Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/05/2015, a pag. 3, l'editoriale "Un po' troppa fretta, Santa Sede"; dalla REPUBBLICA, a pag. 19, con il titolo " 'La Palestina uno Stato' la mossa del Vaticano; ira di Israele: 'Reagiremo' ", la cronaca di Marco Ansaldo; con il titolo "Basta con il conflitto, il Papa vuole la pace tra questi due popoli", l'intervista di Paolo Rodari a Padre Samir Khalil, prorettore dell'ateneo pontificio, con un nostro commento; dalla STAMPA, a pag. 11, con il titolo "Tra i cristiani di Gerusalemme Est: 'Ora la Chiesa ci aiuti di più' ", il commento di Maurizio Molinari.
Alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=58186 abbiamo pubblicato il commento di Angelo Pezzana sulla vicenda.
Ecco gli articoli:
Bandiere palestinesi a San Pietro
IL FOGLIO: "Un po' troppa fretta, Santa Sede"
Papa Francesco
E’ dal 2012 che il Vaticano, Papa Ratzinger regnante, nei suoi documenti ufficiali parla di “Stato di Palestina”. Dunque la decisione di ieri della Santa Sede di nominare questo stato in un documento bilaterale è l’esito di un percorso iniziato addirittura nel 2000 da Giovanni Paolo II. Il trattato è comunque il primo documento in cui il Vaticano parla di “Stato di Palestina” e non più di “Organizzazione per la Liberazione della Palestina” (Olp): si tratta, di fatto, di un riconoscimento ufficiale. Una svolta simbolica di un certo peso, proprio mentre i palestinesi sono impegnati in una campagna internazionale per il riconoscimento del loro stato senza passare dai negoziati con Israele, anzi disconoscendone le ragioni, e da ultimo, l’esistenza. E questo è il problema. Quando il Vaticano riconobbe Israele, agli inizi degli anni Novanta, lo fece all’interno della cornice degli accordi di Oslo: Israele riconosce l’Olp e la chiesa cattolica in cambio apre allo stato ebraico. Un baratto cinico, ma comprensibile nella cornice di politica estera realista da sempre seguita dal Vaticano, che pure deve tenere conto della fragile condizione degli arabi cristiani.
Oggi la situazione è ben diversa: i palestinesi stanno internazionalizzando il conflitto con Israele, mentre il mondo arabo islamico è percorso da un odio ipnotizzante verso “i sionisti” e vaste masse di cristiani sono cacciati dalle terre islamiche, palestinesi comprese. Oggi il Vaticano poteva permettersi di prendere tempo, adducendo numerose ragioni, prima fra tutte l’esposizione globale di Israele alla tagliola della umma islamica. Per sessant’anni, dopo che lo stato ebraico ottenne l’indipendenza nel 1948, il Vaticano ha adottato una politica diplomatica che non prescindesse dal raccordo anche con i nemici di Israele: non riconoscimento totale della statualità ebraica. Va detto che nel lungo contenzioso ha pesato la questione, estremamente sensibile per entrambi, dello status dei Luoghi santi. Nonostante l’accettazione da parte di tutte le nazioni occidentali, compreso all’inizio il blocco comunista, il riconoscimento reciproco tra Israele e Vaticano è avvenuto solo nel 1993. La chiesa cattolica ieri ha avuto un po’ troppa fretta nel riconoscere questo fantomatico “Stato di Palestina”. Si tratta di qualcosa in più di un semplice errore politico.
LA REPUBBLICA - Marco Ansaldo: " 'La Palestina uno Stato' la mossa del Vaticano; ira di Israele: 'Reagiremo' "
Marco Ansaldo
In testa al documento ufficiale la dicitura si legge chiaramente: “Stato di Palestina”. E il doppio termine finisce per irritare Israele, le cui autorità si dicono «deluse» dalla decisione del Vaticano di accostare le due parole. Ma non c’è nulla da fare. «Sì, è un riconoscimento che lo Stato esiste», spiega il portavoce della Sala stampa pontificia, padre Federico Lombardi. Così ieri, per la prima volta, la Santa Sede e lo Stato di Palestina hanno siglato assieme un accordo internazionale. Da parte vaticana il riconoscimento era già avvenuto. E tuttavia, si fa rilevare Oltretevere, l’intesa rafforza in modo ulteriore i rapporti fra la Città del Vaticano e Ramallah, in continuità con quanto la Santa Sede dichiarò il 29 novembre 2012, al momento della risoluzione Onu che riconosceva la Palestina quale Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite.
Sabato, inoltre, arriva in udienza da Papa Francesco il presidente Abu Mazen, che poi domenica parteciperà alla cerimonia di canonizzazione delle prime due sante palestinesi in epoca moderna, vissute nell’Ottocento, suor Marie Alphonsine Danil Ghattas di Gerusalemme e suor Mariam Baouardy di Betlemme, nata in Galilea. Ma che cosa riguarda il documento di ieri?
