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La Repubblica Rassegna Stampa
03.08.2015 Che Ali Dawabsheh non sia dimenticato. Ma anche i Fogel, Chaya Zisel Braun, Daniel Turgeman, Einat Haran e altre centinaia di bambini uccisi dai terroristi palestinesi
L'appello di David Grossman

Testata: La Repubblica
Data: 03 agosto 2015
Pagina: 12
Autore: David Grossman
Titolo: «Il mio appello alle destre israeliane»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/08/2015, a pag. 12-13, con il titolo "Il mio appello alle destre israeliane", il commento di David Grossman.

E' importante che Ali Dawabsheh non esca dalle nostre menti, come scrive Grossman. Ugualmente, non vorremmo che venissero dimenticati anche altri bambini, questa volta ebrei, trucidati da terroristi palestinesi e incensati come "martiri" ed eroi dalle massime autorità palestinesi a Gaza e a Ramallah. Chiediamo a David Grossman che non dimentichi anche questi crimini, che non dimentichi anche questi nomi: i nomi dei tre bambini della famiglia Fogel, uccisi insieme ai genitori, quello della piccola Chaya Zisel Braun, investita con un'auto a morte a tre mesi, quello di Daniel Turgeman, ucciso a quattro anni da un missile di Hamas, quello di Einat Haran, uccisa insieme al padre da Sami Kuntar (nella Cartolina di oggi Ugo Volli ne racconta la storia). E centinaia di altri. Se David Grossman.li avesse ricordati quando sono stati uccisi, avremmo sottoscritto senza scrivere altro il suo appello di oggi.

Ecco l'articolo:

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David Grossman

Quel bambino, Ali Saad Dawabsheh, non mi esce di mente. Nemmeno la scena mi esce di mente: la mano di un uomo apre una finestra in piena notte e lancia una bottiglia incendiaria in una stanza dove dormono madre, padre e due bambini. I pensieri, le immagini, sono strazianti. Chi è la persona, o le persone, capaci di un simile gesto? Dopo tutto loro, o i loro complici, questa mattina girano ancora fra noi. È forse possibile veder loro addosso un segno di ciò che hanno fatto? E cosa hanno dovuto cancellare dentro di loro per voler annientare così un’intera famiglia?

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Ali Dawabsheh e il rogo dell'abitazione

Benjamin Netanyahu e alcuni ministri di destra si sono affrettati a condannare con fermezza l’omicidio. Netanyahu si è anche recato in ospedale per una visita di condoglianze e ha espresso sgomento per l’accaduto. La sua è stata una reazione umana, sincera, e la cosa giusta da fare. Ciò che è difficile capire è come il capo del governo e i suoi ministri possano ignorare il legame tra il fuoco da loro attizzato per decenni e le fiamme degli ultimi avvenimenti. Come non vedano il nesso tra l’occupazione della Cisgiordania che dura da quarantotto anni e la realtà buia e fanatica creatasi ai margini della coscienza israeliana.

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La famiglia Fogel, sterminata in un attacco notturno nella loro casa da due terroristi palestinesi

Una realtà i cui sostenitori e propugnatori aumentano di giorno in giorno, che si fa sempre più centrale, accettabile e legittima agli occhi dell’opinione pubblica, della Knesset e del governo. Con una sorta di ostinata negazione della realtà il primo ministro e i suoi sostenitori si rifiutano di capire nel profondo la visione del mondo che si è cristallizata nella coscienza di un popolo conquistatore dopo quasi cinquant’anni di occupazione. L’idea, cioè, che ci sono due tipi di esseri umani. E il fatto che uno sia assoggettato all’altro significa, probabilmente, che per natura è anche inferiore all’altro. È, come dire, meno “umano” di chi l’ha conquistato. E questo fa sì che persone con una certa struttura mentale prendano la vita di altri esseri umani con agghiacciante facilità, anche se quell’essere umano è un bambino di solo un anno e mezzo.

