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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
12.05.2015 Sauditi contro Obama: troppe concessione al regime iraniano
Analisi di Gilles Kepel, il Foglio

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Gilles Kepel
Titolo: «La svolta saudita contro Teheran: giovani al potere e un nuovo regno - Sauditi nervosi»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/05/2015, a pag. 20, con il titolo "La svolta saudita contro Teheran: giovani al potere e un nuovo regno", l'analisi di Gilles Kepel; dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'analisi "Sauditi nervosi"

Ecco gli articoli:


Barack Obama con re Salman bin Abdul Aziz a Riad il 27 gennaio 2015

LA REPUBBLICA - Gilles Kepel:  "La svolta saudita contro Teheran: giovani al potere e un nuovo regno"

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Gilles Kepel

François Hollande, nuovo idolo delle petromonarchie della Penisola arabica? Il 4 maggio scorso, per la prima volta nella sua storia, un summit straordinario del Consiglio di cooperazione del Golfo, costituito da Qatar, Emirati arabi, Bahrein, Kuweit, Oman e Arabia Saudita, ha accolto nella persona del presidente francese un capo di Stato straniero. Hollande, sia detto per inciso, arrivava dal Qatar, dove aveva appena firmato un contratto per la vendita di 24 aerei da caccia “Rafale”.

Ebbene, al summit è stato accolto come un eroe da quegli Stati del Golfo che non ne possono più dell’amministrazione Obama, colpevole ai loro occhi di voler riammettere nella comunità internazionale il loro storico nemico, Teheran. Ma è soprattutto l’Arabia Saudita a interpretare come una sfida il ritorno nel consesso delle Nazioni dell’Iran, Paese di 80 milioni di abitanti, la cui una popolosa e sofisticata classe media, una volta tolto l’embargo economico, potrebbe subire profondi cambiamenti pro-occidentali. Ed è per affrontare questa sfida che il nuovo re Salman, incoronato appena tre mesi fa, ha fatto la sua rivoluzione di palazzo, scegliendo attorno a sé principi e alti funzionari che hanno tra 30 e 50 anni, in un Paese abituato a essere gestito da una classe politica ottuagenaria.

Il monarca saudita ha nominato ministro dell’Interno suo nipote, il cinquantacinquenne principe ereditario Mohammed Ben Nayef, e ministro della Difesa suo figlio, il trentenne Mohammed Ben Salman, nella speranza che quest’iniezione di giovane linfa politica possa migliorare l’efficacia e la modernità delle scelte del Regno. Dopo il suo colpo di mano, il monarca saudita ha però bisogno del più ampio consenso politico possibile, perché il prezzo del petrolio non è mai stato così basso e perché l’importante deficit dello Stato lo costringe a ricorrere alle riserve accumulate in passato per nutrire una popolazione giovanissima e in forte espansione demografica.

Ora, anche in Arabia Saudita lo Stato islamico fa sempre più emuli tra i giovani disoccupati, soprattutto quando mette in dubbio la legittimità religiosa del re saudita in quanto “guardiano dei due luoghi santi”, con cui usurpa un ruolo destinato al Califfo Ibrahim di Mosul. Il predecessore di re Salman, suo fratello Abdallah, aveva lasciato mano libera a chi finanziava le brigate dello Stato islamico per accelerare la caduta del presidente siriano Bashar Al Assad, alleato degli ayatollah. Ma oggi l’Arabia è a sua volta minacciata da quelle brigate, come lo è da Teheran, perché alle sue frontiere combattono i ribelli yemeniti houti, appartenenti a una setta sciita e anch’essi sostenuti dall’Iran.

Per fronteggiare il pericolo alle sue porte, Riyad s’è dunque messa alla testa una coalizione militare sunnita con cui ha lanciatouna potente offensiva aerea, senza però ottenere successi decisivi sul terreno. Nel frattempo Al Qaeda nella Penisola arabica ha stretto alleanza con lo Stato islamico e ne ha approfittato per prendere il controllo di vaste aeree dello Yemen. Stretta tra l’incudine iraniana e il martello jihadista, l’Arabia ha dovuto riconciliarsi con i suoi rivali sunniti di ieri, il Qatar e la Turchia, grandi sostenitori dei Fratelli musulmani egiziani.

Perciò, mentre al Cairo il maresciallo Al Sisi reprime nel sangue la Fratellanza musulmana con l’avallo saudita, a Riyad si è giunti alla conclusione che sia impossibile lottare contro tre nemici alla volta. E che per svincolarsi dalla trappola dell’Is e dell’Iran bisogna reintegrare nelle fila sunnite i Fratelli musulmani. Questa difficile congiuntura si produce nel momento in cui l’America, alleata di sempre dell’Arabia saudita, ma stanca dei suoi incontrollati eccessi salafiti, fa gli occhi dolci a Teheran nella speranza di riuscire a pacificare il Medio Oriente.