L’intesa prevede la firma «nel prossimo futuro » di un accordo bilaterale che definisca, fra le altre cose, lo statuto giuridico della Chiesa cattolica nel Paese mediorientale. Nel preambolo e nel primo capitolo del testo, non pubblicato, si esprime «l’auspicio per una soluzione della questione palestinese e del conflitto tra israeliani e palestinesi nell’ambito della “soluzione fra due Stati”», come ha detto il vice ministro degli Esteri vaticano Antoine Camilleri. L’irritazione e la delusione di Gerusalemme sono state per ora manifestate in modo informale da fonti ascoltate dai media locali: «Israele è delusa nel sentire la decisione della Santa Sede circa un testo finale di accordo con i palestinesi che comprenda il termine “lo Stato di Palestina”. Questa mossa non fa avanzare il processo di pace e non contribuisce a riportare la leadership palestinese al tavolo delle trattative bilaterali. Israele esaminerà l’accordo e soppeserà conseguentemente le proprie azioni». L’intesa aveva preso forma ieri dopo la riunione della Commissione bilaterale vaticano- palestinese.
Le due delegazioni, rappresentate da monsignor Camilleri e dall’ambasciatore Rawan Sulaiman, viceministro degli Affari Esteri dello Stato di Palestina, hanno «preso atto con grande soddisfazione dei progressi compiuti nella stesura del testo dell’accordo, che si occupa di aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa cattolica in Palestina». Aspetti che lo stesso Camilleri ha poi spiegato in un’intervista all’ Osservatore Romano : libertà di azione della Chiesa, giurisdizione, statuto personale, luoghi di culto, attività sociale e caritativa, mezzi di comunicazione sociale, questioni fiscali e di proprietà.
LA REPUBBLICA - Paolo Rodari: "Basta con il conflitto, il Papa vuole la pace tra questi due popoli"
Samir Khalil
L'intervista a Padre Samir Khalid mette in evidenza la posizione del Vaticano su Israele, o meglio, contro Israele. Le sue dichiarazioni sono un concentrato in cui vengono riassunte le accuse più classiche fatte allo Stato ebraico, da quella di non volere e non cercare la pace a quella che lo vorrebbe potenza occupante delle terre palestinesi. Come se non bastasse, Khalil sostiene che il Vaticano sia stato sempre, ovvero dal 1948, favorevole all'opzione dei due Stati. Il dettaglio che il rappresentante di Bergoglio omette è che il Vaticano ha riconosciuto lo Stato di Israele soltanto nel 1993. Tanto durevole è stato l'odio teologico, che come vediamo è tutt'altro che estinto.
Ecco l'articolo:
«La Santa Sede, con la decisione annunciata ieri, riconosce lo Stato palestinese perché è consapevole che questo riconoscimento è l’unica via per una pace duratura. Ci sono stati troppi morti, troppe guerre, troppe discussioni in questi ultimi sessant’anni. E non si può continuare a rimanere gli uni vicini agli altri come nemici. Andando oltre gli estremisti palestinesi ed israeliani, la Santa Sede vuole percorrere la via dei moderati in scia a tutte le dichiarazioni fatte dall’Onu». Padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, pro rettore del Pontificio Istituto Orientale di Roma, recente autore di “Quelle tenaci primavere arabe” (Emi), e fra gli islamologi più ascoltati in Vaticano, riconosce il «passo storico» messo in campo ieri dalla Santa Sede e, insieme, auspica «nuove azioni da parte sia palestinese che israeliana».
Padre Samir, la posizione vaticana segue la linea della comunità internazionale? «Assolutamente sì. L’Onu già nel 1948, e successivamente nel 1967, ha parlato della necessità di riconoscere due Stati. La Santa Sede ha sempre mantenuto questo principio che nella fase attuale è l’unica soluzione percorribile, due Stati indipendenti che si riconoscono e sono riconosciuti da tutti i Paesi del mondo. Lo scopo è arrivare a una soluzione pacifica in Medio Oriente mantenendo provvisoriamente l’esistenza di Gerusalemme divisa fra palestinesi e israeliani».
Israele, infatti, ieri si è detto “deluso” della decisione annunciata dalla Santa Sede. «Israele si dice deluso perché rispecchia la visione di Netanyahu. Egli è stato eletto per quarta volta probabilmente perché il popolo non crede nella soluzione pacifica. Per me i terroristi sono coloro che rifiutano le decisioni internazionali. Hamas è terrorista, certo, ma lo Stato israeliano dovrebbe fare passi concreti verso la pace . Ogni mese Israele occupa una parte del territorio che non gli appartiene. Occorre invece che tutti riconoscano il valore delle decisioni internazionali e depongano le armi. Dobbiamo arrivare a chiedere il riconoscimento dei due Stati nell’interesse comune».
