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La Repubblica Rassegna Stampa
12.07.2015 Egitto IV: 'In prima linea contro il Califfato'
Giampaolo Cadalanu intervista il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni

Testata: La Repubblica
Data: 12 luglio 2015
Pagina: 9
Autore: Giampaolo Cadalanu
Titolo: «'Presi di mira perché in prima linea contro il Califfato'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/07/2015, a pag. 9, con il titolo "Presi di mira perché in prima linea contro il Califfato", l'intervista di Giampaolo Cadalanu a Paolo Gentiloni, Ministro degli Esteri italiano.

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Giampaolo Cadalanu

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Paolo Gentiloni

L’attentato contro il consolato del Cairo è un tentativo di intimidire l’Italia, impegnata accanto al governo egiziano nella lotta contro il terrorismo. Ma noi non ci lasciamo intimorire. Lo sottolinea con forza il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, anticipando che domani sarà nella capitale egiziana per portare la sua solidarietà al personale della sede diplomatica.

Ministro, il cosiddetto Stato Islamico ha rivendicato l’autobomba. È una rivendicazione credibile? E qual era lo scopo dell’attentato? «Non mi sorprende che Daesh (il nome arabo dell’Is , ndr ) rivendichi l’attacco. È la linea che seguono sempre, per ogni azione. Che poi questo corrisponda a una effettiva responsabilità sull’autobomba, non abbiamo elementi per dirlo. Le caratteristiche dell’attacco ci dicono che lo scopo era sicuramente intimidatorio, colpire la presenza internazionale nell’ambito di uno scontro fra terrorismo fondamentalista ed Egitto. Ma noi non ci lasciamo intimidire».

Secondo lei, l’attacco è a legato al contesto egiziano o più in generale al ruolo dell’Occidente nella lotta contro il fondamentalismo islamico? «È molto difficile fare distinzioni, la dinamica interna egiziana ha le sue specificità ma è legata al contesto della lotta al terrorismo integralista. Oggi l’Egitto è un Paese chiave dal punto di vista della sfida del fondamentalismo, per cui l’avvertimento può avere anche una dimensione internazionale».

Come mai l’Italia, da sempre nazione del dialogo e “ponte” per ogni trattativa, senza preclusioni per nessuno, è diventata un obiettivo per i jihadisti? «Non vorrei che si esagerasse con la dietrologia: si è voluto colpire l’Italia per questo e quest’altro motivo… Attentati come questo possono avere anche aspetti casuali, cioè essere legati alla possibilità logistica di colpire una nazione occidentale che sostiene la lotta al terrorismo del governo egiziano. Noi siamo e restiamo il Paese del dialogo, abbiamo rapporti di amicizia con le diverse parti in tutta l’area di crisi, tanto con l’Arabia Saudita quanto con la Turchia, tanto con l’Iran quanto con Israele, e più che mai continuiamo ad avere un ruolo di ponte e di mediazione».

Può esserci un collegamento fra l’attentato del Cairo e le scelte più “aggressive” dell’ultimo periodo, soprattutto la rivendicazione di un ruolo dell’Italia alla guida di una missione internazionale in Libia? «Non partecipo alla lotteria delle congetture. Di certo c’è che l’Italia deve reagire con tranquilla fermezza, non ci facciamo intimidire. In Egitto la tensione è molto alta, non dimentichiamo che solo pochi giorni fa è stato ucciso in un attentato il Procuratore generale Hisham Barakat. Quanto alla Libia, per il momento siamo impegnati a dare una mano nella ricerca di un accordo fra le fazioni libiche, senza di questo non si va da nessuna parte».

Esiste la possibilità di una risposta congiunta europea di fronte a questo tipo di minacce? «Il contesto in cui si collocano questi episodi è quello di una sfida terroristica globale, al centro di cui c’è Daesh, il sedicente Stato Islamico. Al centro della risposta c’è la coalizione anti-Daesh, in cui è coinvolta anche l’Europa, ma che va comunque al di là dell’Unione. E l’Italia fa la sua parte».

C’è chi considera il ruolo italiano in queste operazioni marginale, persino troppo timido. Che ne pensa? «Gli alleati apprezzano molto le nostre capacità di ricognizione e la nostra abilità di istruttori. E’ quello che ci è stato chiesto, e lo facciamo molto bene. Ma la sfida non è solo militare. Molto dipende dalla diplomazia e dalla politica. Serve un accordo sul nucleare iraniano accompagnato da un lavoro per rassicurare i paesi che lo osteggiano, da quelli del Golfo a Israele. E serve un sostegno a Paesi particolarmente minacciati come sono la Tunisia o il Libano dove andrò domani».

Parliamo della sicurezza degli italiani all’estero: qual è la situazione in Paesi come l’Egitto? I nostri concittadini sono a rischio? «Il primo consiglio è sempre quello di consultare il sito “Viaggiare sicuri” curato dalla Farnesina. Suggerisco prudenza ma escludo qualsiasi “attenzione negativa” particolare verso gli italiani». Verranno applicate nuove misure di sicurezza per controllare e difendere le sedi diplomatiche nei Paesi più esposti? «In qualche caso le misure di sicurezza saranno rafforzate».

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