Ecco perché re Salman ha chiamato al potere una nuova generazione di politici e intronizzato Hollande nuovo eroe occidentale. Vedremo le conseguenze di queste scelte al summit americano con i Paesi del Golfo che si apre domani. Ieri, intanto, il monarca saudita ha fatto sapere che non si renderà a Washington né a Camp David. In segno di sfida, invierà i due principi Mohammed, suoi successori al trono.

IL FOGLIO: "Sauditi nervosi"

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Iran e Arabia Saudita si contendono lo Yemen

Dopo l’accordo sul nucleare iraniano, raggiunto in forma provvisoria tra Teheran e cinque potenze occidentali un mese fa e da confermare definitivamente alla fine di giugno, i paesi sunniti del Golfo – il Bahrein, il Kuwait, il Qatar, gli Emirati arabi uniti e soprattutto l’Arabia Saudita – si sono rivolti all’alleato americano per recuperare la loro supremazia militare sulla regione, messa in pericolo dal deal atomico e dalla fine delle sanzioni all’Iran.

La settimana scorsa un articolo di Jay Solomon e Carol E. Lee sul Wall Street Journal raccontava che i paesi del Golfo, e soprattutto l’Arabia Saudita, vogliono che l’America venda loro tecnologia militare sofisticata e modernissima e fornisca garanzie diplomatiche per compensare l’accesso dell’Iran al nucleare civile (controllato per 10 anni, dice l’accordo provvisorio, poi si vedrà). I paesi del Golfo vogliono dall’America droni, sistemi antimissile, equipaggiamento di sorveglianza sofisticato e gli aerei da guerra più avanzati attualmente in produzione, i caccia F-35.

L’America si è sempre rifiutata di fornire tecnologia militare avanzata ai paesi del Golfo: sono alleati, ma lo saranno ancora tra dieci anni? L’Arabia Saudita e i suoi vicini, inoltre, non riconoscono il diritto di Israele a esistere, e mettere armi modernissime nelle loro mani significa mettere a rischio la “supremazia qualitativa” dell’esercito israeliano nella regione e, sul lungo periodo, creare i presupposti per una minaccia mortale contro Gerusalemme. In maniera bipartisan, il Congresso americano si oppone alle richieste dei paesi del Golfo, ma la mancata vendita di armi è una delle ragioni per cui il re saudita Salman e molti leader del Golfo diserteranno il summit di Camp David organizzato da Obama domani e giovedì.

Secondo il Wall Street Journal l’accordo nucleare con l’Iran, oltre a concedere a Teheran tecnologie nucleari che in un futuro potrebbero essere usate per creare la Bomba, metterà a disposizione degli iraniani 100 miliardi di dollari in proventi del petrolio attualmente congelati dalle sanzioni.

I soldi, temono i paesi del Golfo, serviranno a finanziare i progetti degli ayatollah di egemonia sulla regione, e i conflitti che l’Iran sta sostenendo attraverso i suoi alleati sciiti in Iraq, Siria, Yemen. Oltre a nuove armi sofisticate, l’Arabia Saudita e i suoi vicini chiedono a Washington, dicono al Wall Street Journal fonti informate sulle trattative, un trattato di mutua difesa simile a quello siglato nel Pacifico con la Corea e il Giappone, che obblighi l’America a scendere in guerra nel caso in cui uno dei paesi contraenti fosse attaccato. Durante i colloqui diplomatici i delegati sauditi avrebbero detto che Riad dovrebbe essere autorizzata a mantenere la “parità nucleare con l’Iran” – in pratica, ottenere le stesse tecnologie atomiche che Teheran sta sviluppando e, in prospettiva, la Bomba.

Per il Congresso americano, le richieste dei sauditi e degli altri sono irricevibili. “Se mi arriva sentore (della vendita di armi sofisticate) farò tutto ciò che è in mio potere per bloccare ogni proiettile e ogni aeroplano”, ha detto il senatore repubblicano Lindsey Graham, che su Israele ha aggiunto: “Vogliamo assicurarci che la sola e unica democrazia della regione non sia mai sovrastata militarmente”. L’inquietudine degli alleati del Golfo, scrive il Wsj, “dimostra come un patto volto a stabilizzare il medio oriente rischi di militarizzare ancora di più una regione già instabile”. Nell’appeasement con l’Iran, Obama cerca di stabilizzare una minaccia e cementare la sua legacy. Il risultato, per ora, è che il mondo è un posto più pericoloso.

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