Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/08/2015, a pag.27, con il titolo " Se essere 'intelligenti' significa cedere ai nemici della libertà " il commento di Pierluigi Battista a una intervista di Hanif Kureishi.
Hanif Kureishi Pierluigi Battista
Tutto si può dire dello scrittore Hanif Kureishi, traine che sia un ipocrita. All'intervistatore di El Pais che gli chiede se trova lecita la bestemmia, Kureishi non adopera parole impegnative come «rispetto» per dire che lui non vuole bestemmiare. No, dice, non bestemmio, non uso espressioni blasfeme contro l'Islam perché, testuale, «non sono così stupido». Non è contro la bestemmia per qualche nobile motivo, perché non si inveisce contro il Dio in cui credono milioni di persone, perché non si oltraggia la divinità, perché non si deve offendere la fede di chicchessia. Non si deve bestemmiare, perché bestemmiare è un gesto poco intelligente.
Poco intelligente in che senso? Nel senso che devi essere intelligente per capire che se bestemmi ti accoppano, che finisci male, che vieni coinvolto in una carneficina, come i poveri vignettisti, che stupidi che erano, di Charlie Hebdo. Infatti Kureishi, per denigrare quei poveri che stanno sotto terra, ammazzati come cani dai fanatici fondamentalisti dell'islamismo politico radicale, ribadisce il concetto: quelle vignette che sono costate la vita ai disegnatori del settimanale non erano «intelligenti».
Se fossero state intelligenti, se avessero satireggiato soltanto su cristiani ed ebrei, allora sì, non sarebbeio state stupide e non sarebbe successo nulla. Erano così idiote da aver riso dell'Islam e allora se la sono proprio andata a cercare, quella strage.
Scemi. Morti e scemi. Mica intelligenti come Kureishi. Finalmente, è la fine dell'ipocrisia. Non si bestemmia, dice Kureishi, perché si valutano le conseguenze intelligentemente. E' la paura che non deve far bestemmiare, non il rispetto per la fede altrui, come sostengono virtuosamente i nemici della libertà d'espressione che, come Joyce Carolo Oates e altre decine di scrittori contrari al premio dedicato al settimanale decimato, hanno colto l'occasione del massacro di Charlie Hebdo per avanzare pensose considerazioni sui «limiti» che la libertà d'espressione deve tassativamente onorare.
Come se il problema fosse l'irriverenza di un pugno di vignettisti e non le condanne a morte comminate in tutto il mondo islamico con la grottesca motivazione della «blasfemia».
E' la paura: ecco il motivo per cui è «intelligente» autocensurarsi, rinunciare alla libertà di parola, alla libertà di disegnare, alla libertà di dire sciocchezze, di pubblicare brutte vignette senza incorrere nei rigori della condanna a morte: Kureishi, anche senza volerlo, strappa il velo della doppiezza che ha sinora coperto chi mette sullo stesso piano chi pronuncia battute blasfeme e chi uccide per una battuta blasfema.
Recentemente un numero speciale della rivista Nuovi argomenti ha dimostrato quanto gli scrittori e gli intellettuali, cioè le categorie che quasi professionalmente dovrebbero essere affezionati all'integrità del diritto di dire e di scrivere, tengano ben poco alla libertà d'espressione.
Tutto un eccepire sul cattivo gusto delle vignette blasfeme, un'esplosione di antipatia per le vittime del fondan6entalismo fanatico, un nascondersi dietro l'etichetta dell'«opportunità», dell'autocontrollo, della censura, della necessità di non offendere.
Nessuno, però ha avuto il coraggio di Kureishi e di tirare fuori l'argomento decisivo: la paura. La paura di essere ammazzati, perseguitati, imbavagliati, di essere estromessi dal circuiti del festival e dei convegni attanagliati dal terrore, lo stesso terrore che ha suggerito a un museo inglese di nascondere un quadro che raffigurava Maometto.
Lo stesso terrore che impedisce alle Università americane di invitare Ayaan Hirsi Ali, un'«apostata» che ha la fierezza e il coraggio di battersi contro il fondamentalismo islamista e che perciò conduce una vita blindata ed emarginata dalle accademie.
Che sono più «intelligenti», direbbe Kureishi, ed evitano di mettersi nei guai. Parlano di «rispetto» e di «buon gusto» per non dire la verità, perché la critica alle bestemmie non è davvero sentita, ma è agitata solo in alcuni casi e indovinate quali.
Hanif Kureishi l'ha indovinato e perciò evita accuratamente di dimostrarsi poco «intelligente» come il 'suo amico Salman Rushdie, che ebbe la stupidità di scrivere un libro libero e perseguitato dai nemici della libertà. Avrebbe dovuto essere più intelligente.
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