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La Stampa Rassegna Stampa
01.08.2015 Anche in Israele, come in ogni Paese, esistono criminali : quelli ebrei però meritano le prime pagine
Cronaca e analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 01 agosto 2015
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Assalto di terroristi ebrei, bimbo palestinese arso vivo - Quei 100 coloni che difendono la 'loro' terra con odio e violenza»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/08/2015, a pag. 1-13, con i titoli "Assalto di terroristi ebrei, bimbo palestinese arso vivo" e "Quei 100 coloni che difendono la 'loro' terra con odio e violenza", cronaca e analisi di Maurizio Molinari.

A destra: la casa data alle fiamme

Ecco gli articoli:

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Maurizio Molinari

"Assalto di terroristi ebrei, bimbo palestinese arso vivo"

Terroristi ebrei uccidono con le fiamme un neonato palestinese e Israele è sotto choc per l’atto di barbarie. L’attacco avviene a Douma, piccolo villaggio arabo vicino a Nablus, poco dopo le 4 del mattino. Gli aggressori gettano bombe incendiarie dentro due case. Ali Saad Dawabashe muore in culla, il resto della famiglia subisce gravi ustioni, la rabbia si diffonde nei Territori e il presidente israeliano Reuven Rivlin scuote la nazione: «È un delitto orrendo, basta lassismo contro il terrorismo interno».

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Reuven Rivlin


L’attacco incendiario ha investito in pieno la famiglia Dawabasha. Sono estese le ferite subite dalla madre Reham e dal fratello di 4 anni Ahmed. Anche il padre Saad viene ricoverato. Gli autori del blitz lasciano sulle mura annerite le scritte in ebraico «Vendetta», «Price Tag» e «Lunga vita al Messia» affiancandole a stelle di David. È la firma dei gruppi estremisti ebraici che dal 2005 bersagliano gli arabi e dal 2012 hanno intensificato gli attacchi. Usando sempre più spesso il fuoco. Nell’estate scorsa l’adolescente Mohammed Abu Khdeir, di Shuafat, venne dato alle fiamme in un bosco fuori Gerusalemme e in luglio con un incendio doloso hanno devastato la chiesa della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci a Tiberiade. Il presidente israeliano Rivlin si reca in visita alla famiglia Dawabasha nell’ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv - dove sono ricoverati - e adopera toni aspri: «Come combattiamo il terrorismo esterno così dobbiamo combattere quello interno, bisogna porre fine al lassimo nei confronti di tale pericolo per l’intera nazione». Il linguaggio cela una esplicita richiesta: il movimento estremista «Price Tag» deve essere dichiarato «gruppo terroristico» per consentire alle forze dell’ordine di combatterlo come avviene per i jihadisti.

Il premier Benjamin Netanyahu telefona al presidente palestinese Abu Mazen chiedendo di «batterci assieme contro il terrorismo che ci minaccia entrambi, chiunque sia a commetterlo» e i comandi militari in Cisgiordania incontrano i parigrado palestinesi per assicurare che «nulla sarà risparmiato al fine di catturare e punire i responsabili di questo orrendo delitto» come riassume Gadi Eisenkot, capo dello Stato Maggiore.

«Jihad ebraica»
Israele teme l’impatto di quella che «Yedioth Aharonot», il maggiore quotidiano, definisce «Jihad ebraica» perché i rimedi finora adottati non hanno frenato le violenze. Nei Territori l’impatto è immediato, è una giornata di violenze: un palestinese viene ucciso ai confini con Gaza, la folla ai funerali della vittima grida «Vendetta» innalzando i drappi gialli di Al fatah, un’auto israeliana viene bersagliata dal fuoco a Kochav Hashacar e nella Città Vecchia di Gerusalemme è battaglia fra soldati e manifestanti mentre un incendio doloso assedia l’insediamento di Beit Hagai.

Hamas da Gaza proclama il «Giorno della rabbia» e fa sapere che «da questo momento ogni israeliano è legittimo obiettivo» mentre Abu Mazen imputa la morte del piccolo Ali alla «politica di colonizzazione dei Territori da parte di Israele» e preannuncia una denuncia al Tribunale penale internazionale perchè «è un crimine di guerra». Anche Amman rimprovera a Israele di «voltare le spalle alla pace» mentre il Segretario generale dell’Onu Ban Ki moon affianca la condanna alla richiesta di «far prevalere la calma».

