Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/07/2015, a pag. 14, con il titolo "Erdogan al tramonto è ancora più pericoloso: nell'aria l'attacco ad Assad", l'analisi di Carlo Panella.
Carlo Panella
Recep Tayyp Erdogan
Un Tayyp Erdogan in evidente declino politico - ma sempre arrogante e in preda a una sindrome dispotica da califfo ottomano - ha assegnato ieri al premier uscente Ahmet Davutoglu l'incarico di formare un nuovo governo. Impresa difficile, se non disperata, perché la Akp per cui Erdogan ha condotto una frenetica e arrogante campagna elettorale - nonostante fosse presidente della Repubblica, quindi tenuto ad una condotta super partes - ha solennemente perso le elezioni. E' passata infatti dal 50% al 40,8% e ha solo 258 seggi (la maggioranza è di 276 su 550 seggi).
Ahmet Davutoglu
Davutoglu ha quindi solo 45 giorni per formare una coalizione, pena il ritorno alle urne. Ma la coalizione più naturale, la più apprezzata da Europa e USA, con i laici nazionalisti del Chp è ben difficile da costruire. Questo partito infatti, che ha 132 seggi (col 25,2% dei voti), è il più interessato ad andare a nuove elezioni che segnerebbero la prova di una incapacità della Akp di garantire stabilità. Kemal Kilicdarlogu, segretario del Chp infatti, sino a oggi si è ben guardato dal prospettare questa alleanza e ha invece auspicato più volte la formazione di una coalizione con tutti i partiti, tranne la Akp. Sfiancare, neutralizzare, Erdogan e il suo straordinario potere personale è d'altronde, l'obbiettivo principe anche di tutti gli altri partiti turchi.
Ma questa coalizione (che vedrebbe alleati un partito di estrema destra tipo Forza nuova, il Mhp, con uno centrista e di sinistra tipo Pd, il Chp, con uno curdo e progressista, tipo Syriza, il Hdp) è improbabile, se non impossibile, per radicali divergenze programmatiche. Difficile, se non esclusa, anche l'alleanza tra la Akp e il Hdp, il partito curdo di Selhattin Demirtas, clamorosa rivelazione delle ultime elezioni, non solo perché col suo 13% e i suoi 79 seggi ha dato per la prima volta rappresentanza parlamentare ai curdi, ma soprattutto perché ha calamitato i voti di settori compositi dell'elettorato turco: gay, giovani di Gezy Park, Verdi e femministe. In linea teorica, Davutoglu potrebbe offrire al Hdp di Demirtas una rapida e forte conclusione del processo di pace con i curdi e la fine di una guerra civile che ha fatto 35.000 morti in 30 anni, con la concessione di una forte autonomia del Kurdistan. Una prospettiva, peraltro già delineata dallo stesso Erdogan, che ha concordato una Road Map in questa direzione con Abdallah Oçalan, prigioniero a vita delle carceri turche.
Ma è ben difficile che questo accordo venga siglato e ancora più improbabile che Demirtas offra una ciambella di salvataggio a una Akp in palesi ambasce. Resta la pessima prospettiva di una coalizione tra la Akp e il Mhp, di estrema destra, erede dei Lupi Grigi di Ali Agca, anti cristiano, anti curdo, che segnerebbe una deriva para fascista della Turchia. Quadro contorto, dunque, con una prevedibile fase di usura reciproca di tutti verso tutti nei primi 35 giorni di trattative e una possibile, ma difficile, conclusione solo in "zona Cesarini". E certo, comunque vada questa trattativa, che è iniziata la fase declinante di Erdogan. Declino che già si rileva sulla scena internazionale, con l'allentamento delle pressioni di Ankara sulla Libia, a favore del governo di Tripoli e dei Fratelli Musulmani. Ma Erdogan può sempre ordinare - e pare accarezzi questa idea - una invasione turca della Siria, con l'obbiettivo di proteggere le popolazioni arabe e turcomanne dai soprusi - reali, incontestabili - dei curdi del Ypg. Mossa avventurista, quasi illegale in vacatio di governo. Ma mossa tipica dello "stile Erdogan".
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