Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/07/2015, a pag. 11, con il titolo "Il contro-piano di Israele: offensiva sul Congresso per far bocciare il piano", il commento di Maurizio Molinari; da NAZIONE/CARLINO/GIORNO, a pag. 10, con il titolo "Israele sacrificato", il commento di Aldo Baquis.
Di questa mattina è la notizia dell'accordo definitivo, che prevede la cancellazione totale di ogni tipo di sanzione, e dunque il via libera verso l'atomica per l'Iran degli ayatollah. Il Primo Ministro israeliano Netanyahu ha dichiarato: "L'Iran riceve in dono una strada sicura verso le armi nucleari" (fonte: Yedioth Aharonot). Impossibile dargli torto.
Ecco gli articoli:
Barack Obama nelle fauci degli ayatollah
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Il contro-piano di Israele: offensiva sul Congresso per far bocciare il piano"
Maurizio Molinari
Moniti sulle atomiche iraniane in arrivo, critiche alle grandi potenze «disposte ad accettare qualsiasi umiliazione», determinazione a difendersi «anche da soli se sarà necessario» e twitter in persiano: Benjamin Netanyahu è il regista di un’offensiva politica che guarda al dopo-accordo sull’Iran, puntando sul Congresso di Washington per affondarlo.
Davanti a un negoziato di Vienna quasi concluso, la scelta del premier israeliano è di comportarsi come se fosse stato già firmato, lanciando una raffica di messaggi destinati anzitutto al pubblico americano ovvero a senatori e deputati di Capitol Hill che potrebbero bocciarlo, superando anche l’eventuale veto del presidente Barack Obama. Netanyahu definisce la bozza in discussione a Vienna «un’intesa che consentirà all’Iran di avere molti ordigni nucleari» e descrive le potenze occidentali «inclini ad accettare ogni condizione e umiliazione» pur di arrivare alla sigla di un «pessimo accordo» che consentirà a Teheran, secondo fonti israeliane, di ottenere grazie all’abolizione delle sanzioni «almeno cento miliardi di dollari» destinati a rafforzare gli arsenali di Hezbollah, Hamas e altri gruppi terroristici «che minacciano noi, la regione e il mondo intero».
«Ci difenderemo da soli»
Ecco perché il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, risponde alle indiscrezioni sull’intesa imminente facendo presente che «Israele deve essere pronto a difendersi da solo» se l’Iran riuscirà a diventare una potenza nucleare. I portavoce di Gerusalemme sottolineano le «bandiere israeliane e americane bruciate a Teheran in questi giorni di negoziati a Vienna» e le frasi dei leader iraniani che «continuano a parlare della cancellazione di Israele dalla carta geografia» per suggellare un clima che vede lo Stato ebraico destinato a essere in prima linea davanti agli ayatollah dotati del nucleare, non solo civile ma militare. Yuval Steinitz, ministro dell’Energia e consigliere strategico di Netanyahu, offre la chiave di lettura di tale offensiva di «Public Diplomacy»: «Siamo in grado di cambiare l’orientamento del pubblico americano, spingendolo a rigettare il pessimo accordo che uscirà da questi negoziati».
Il riferimento è alla battaglia che incombe al Congresso di Washington dove 435 deputati e 100 senatori saranno chiamati ad esprimersi sull’eventuale accordo nell’arco di 60 giorni dalla firma. In entrambi i rami di Capitol Hill l’opposizione repubblicana ha la maggioranza ma per annullare il prevedibile veto di Obama a difesa dell’accordo servirà, tanto alla Camera che al Senato, una maggioranza qualificata dei due terzi. Ciò significa che un numero importante di democratici dovrebbe voltare le spalle al presidente ma poiché si voterà «forse a metà settembre», come prevede Steinitz, ovvero a 14 mesi dall’Election Day 2016, deputati e senatori democratici potrebbero essere tentati di ascoltare più l’orientamento dei propri elettori - in gran parte ostili all’Iran - che un Presidente arrivato ad termine del secondo mandato.
