Egitto, l'islam politico uccide
Analisi di Valentina Colombo
Membri della Fratellanza musulmana
Duecentocinquanta chili di tritolo che, alle 6.30 del mattino di uno degli ultimi giorni del mese di Ramadan, esplodono non solo in una delle arterie principali del Cairo, Galaa Street, ma anche di fronte al Consolato italiano della capitale egiziana, non possono che rappresentare un triste e preoccupante risveglio per egiziani e italiani. E’ inevitabile pensare sia ai recenti attentati di Hammam Sousse, Kuwait City e Isére, sia alle continue e ripetute minacce dell’ISIS nei confronti del nostro paese e in modo particolare il continuo richiamo alla conquista di Roma. Esiste un filo conduttore tra quanto accaduto il 26 giugno scorso, le minacce del “califfato” e quanto accaduto ieri mattina nel cuore del Cairo?
La reazione su Twitter del Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni lascerebbe intuire una risposta positiva: “Bomba al nostro Consolato al #Cairo. Non risultano vittime italiane. Vicini alle persone colpite e al personale. Italia non si fa intimidire.” Tuttavia l’Egitto è una realtà sui generis sulla sponda meridionale del Mediterraneo, una realtà - che pur essendo influenzata e intaccata da quanto accade lungo il confine occidentale libico e quello nord-orientale rappresentato dalla penisola del Sinai – mantiene una sua peculiarità che riguarda sia l’esito della cosiddetta primavera araba sia il rapporto/scontro con tutta la filiera ideologica legata all’estremismo islamico dall’islam politico dei Fratelli musulmani al jihadismo dell’ISIS e di Al Qaeda. L’Egitto non è né la Libia né la Tunisia. L’unico comune denominatore tra Libia ed Egitto è rappresentato dalle posizioni del generale Haftar nei confronti dei Fratelli musulmani e dell’ISIS e dalla struttura tribale del Sinai che ricorda quella libica. Ed è questa struttura tribale che ha consentito l’attecchimento dell’ideologia del califfato nel Sinai. Mentre nulla accomuna Egitto e Tunisia se non l’illusione iniziale di avere dato vita, a cavallo tra il 2010 e il 2011, alla Primavera Araba.
Il simbolo della Fratellanza musulmana. A giudicare dalle scimitarre e dalle citazioni del Corano, non sembra un emblema di pace
Dal luglio 2013, ovvero da quando Mohammed Morsi e i Fratelli musulmani sono stati allontanati dalla guida del paese a seguito della protesta popolare che ha dato il via libera all’operato dell’esercito, l’Egitto è entrato in una ennesima fase cruciale della sua storia, forse la più cruciale in assoluto. La decisione del presidente El Sisi di procedere alla repressione totale nei confronti della cupola della Fratellanza, gli arresti, le condanne a morte, il congelamento dei loro beni hanno scatenato la reazione della rete globale della Fratellanza i cui predicatori e attivisti hanno a più riprese invitato alla resistenza contro il “criminale” El Sisi, contro il “colpo di Stato”. Akram Kassab, membro dell’International Union of Muslim Scholars presieduta da Yusuf Qaradawi, ha invitato a “liberarsi dei tribunali militari e dei giudici” perché è “un obbligo previsto dalla legge, una necessità umana”. Essam Teleima, uno dei principali discepoli dello shaykh di Al Jazeera, dalla televisione filo-Fratellanza Mekmeleen, che trasmette dalla Turchia, ha dichiarato lecita, dal punto di vista sharaitico, l’applicazione del taglione per chiunque abbia condannato a morte un oppresso.
Ebbene, le uccisioni dei giudici nel Sinai e il recente assassinio del procuratore generale Hisham Barakat hanno confermato che gli ordini vengono eseguiti e che la Fratellanza se non è riuscita a riattivare il famigerato “ordine speciale” (nizam al-khass), ovvero il suo braccio armato, è riuscita ad attivare una serie di alleanze con realtà legate al cosiddetto “salafismo rivoluzionario” e a tutti quegli ambiti che vedono in El Sisi l’usurpatore, il traditore o semplicemente colui che non ha ancora risollevato la tragica situazione economica egiziana. E’ anche vero che a inizio anno, sempre da un’emittente legata alla Fratellanza RabaaTv , era partito un appello a colpire la presenza straniera nel paese, ma tutto questo non può giustificare un attacco mirato al Consolato italiano. Plausibile è una versione diffusa sulla stampa egiziana che lega l’attentato alla vicinanza della Suprema Corte di Giustizia alla sede consolare, ma soprattutto alla presenza nell’edificio innanzi al consolato del giudice Ahmad El Fuddaly che ha denunciato il tentato omicidio nei suoi confronti. Versione che sarebbe confermata dalla somiglianza tra i materiali usati ieri mattina e quelli usati per l’attentato a Barakat.
