Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/06/2015, a pag. 25, con il titolo "Pacifici lascia Roma: in campo per gli ebrei d'Europa", l'analisi di Paolo Conti.
Paolo Conti
Riccardo Pacifici
Oggi la Comunità ebraica romana conoscerà i risultati delle elezioni per i nuovi vertici, i primi senza Riccardo Pacifici, in Consiglio da 22 anni e presidente dal 2008. Ma l’ex presidente continuerà, con un nuovo incarico, nel suo ruolo di interprete dell’ebraismo romano: «È un compito che premia la capacità della comunità di governarsi in piena sicurezza. Per espresso desiderio di Ronald Lauder, presidente del World Jewish Congress , monitorerò le condizioni di protezione delle comunità ebraiche europee e vigilerò su tutti i fenomeni di antisemitismo, in stretto coordinamento sia con il World Jewish Congress che con le autorità di Israele. Incontrerò capi di Stato e di governo, prenderò contatto con le forze dell’ordine e i servizi dei diversi Paesi.
C’è il pericolo rappresentato dall’Isis, dal dilagare dell’ideologia del Califfato. E non è un caso che questo incarico venga incardinato a Roma, accanto al Vaticano, alla sede del papato, punto strategico per il dialogo, per l’accoglienza e per la solidarietà». Per Pacifici è tempo di bilanci («non avrei potuto fare nulla senza il sostegno di mia moglie e dei miei quattro figli, dai 9 ai 17 anni, hanno sopportato le mie lontananze e i vincoli legati alla sicurezza»). Se gli chiedono quale Comunità ebraica lasci dopo il suo impegno, risponde così: «Più consapevole, unita, osservante, orgogliosa della propria identità. Nel 1997 le sinagoghe romane erano 7-8, oggi sono 18. C’era un solo ristorante kosher, oggi i locali di questo tipo sono 35, il 91% dei bambini ebrei si iscrive alla scuola elementare ebraica. Nei protocolli delle cerimonie ufficiali la comunità era quasi ignorata, oggi è impensabile che un nostro rappresentante manchi in qualsiasi appuntamento significativo, in un posto d’onore».
Romani e italiani, ebrei e non, «scoprirono» Pacifici col processo al criminale nazista Erich Priebke quando, nella notte del 1 agosto 1997 dopo la contestata assoluzione del Tribunale militare, impedì — con la mobilitazione che aveva organizzato — la partenza del pianificatore dell’eccidio delle Fosse Ardeatine per l’Argentina: «Telefonammo al rabbino Elio Toaff che ci disse semplicemente di non muoverci di lì. Capimmo. Fu la scelta giusta». Da allora i quindicimila ebrei romani hanno avuto in Pacifici un rappresentante presentissimo, combattivo e anche discusso. Molti gli rimproverano il carattere duro, spesso anche aggressivo.
Lui sorride: «E lo rivendico. Sono diretto, guardo negli occhi, non ho mai parlato alle spalle. Così ho fatto con D’Alema o con Berlusconi, indifferentemente». E non tutti considerano positivo lo «sdoganamento», ai tempi, di Massimo Fini e dell’ex sindaco Gianni Alemanno: «Invece rifarei tutto. Sia Fini che Alemanno ci hanno chiesto aiuto per capire fino in fondo i fatti storici, le atrocità, le responsabilità del fascismo. Ai tempi era pienamente d’accordo anche Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, ex militante del Pci. Infatti sia Fini che Alemanno hanno condannato apertamente le scelte del fascismo, ne hanno preso le distanze, hanno visitato Auschwitz e compreso la vastità della Shoah. È stata un’operazione essenziale per un’importante settore della politica italiana di quegli anni, abituata a relegare ogni responsabilità nell’ambito del nazismo».
In quanto alla Roma di oggi? «Ho difeso e continuo a difendere Ignazio Marino. L’anno scorso, prima del caso Mafia Capitale, autorevoli esponenti del Pd mi sondarono per un’eventuale successione. Sorridendo dissi che avrei accettato solo se il mio compenso fosse stato di un euro, tengo troppo alla mia libertà di vivere col lavoro di rappresentante di commercio. Ma escludo che il problema sia all’ordine del giorno...».
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