La carta Hillary Clinton
Lo scetticismo di Hillary Clinton, favorita nella corsa alla nomination democratica, sul negoziato nucleare con l’Iran è un altro tassello: quando l’ex First Lady dice che il negoziato nucleare «non risolve i maggiori problemi» perché l’Iran resta comunque «una minaccia esistenziale per Israele» suggerisce un approccio diverso a quello di Obama che potrebbe pesare sul voti di alcuni, decisivi, senatori. È uno scenario che consente a Netanyahu, veterano della politica dentro la Beltway, di sperare di ottenere dal Congresso il blocco della «pessima intesa» che sta nascendo a Vienna.
Proprio questa «offensiva americana» di Netanyahu spiega il debutto dell’account Twitter in persiano per rivolgersi agli iraniani avvertendoli che «se il regime incasserà l’accordo avrà più fondi per la repressione interna». Attorno al «no a Vienna» Netanyahu ridefinisce la posizione di Israele nella regione, puntando a diventare il punto di riferimento di ogni tipo di opposizione al regime degli ayatollah. Sperando in questa maniera di consolidare ancor più il rapporto con le potenze regionali sunnite intimorite dagli sciiti - a cominciare da Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto - per ridisegnare gli equilibri strategici in Medio Oriente.
NAZIONE/CARLINO/GIORNO - Aldo Baquis: "Israele sacrificato"
Aldo Baquis
ISRAELE si sente abbandonato: anche, e in primo luogo, dal suo alleato più intimo, gli Stati Uniti. Davanti alle telecamere, il premier Netanyahu si sbigottisce per l'ennesima volta alla vista di negoziatori statunitensi che continuano imperterriti a trattare, mentre a Teheran le folle gridano: «Morte agli Usa». Si indigna per il disinteresse delle potenze del 5+1 di fronte alla politica espansionistica dell'Iran (in Libano, Siria, Gaza, Yemen, Sudan e altrove) e per il suo sostegno a reti terroristiche, in primo luogo agli Hezbollah e a Hamas.
Possibile, si chiede allibito, che i grandi della Terra non si interroghino mai sul futuro del Medio Oriente, e del mondo intero, una volta che le sanzioni saranno rimosse e che nelle casse di Teheran a affluiranno centinaia di miliardi a dollari? Che ne sarà della opposizione interna al regime degli ayatollah su cui almeno l'Occidente diceva di nutrire speranze?
Guardandosi intorno, il premier fatica a capacitarsi: possibile che solo Israele comprenda che l'accordo consentirà all'Iran di dotarsi in un futuro non lontano - come insegna il precedente della Corea del Nord - di armi atomiche e di mettere così in pericolo la pace nel mondo? Magari, sospirano i dirigenti israeliani, fosse solo una debolezza passeggera.
Nasce spontaneo il dubbio che le potenze abbiano freddamente deciso di accettare l'Iran (che già oggi svolge funzione di gendarme in Libano. Siria e Iraq) come la nuova potenza regionale: anche se Israele, Arabia Saudita ed Egitto (Paesi di lunga fedeltà Usa) tremano a quel pensiero. Nasce il sospetto che il presidente Barack Obama sappia fin troppo bene quello che fa, e che abbia compiuto la sua scelta.
Lunedì in parlamento Netanyahu ha solennemente ribadito l'impegno di impedire all'Iran, malgrado tutto, di dotarsi di armi atomiche. Ma nel nuovo contesto mondiale, specialmente in assenza di un ok americano, un blitz solitario israeliano in Iran appare ora remoto. Prima di balzare a scenari da Gog e Magog, la strada resta lunga. Israele può sperare in un'azione di disturbo al Congresso, magari col discreto aiuto di Hillary Clinton. Inoltre nella Regione l'opposizione è molto forte: dal paventato accordo con l'Iran potrebbe sbocciare una sintonia strategica fra Israele e i vicini sunniti. Verrebbe anche utile, tra l'altro, come puntello a intese con i palestinesi.
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