Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/07/2015, a pag. 11, con il titolo "Israele ricominci a dialogare con gli Stati Uniti", l'intervista di Fabio Scuto a Danny Yatom, ex capo del Mossad e deputato laburista.
Importanti le parole di Danny Yatom, che ha ragione anche quando sostiene che l'alleanza di Israele con gli Usa vada preservata e implementata. Lo ha sostenuto anche ieri sera Benjamin Netanyahu nella conferenza con la stampa internazionale, ma con alcune precisazioni, come scrive questa mattina Angelo Pezzana.
Ecco l'articolo:
Fabio Scuto
«Controlli e ispezioni». Sono queste le due parole chiave che il mondo dell’intelligence israeliano non vede rigorose nell’accordo sul nucleare firmato a Vienna. Il linguaggio dei militari è diverso da quello dei politici, ma la sostanza non cambia, cauto e guardingo quello del “mondo delle ombre” che ha operato per anni per ritardare al massimo l’arrivo dell’Iran fra le potenze nucleari. «Solo il tempo ci potrà dire se questo accordo servirà allo scopo — dice a Repubblica il generale Danny Yatom, ex capo del Mossad, lo spionaggio esterno israeliano — dal modo con cui sono abituati a operare gli iraniani, temo che questo sia un pessimo accordo».
Danny Yatom
Generale Yatom, da che parte vogliamo cominciare? «Dai controlli, che dovranno essere molto severi. Ma gli iraniani hanno tutto il tempo di “ripulire” i siti nucleari da ogni traccia di attività non conforme agli accordi. Quindi bisognerà vedere come funzioneranno le ispezioni e se gli iraniani diranno la verità su cosa hanno fatto negli ultimi 30 anni. Ha ragione Obama quando dice che questo è un accordo basato non sulla fiducia, ma sulle verifiche».
Usa ed Europa vi invitano a leggere con attenzione le 150 pagine dell’accordo. «Sarà, ma il 5+1 ha rinunciato con troppa facilità a impedire che l’Iran possa riattivare rapidamente il nucleare verso scopi militari. Secondo l’intesa l’Iran potrà continuare la ricerca e lo sviluppo, se mantiene tali capacità può arricchire rapidamente l’uranio ben oltre il 4% e arrivare a una concentrazione del 90%».
I principali siti nucleari iraniani
Fra quanto? Tre, sei mesi, un anno? «Fra i tre e i nove mesi, non ha molta importanza quando esattamente. La cosa più assurda è che tra 5 anni sarà tolto l’embargo alla vendita di armi convenzionali, l’Iran potrà acquistare tank, missili, aerei e navi da guerra mentre rimane uno dei focolari del terrorismo nel mondo».
Esiste ancora, o è mai esistita, un’opzione militare? «Ciò che Israele deve fare ora è riavvicinarsi agli Stati Uniti e non litigare con la Casa Bianca. L’opzione militare c’è, ma sulla base di questo accordo non è più rilevante a meno che non siano talmente esorbitanti le violazioni da provocare un attacco; esistendo ormai un accordo fra Iran e superpotenze non sarebbe facile per Israele attaccare. Dobbiamo invece tornare a dialogare con gli Usa e l’Europa anche per tutto quel che riguarda l’intelligence, assicurarsi che l’Iran non vìoli i trattatati e rimanga sotto controllo. Israele può senz’altro contribuire con le sue conoscenze».
La reticenza delle grandi potenze a confrontarsi con la minaccia dello Stato Islamico potrebbe aver spinto verso un accordo frettoloso, sperando che l’Iran faccia “il lavoro sporco”? «Gli iraniani che sono coinvolti fino al collo nei combattimenti in Siria, Iraq e Yemen, non credo che vogliano accollarsi la guerra all’Is. La soluzione è che Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Stati del Golfo costituiscano una forza comune che combatta e distrugga il Califfato. Hanno eserciti forti e buoni soldati per fermare 45 mila terroristi armati solo di mitra e jeep».
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