Se venisse confermata questa seconda versione, il consolato italiano sarebbe stato colpito per una tragica coincidenza e vicinanza spaziale (si tenga presente che l’onda d’urto ha provocato danni anche al Museo egizio che non si trova nelle immediate vicinanze del luogo dell’attentato). Nel pomeriggio di ieri è circolato un comunicato dello Stato islamico – Egitto che rivendicava l’attentato al consolato italiano e invitava i cittadini egiziani a non avvicinarsi a obiettivi sensibili.
Tuttavia l’autenticità del comunicato non facendo alcun cenno alla Wilayat Sinai, che è il ramo dell’ISIS accreditato e operativo in Egitto, è tutta da verificare. Sul fronte interno il Partito della Libertà e della Giustizia, espressione politica della Fratellanza egiziana, ha condannato “fermamente l’attentato al consolato italiano al Cairo” e ha affermato che “gli attentati terroristici non fermeranno” la sua “marcia pacifica per la libertà”. Tace invece l’account Twitter del portavoce ufficiale della Fratellanza (@montaseregy) e gli altri account legati al movimento. Solo le indagini daranno una risposta definitiva, ma l’attentato odierno va analizzato in una cornice ben diversa dagli attentati del 26 giugno, una cornice che ben illustra il legame tra le varie anime dell’estremismo islamico.
Wael Farouq
Come ha affermato recentemente il professore egiziano Wael Farouq “dobbiamo combattere l’islam politico così come abbiamo combattuto i fascisti e i nazisti. Ma non si può combattere il nazismo sostenendo il fascismo. Quello che non è più accettabile è il buonismo di chi dice dobbiamo rispettare l’altro pensando che l’altro sia l’islam radicale. L’altro sono i musulmani, non gli islamisti”.
L’Egitto, e in parte anche la Tunisia, hanno imparato sulla propria pelle che cosa significa aprire ai Fratelli musulmani, scoprirne il vero volto e poi volere tornare indietro. Quanto sta accadendo in Egitto è la dimostrazione che il passaggio alla violenza in caso di “oppressione” è insito nell’ideologia della Fratellanza. In questo senso l’esperienza egiziana, nonostante la sua estrema specificità, dovrebbe fare riflettere anche l’Alto Rappresentante per gli Affari esteri europeo Federica Mogherini che oggi ha dichiarato che "ancora una volta l'Egitto è sotto attacco e ancora una volta gli europei sono stati colpiti dai terroristi. L'attacco è un altro tentativo di sfidare la volontà di egiziani ed europei di combattere il terrorismo" e ha invitato a “rimanere uniti di fronte alla comune minaccia del terrorismo.”
Purtroppo il 25 giugno scorso a Bruxelles, in occasione di un evento organizzato da Massimo d’Alema, la stessa Mogherini dichiarava, riferendosi alla presenza dell’islam in Europa, di non avere “paura di dichiarare che l’islam politico dovrebbe essere parte dello scenario. La religione svolge un ruolo in politica – non sempre per il bene, non sempre per il male. La religione può essere parte del processo. Quel che fa la differenza è se il processo è democratico o meno.” E tra il pubblico che la ascoltava era presente qualche rappresentante dell’islam politico europeo. Ebbene, come dimostra l’ennesimo attentato, come dimostrano le parole di Wael Farouq, come dimostra la storia d’Egitto, l’islam politico, rappresentato dai Fratelli musulmani, non rappresenta certamente un antidoto al terrorismo, anzi ne è l’anticamera per lo meno sul piano ideologico. E l’attentato al Cairo, poiché ci ha colpiti da vicino, dovrebbe servire ad aprire a una profonda riflessione sull’inclusione dell’islam politico in occidente, riflessione che dovrebbe portare a una maggiore apertura verso la maggioranza non organizzata degli europei musulmani.
Valentina Colombo