"Quei 100 coloni che difendono la 'loro' terra con odio e violenza"

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La scena del rogo

Precetti per uccidere i non-ebrei, esaltazione della strage di Hebron del 1995, tattiche paramilitari contro i soldati e il progetto di un’enclave «estranea a Israele»: è la miscela di insegnamenti e violenza che il rabbino Yizhak Ginzberg dissemina dall’accademia di «Od Joseph Hai» nell’insediamento di Yizhar, roccaforte dell’ala violenta di «Price Tag», il gruppo autore della maggioranza degli attacchi contro gli arabi in Cisgiordania.

La ribellione
Nel libro «Baruch Hagever» Ginzburg elogia la strage compiuta da Baruch Goldestein nel 1995 nella Grotta dei Patriarchi, (29 palestinesi morti 125 feriti), e il suo braccio destro Yizhak Shapira nel libro «I re della Torah» si spinge a legittimare l’uccisione dei bambini non-ebrei perché «se cresceranno diventeranno Diavoli come i genitori»: sono i semi di un odio che ha trasformato l’accademia del piccolo insediamento di Yizhar nel baluardo di «Price Tag», il movimento di protesta nato contro il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza nel 2005 per evitare qualsiasi nuovo smantellamento di insediamenti ebraici. L’unità dello Shin Beth - il controspionaggio israeliano - impegnata a combattere i gruppi estremisti ebraici nel 2013 ha redatto un rapporto - trapelato sui media - secondo cui «sono circa 100» gli attivisti di questa «ala violenta» che formalmente sono di Yizhar ma in realtà vivono sulle «cime delle colline» nell’area fra Yizhar, Elon Moreh e Har Beracha, nei pressi di Nablus, in caravan e case mobili difese da guardie armate.

Gli attacchi
Non a caso la maggioranza degli attacchi, con armi e bombe incendiarie, messi a segno negli ultimi 36 mesi è avvenuto in 14 piccoli villaggi palestinesi dell’area di Nablus – il più colpito è Burin – dove si trova anche Douma, teatro dell’attacco di ieri. Attorno a questo «nucleo duro» ci sono, secondo lo Shin Beth, circa tremila «sostenitori o fiancheggiatori» presenti in altri «insediamenti illegali» in specifiche aree della Cisgiordania: a Nord di Ramallah e Sud di Hebron. Si tratta di estremisti che pianificano attacchi in due direzioni: colpire gli arabi per «restituire la violenza subita» e ostacolare i militari israeliani per impedire lo smantellamento di «avamposti illegali».

Il manuale
Nel manuale «Outpost Defense Program» - redatto in ebraico ed inglese - si spiega come «cinque gruppi separati di militanti devono condurre altrettante azioni isolate» per poter «distogliere i soldati dall’intento di demolire» struttura illegali. Vi sono poi gli attacchi condotti dentro i confini di Israele pre-1967, circa il 20% del totale, e sono contro i cristiani - come la chiesa della Moltiplicazione a Tiberiade, data alle fiamme in giugno - oppure contro esponenti di spicco della sinistra anti-insediamenti: dal politologo Zeev Sternell a Hagit Ofran di «Pace Adesso». Chi viene arrestato gode dell’assistenza di «Honenu», un gruppo legale di Kiryat Arba che nel 2005 raccolse fondi per Yigal Amir, l’assassino del premier Yizhak Rabin.

Ma il problema di fondo, secondo uno studio del gruppo «Yesh Din», è che «il 91% degli arrestati di «Price Tag» non viene incriminato» nonostante la decisione del governo Netanyahu, presa nel 2013, di dichiarare il gruppo «illegale». «Per avere maggiori strumenti legali bisogna classificarli come terroristi» afferma Menachem Landau, ex capo dell’unità dello Shin Beth anti-Price Tag. D’altra parte uno dei suoi rabbini ultrà, Shalom Don Wolpo, è favorevole a portare la violenza alle estreme conseguenze: «Dobbiamo creare in Giudea e Samaria un’entità separata da Israele» perché «il tradimento di Gaza 2005» dimostra che «i leader degli insediamenti sono complici del governo nell’abbandonare la terra nelle mani degli arabi».

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