Con Francesco ritiene che molto possa cambiare? «Francesco continua la politica propria da sempre del Vaticano sui princìpi. Ora però si deve riconoscere a lui il tentativo di giocare questi princìpi sul campo, cercando l’amicizia e la cortesia di tutti, facendo atti positivi».
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Tra i cristiani di Gerusalemme Est: 'Ora la Chiesa ci aiuti di più' "
Maurizio Molinari
A Porta Nuova, dove inizia il quartiere cristiano della Città Vecchia, la notizia del «riconoscimento dello Stato di Palestina da parte del Vaticano» arriva con i notiziari radio delle 18. «È un grande giorno ma provo tanta amarezza», commenta Michel, 69 anni, titolare di uno spaccio di alimentari a ridosso della Custodia di Terra Santa. «La gioia è perché il Santo Padre finalmente riconosce il nostro sogno - spiega - ma l’amarezza resta perché si tratta, ancora una volta, solo di parole, qui continua a non cambiare nulla». Pochi metri più avanti c’è il barbiere Mahmud, musulmano, che taglia corto: «È una questione fra cristiani, gli arabi ci riconoscono da tempo». Il dirimpettaio Morris, venditore di arance, suggerisce di entrare «da Tony», una piccola trattoria punto di incontro, a fine giornata, fra i commercianti del quartiere. Tutti conoscono la notizia che arriva dalla Santa Sede ma non c’è euforia. Ibrahim Faltas non trattiene lo sfogo: «Era ora! Ma quanto tempo ci hanno messo». Abido Durbash aggiunge: «Sono parole nel vuoto, qui restano gli israeliani, se la Chiesa vuole davvero aiutarci deve occuparsi delle nostre famiglie».
A spiegare di cosa si tratta è Tony, il proprietario, davanti a un piattino di salame piccante che mangia e ostenta, simbolo della differenza da musulmani ed ebrei. «In questo quartiere cristiano i cristiani sono ridotti all’1 per cento dei residenti - dice Tony - se ne vanno i giovani per trovare lavoro, i commercianti perché non ci sono abbastanza turisti e le famiglie perché i redditi bastano a malapena a pagare gli affitti, il Vaticano dovrebbe aiutarci a restare». È una polemica diretta verso la Custodia Francescana perché «è vero che tengono gli affitti bassi nei loro immobili - sottolinea Ibrahim Faltas - ma gli stipendi che pagano a chi lavora per loro bastano a malapena a pagarli».
I timori per il presente
L’interesse per lo Stato di Palestina passa in secondo piano rispetto ai timori per un presente fatto di «una fuga generalizzata» come la definisce Abido, secondo il quale «riconoscere Gerusalemme Est capitale della Palestina serve a poco se i cristiani non ci saranno più». Davanti agli hotel per pellegrini e agli edifici del patriarcato greco-ordodosso si incontra la piccola folla di chi ha chiuso ristoranti e negozi, e torna a casa. Ibrahim, 35 anni, musulmano, parla per tutti: «Questo termine “riconoscimento” non lo comprendiamo bene, lo Stato di Palestina qui ancora non c’è, il resto conta poco».
Il nodo sicurezza
A spiegare l’obiezione è Padre Carlos, un francescano di origine argentina da 20 anni residente nella Città Vecchia. Lo incrociamo mentre scende i gradini verso il Santo Sepolcro. «Sono anni che viene detto ai palestinesi che avranno, o già sono, uno Stato dunque per loro “riconoscimento” non significa molto - osserva - aspettano risultati concreti». Ma d’altra parte, aggiunge il francescano, «anche questa attesa è venata di pessimismo perché il mondo arabo è cambiato e i cristiani della Città Vecchia sanno che Israele è per loro lo Stato più sicuro dove vivere, lavorare». «Se lo Stato di Palestina nascesse subito, domani - si chiede Padre Carlos - cosa ne sarebbe dei tanti cristiani di Beit Tsaur, Beit Jalla e Betlemme che vivono a Gerusalemme con i permessi israeliani, dove andrebbero?».
Gli interrogativi del quartiere cristiano si concentrano sull’immediato perché nessuno se la sente di immaginare un futuro ravvicinato. Per trovare più entusiasmo per la decisione della Santa Sede bisogna varcare la soglia di «Champions», la palestra frequentata da trentenni, dove fra ritmi rock e immagini della Coppa di Campioni c’è chi grida «Viva il Papa!» mostrando i muscoli in segno di vittoria.
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