. «L’Iran ha bisogno di partnership più che di chi gli venda prodotti» chiosa Gentiloni. Economia, politica e joint venture. La scommessa italiana.

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LIBERO titola due pezzi, pubblicati sull'edizione di oggi del quotidiano, a pag. 12-13, "Teheran è il peggior nemico dei tagliagole del Califfato" e "L'Italia con noi iraniani farà 3 miliardi in 4 anni". Queste ultime sono parole dell'ambasciatore iraniano in Italia Mozaffari. Un nome una garanzia di grossi scambi tra il nostro Paese e la feroce dittatura islamica degli ayatollah. E se a fare le lodi dell'Iran è un giornale come Libero...

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