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Chaya Zisel Braun

In questo senso, gli episodi di violenza dello scorso fine settimana (l’aggressione al Gay Pride e l’omicidio del bambino) sono interconnessi e scaturiscono da una simile visione del mondo: in entrambi l’odio — l’odio in sé, essenziale, istintivo — è per alcuni un motivo legittimo e sufficiente per uccidere, per distruggere la persona odiata. Chi ha dato fuoco alla casa della famiglia Dawabsheh non sapeva nulla di loro, dei loro desideri, delle loro opinioni. Sapeva solo che erano palestinesi e questo per lui, per i suoi mandanti e sostenitori, era una ragione sufficiente per ucciderli. In altre parole la loro stessa esistenza giustificava, a suo vedere, l’omicidio e la loro scomparsa dalla faccia della terra. Da oltre un secolo israeliani e palestinesi girano e rigirano in una spirale di omicidio e vendetta. Nel corso della lotta i palestinesi hanno trucidato centinaia di bambini israeliani, sterminato intere famiglie e commesso crimini contro l’umanità.

Anche lo stato di Israele ha compiuto azioni analoghe contro i palestinesi utilizzando aerei, carri armati e armi di precisione. Ricordiamo bene ciò che è successo un anno fa durante l’operazione “Margine di protezione”. Ma il processo in atto in questi ultimi anni all’interno di Israele, la sua forza e le sue ramificazioni maligne sono pericolosi e devastanti in un modo nuovo e insidioso. Si ha la sensazione che nemmeno ora la leadership israeliana capisca (o rifiuti di ammettere una realtà che le è insopportabile) che elementi terroristici al suo interno le hanno dichiarato guerra e che essa non è in grado, oppure teme, oppure è incerta se sia il caso di decifrare questa dichiarazione in maniera esplicita. Giorno dopo giorno escono allo scoperto forze brutali e fanatiche, oscure ed ermetiche nel loro estremismo. Forze che si esaltano alla fiamma di una fede religiosa e nazionalista e ignorano completamente i limiti della realtà e le regole della morale e del buon senso. In questo turbinio interiore la loro anima si intreccia inesorabilmente con le linee più radicali, e talvolta più folli, dello spirito umano. Più la situazione si fa pericolosa e incerta, più queste forze prosperano. Con loro non ci può essere nessun compromesso. Il governo israeliano deve combatterle esattamente come combatte il terrorismo palestinese perché non sono né meno pericolose né meno determinate. Sono forze massimaliste e in quanto tali, si sa, potrebbero anche commettere errori madornali. Per esempio colpire le moschee sulla Spianata del Tempio, un atto che potrebbe avere conseguenze disastrose per Israele e per tutto il Medio Oriente.

È possibile che l’orribile fine del bimbo bruciato vivo riscuota i leader della destra e li porti a capire finalmente ciò che la realtà grida alle loro orecchie da anni? Ovvero che l’occupazione e la mancanza di un dialogo con i palestinesi potrebbero avvicinare la fine di Israele in quanto stato del popolo ebraico e paese democratico? Come luogo con il quale i giovani si identificano, dove vogliono vivere e crescere i loro figli? Netanyahu capisce veramente, nel profondo, che in questi anni, mentre si dedicava anima e corpo a ostacolare l’accordo con l’Iran, si è creata qui una realtà non meno pericolosa della minaccia iraniana? Una minaccia dinanzi alla quale lui appare smarrito e si comporta di conseguenza? È difficile vedere come sia possibile sbrogliare questo groviglio e riportare le cose a una situazione di razionalità.

La realtà creata da Netanyahu e dai suoi amici (nonché dalla maggior parte dei suoi predecessori), la loro acquiescenza all’attivismo dei coloni, la loro profonda solidarietà con loro, li hanno catturati in una rete che li ha resi impotenti e paralizzati. Da decenni Israele mostra ai palestinesi il suo lato oscuro. L’oscurità, da tempo ormai, è filtrata al suo interno e questo processo si è accelerato notevolmente in seguito alla vittoria di Netanyahu alle ultime elezioni dopo la quale nessuna forza contrasta più l’arroganza della destra. Episodi orrendi come l’omicidio del bambino bruciato vivo sono in fondo il sintomo di una malattia molto più grave e segnalano a noi israeliani la serietà della nostra situazione dicendoci, a lettere di fuoco, che la strada per un futuro migliore ci si sta chiudendo davanti.

Traduzione di Alessandra Shomroni

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