Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/07/2015, a pag. 14, con il titolo "L'insospettabile Ravenna capitale italiana dei foreign fighters", l'analisi di Fabio Tonacci.
Fabio Tonacci
La moschea di Ravenna. Sotto, musulmani di Ravenna in preghiera
La città dove si vive meglio ora si scopre “capitale” dei foreign fighter . Da Ravenna, 164mila abitanti, in cima alla classifica per qualità della vita, salotto d’Italia pulito, ordinato e ricco ne sono partiti già sei. Destinazione: Siria. Un settimo l’hanno fermato appena in tempo, aveva già il biglietto aereo in tasca e un miliziano dell’Is ad attenderlo nell’accampamento di Yarmouk. Sette tunisini che vestivano all’occidentale, e poi sono spariti.
Sette sono quelli “ufficiali”, individuati dalla Digos. Ravenna, da sola, ha il 10 per cento dei foreign fighter censiti dal Viminale. Tre di loro, Mohamed El Anssi, Mohamed Hamrouni e Neji Ben Amara, sono morti in combattimento. Ma nella comunità straniera di questo paesone dove tutti conoscono tutti, le cifre non tornano. «Sono molti di più quelli andati col Califfato», sussurrano. «Almeno 20 finora, quasi tutti tunisini: i più partiti tra il 2012 e il 2013». Voci. Quelle, per esempio, dei ragazzi con la pelle scura che ciondolano nell’afa dei giardini Speyer, tra la stazione e la chiesa di San Giovanni. Lanciano occhiatacce a chi si ferma troppo nei paraggi. Perché, se ti avvicini, «o sei sbirro o cerchi il fumo».
Nouassir Louati era uno di loro. Nato 28 anni fa a El Fahs (cittadina a 60 km da Tunisi dove si registra una forte presenza di gruppi fondamentalisti di Shabab al-Tawhid e ad alto tasso di spaccio di droga: è da lì che proviene la maggior parte dei tunisini di Ravenna), sbarcato a Lampedusa nel 2011, ha precedenti per droga, una ex moglie italiana e una figlia. Ai giardini Speyer, portava sempre il cappellino alla rovescia. È lui il primo aspirante jihadista arrestato (il 22 aprile scorso) con la nuova normativa antiterrorismo che punisce non più solo il reclutatore ma anche l’arruolato. Al telefono non diceva niente, Nouassir. Sulla chat di Facebook, invece, scriveva di voler «alzare la bandiera di Allah sulla Torre di Pisa e conquistare Roma». Ora piange nel carcere cosentino di Rossano, soffrendo di crisi di astinenza.
Il primo a partire fu El Anssi. In Romagna, dove è arrivato nel 2008, ha trovato qualche lavoretto negli alberghi di Cervia e molti guai con la cocaina. Sparito nel 2012, di lui non si è saputo più niente fino a quando l’ex compagna ha scoperto che era morto in Siria nel maggio 2014. Dopo El Anssi, se n’è andato Hamrouni. In Italia dal 2002, ucciso in Siria nel 2014. Con lui, tre anni fa, erano andati altri due tunisini di cui si sono perse le tracce. Siamo a quattro. Di Ben Amara Neji, 36 anni, non lo avresti mai detto. Fissato con la moda, frequentatore di discoteche, barista saltuario con regolare permesso di soggiorno. Viveva a Cervia dalla cugina, poi è scappato a Milano e si è dileguato: deceduto sotto le bombe sganciate dai militari giordani tra il 4 e il 5 febbraio scorso. Negli stessi giorni in cui un altro straniero di Ravenna, 33 anni, abbracciava la jihad. Ha telefonato alla sua ex moglie di Foggia e le ha comunicato che andava in Turchia per attraversare il confine. Ciò che aveva progettato di fare Louati, prima che la polizia lo fermasse. Sette.
É l’enigma dell’insospettabile Ravenna, questa proliferazione di foreign fighter . Perché così tanti? Cosa è successo tra gli immigrati, 19mila, così integrati da non creare mai un problema? Cercano una spiegazione il sindaco Fabrizio Matteucci, i rappresentanti della moschea di Bassette (la seconda d’Italia per dimensione), la dirigente della Digos Monica Grazioso, che ha messo in piedi un pool di investigatori sull’estremismo islamico. Da un anno c’è un’indagine dalla Dda di Bologna su una rete di 5-6 presunti arruolatori attivi soprattutto tra 2012 e 2013. Gente che ha saputo pescare a piene mani nel disagio delle centinaia di tunisini arrivati dopo la Rivoluzione dei Gelsomini. Avvicinandoli. Indottrinandoli. Confondendo la lotta al dittatore Bashar al Assad con le mire di Al Bagdhadi.
Nel 2012 Ravenna, e la sua comunità musulmana, erano in agitazione. C’erano centinaia di profughi da accogliere. Il direttivo del Centro di cultura islamica della Romagna era scaduto, ma il presidente (l’iracheno Basel Hamed) era rimasto al suo posto tra le polemiche per gestire la costruzione della moschea nella periferia industriale e infestata dalle zanzare delle Bassette. L’associazione di donne musulmane “Life” fondata dall’italiana convertita Marisa Iannucci denunciava con lettere pubbliche «l’oscurantismo, il sessismo e la gestione poco trasparente» del direttivo del Centro. Anche l’imam locale, l’egiziano Ashraf Gareeb, era bersagliato di critiche. In quel fermento, il 4 ottobre 2012, spunta Musa Cerantonio. Lo invitano a parlare per il dialogo interreligioso. Ma l’uomo, arrestato un anno fa in Indonesia, è in realtà uno dei più pericolosi predicatori erranti dell’Is. Non volle stringere la mano all’assessore alla Sicurezza, perché donna.
«Era di passaggio a Ravenna», si difende Basel Hamed. In realtà il nome Cerantonio compare sul volantino dell’evento, stampato settimane prima. Fatti. E coincidenze. Che non spiegano del tutto, ma aiutano a capire. Perché Ravenna, Basel? «Non lo so, le attività della moschea e i sermoni del nostro imam sono controllati. Condanniamo sempre la violenza, soprattutto quella indegne dello Stato Islamico. I ragazzi partiti non pregavano con noi». E quindi? Nessuno riesce a risolvere l’enigma dell’insospettabile Ravenna. Città dove si vive benissimo, eppure “capitale” dei foreign fighter .
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