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La Repubblica Rassegna Stampa
05.07.2015 Tunisia, parla il presidente Essebsi: 'Siamo in guerra, ancora altissimo il rischio di attentati'
Analisi di Giampaolo Cadalanu

Testata: La Repubblica
Data: 05 luglio 2015
Pagina: 15
Autore: Giampaolo Cadalanu
Titolo: «'Siamo in guerra, stato di emergenza'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/07/2015, a pag. 15, con il titolo "Siamo in guerra, stato di emergenza", l'analisi di Giampaolo Cadalanu.

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Giampaolo Cadalanu

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Beji Caid Essebsi, Presidente della Tunisia

La Tunisia è in guerra: con queste parole il presidente Beji Caïd Essebsi ha proclamato ieri lo stato di emergenza, che per almeno trenta giorni concederà più poteri alle autorità di polizia e alle Forze armate, e allo stesso tempo introdurrà limiti ai diritti civili, come quello di pubblica riunione. «Il Paese non è ancora al sicuro da attacchi terroristici», ha dovuto ammettere in tv il capo dello Stato: «Ma non torneremo indietro. Vogliamo un paese democratico, con un sistema repubblicano laico, mentre i terroristi vogliono il Califfato».

La reazione del governo tunisino è forte, tanto più perché Essebsi ha pubblicamente ringraziato l’Algeria per l’aiuto dato contro il terrorismo. E sembra persino inquietante, per la Tunisia uscita dalla rivoluzione contro Ben Ali, evocare la durissima repressione adottata dal regime algerino contro i gruppi integralisti dopo il colpo di Stato del 1991, in quella che fu definita la “guerra sporca” che costò migliaia di vittime civili e la sostanziale sospensione delle libertà civili. Ma la decisione di Essebsi appare quasi inevitabile, dopo che i due attacchi terroristici, in marzo al museo del Bardo e la settimana scorsa a Susa, hanno messo in ginocchio l’industria del turismo, risorsa fondamentale per il paese mediterraneo.

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Islam: moderati e radicali

Per la Tunisia è un passo indietro: lo stato di emergenza era stato introdotto durante la rivoluzione del 2011, e revocato formalmente nel marzo dell’anno scorso. Le misure prevedono fra l’altro la possibilità di limiti alla libera circolazione e al diritto di manifestazione e sciopero, possibilità di divieti al permesso di soggiorno e di fermo di polizia anche senza ordine della magistratura.

Sembra inevitabile anche un giro di vite con controlli molto più rigidi nel sud, in particolare al confine con la Libia, ma anche nella zona montuosa alla frontiera con l’Algeria, spesso utilizzata come baluardo per le formazioni jihadiste tunisine durante gli attacchi “mordi e fuggi” contro le Forze armate e la polizia. La necessità di “blindare” il confine libico è confermata anche dal fatto che, secondo le autorità tunisine, i responsabili dei due ultimi attentati avevano compiuto il loro addestramento assieme, in campi jihadisti al di là della frontiera libica. Nell’ex Jamahiriya lo scontro fra due governi rivali seguito alla caduta di Gheddafi ha lasciato ampio spazio di manovra alle formazioni integraliste. Nelle ultime ore la polizia tunisina ha arrestato otto persone, accusate di far parte della cellula che ha organizzato l’attacco di Susa. Secondo Kamel Jendoubi, ministro degli Affari costituzionali e portavoce della cellula di crisi governativa, dall’attentato del Bardo sono stati compiuti un migliaio di arresti e quasi ottomila perquisizioni.

Almeno 37 moschee, delle 80 considerate “a rischio radicalismo”, sono già state chiuse. Nell’inchiesta sull’attentato di Susa, gli inquirenti sono affiancati da una delegazione di Scotland Yard, inviata da Londra per assistere gli investigatori locali. Gran parte dei turisti uccisi erano britannici: ieri le ultime cinque salme sono tornate nel Regno Unito, nell’aeroporto di Brize Norton, nell’Oxfordshire, su un areo da trasporto C-17 della Royal Air Force. In ogni caso, per un Paese che in passato, con il governo a guida islamica, ha garantito spazi eccessivi prima ai gruppi salafiti e poi persino ai qaedisti di Ansar el Sharia, le nuove misure legali potrebbero non bastare. I residui della “tolleranza” per il radicalismo potrebbero aver influito anche nell’operato della polizia, intervenuta con grave ritardo anche durante i fatti di Susa. Che ci siano responsabilità in questo senso lo ha ammesso con la Bbc anche il premier Habib Essid, annunciando poi in serata la nomina di un nuovo governatore per la città costiera colpita dall’attentato.

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