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Libero Rassegna Stampa
07.05.2015 Pamela Geller contro gli islamisti, lo Stato Islamico giura vendetta
Cronaca di Claudia Osmetti, commento di Glauco Maggi

Testata: Libero
Data: 07 maggio 2015
Pagina: 12
Autore: Claudia Osmetti - Glauco Maggi
Titolo: «Pamela è tornata: frasi anti-islam sui bus - E l'Isis minaccia la 'maiala Usa': 'Per lei già pronti 71 kamikaze'»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 07/05/2015, a pag. 12, con il titolo "Pamela è tornata: frasi anti-islam sui bus", la cronaca di Claudia Osmetti; con il titolo "E l'Isis minaccia la 'maiala Usa': 'Per lei già pronti 71 kamikaze' ", il commento di Glauco Maggi.

 Ecco gli articoli:

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Pubblicità politica sugli autobus a New York: "L'antisemitismo islamico risale al Corano"

Claudia Osmetti:  "Pamela è tornata: frasi anti-islam sui bus"

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Pamela Geller

«Uccidere gli ebrei è una forma di devozione che avvicina ad Allah», firmato Hamas. Gli autobus di Manhattan e dintorni, in questi giorni, dovevano raffigurare questa singolare pubblicità. Già, perché l’Afdi (l’American freedom defense initiative) aveva chiesto, e ottenuto, che pullman e metropolitane di New York fossero tappezzati con questo cartello. Che - non c’è bisogno di dirlo ma è sempre meglio puntualizzare - non è certamente uno slogan anti-israeliano.

Anzi. Dietro quella pubblicità, manco a farlo apposta, c’è infatti Pamela Geller, blogger e attivista made in Usa. Quella stessa pasionaria anti islam che pochi giorni fa ha organizzato la gara delle migliori vignette satiriche su Maometto a Dallas, competizione che è stata presa di mira dai jihadisti a stelle e strisce dell’ultimo minuto. Il manifesto in questione ritrae un uomo il cui volto è coperto dalla kefiah e la scritta «Questa è la sua Jihad. E la tua?».

Ma state tranquilli. Nessuno incita alla violenza, nessuno osanna il terrorismo, nessuno applaude allo sterminio ebraico. Tutt’altro. Quel messaggio (una semplice, e forse proprio per questo ancora più spaventosa, citazione di Hamas)doveva servire proprio a svegliare le coscienze. In realtà ha svegliato solo il moralismo politically correct dei dem d’oltre oceano che hanno impiegato poco meno di due giorni a trovare l’escamotage per affossare l’iniziativa. Come? Mettendo di mezzo avvocati, consigli di amministrazione e burocrazie varie. E dire che a riconoscere il diritto dei promotori di questa campagna di finire sui mezzi di trasporto targati Grande Mela era stato proprio il tribunale.

Nel senso: l’azienda di trasporti di New York, la Metropolitan Trasportation Authority (Mta), di vedere tappezzati i propri bus con quel cartello proprio non ne voleva sapere. E al grido di quel-messaggio-incita-al- terrorismo ha fatto causa a chi ha avanzato l’idea. Ma c’è un giudice a New York, così John Koelth ha rigettato l’istanza. Quel cartello è protetto dal Primo Emendamento, ha detto, cioè dalla Costituzione americana: è lecito, punto e basta. Alla Mta non è rimasto che aggrapparsi al disclaimer che campeggia sotto la foto: «Questo avviso a pagamento è sponsorizzato dall’Afdi». Come a dire: noi non c’entriamo, siamo stati obbligati.

Poi però hanno pensato di andare oltre e, siccome non potevano vietare quella pubblicità in particolare (l’aveva detto un giudice, in fondo) hanno deciso di vietarle tutte. Solo la settimana scorsa il consiglio della Mta ha votato per dire basta agli annunci politici su tram e metrò, e poco importa a lor signori del politicamente corretto se l’agenzia in questione è a corto di liquidi. Tant’è: fatta la sentenza, trovato l’inganno. Anche se Koelth, quando ha preso la decisione dello scandalo, di dubbi ne ha avuti ben pochi: a quanti saltavano sulla sedia scandalizzati per il messaggio di quel cartello ha risposto, nero su bianco e nelle righe della sentenza, che quell’annuncio era sostanzialmente identico a uno già sperimentato a San Francisco e a Chicago nel 2013. E in quell’occasione non si erano registrati incidenti.

Senza contare, poi, il precedente proprio nella città di Bill de Blasio: tre anni fa le stazioni della metro newyorkese furono ricoperte da manifesti che dicevano: «In ogni guerra tra l’uomo civilizzato e il selvaggio, sostieni il primo. Sostieni Israele. Sconfiggi la Jihad». L’ha spiegato fin troppo bene David Yerushalmi, avvocato della Afdi, quando ha affermato che la decisione di Koelth «manda un messaggio forte sia ai burocrati governativi che vorrebbero limitare la libertà di parola sia ai nemici dell’Occidente».

Qual è questo messaggio? Semplice: «Le loro minacce di violenza non impediranno ai giudici di sostenere la Costituzione». «Non limiterò le mie libertà per non offendere i barbari », aveva dichiarato la Geller dopo l’assalto di Dallas. Inutile aggiungere che a Pamela, 58 anni e una casa nell’East Side di Manhattan, l’ennesimo provvedimento della società di trasporti newyorkese proprio non è andato giù. Così ora è sul piede di guerra, e minaccia ricorso. «Rovescerò la decisione, sono sicura che ce la farò».

Glauco Maggi: "E l'Isis minaccia la 'maiala Usa': 'Per lei già pronti 71 kamikaze' "

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Glauco Maggi

«L’attacco all’America è solo l’inizio del nostro impegno per stabilire una wiliyah (autorità di governo) nel cuore del nostro nemico», ha fatto sapere l’Isis in coda all’assalto in Texas. Dopo la dimostrazione della presenza negli Usa di suoi fans disposti a tutto, il gruppo di Abu Bakr al-Baghdadi si prepara ad altre operazioni strategiche in America, ma la prima dichiarazione di guerra è contro la blogger di New York Pamela Geller. La pasionaria provocatrice, diventata il simbolo della resistenza gridata all’islam radicale per aver organizzato il concorso di Garland per il migliore ritratto di Maometto, è stata citata in un messaggio anonimo su Just PasteIt in cui lo Stato Islamico rivendica anche la paternità dell’attentato: «Il nostro bersaglio in Texas era la maiala Pamela Geller, per farle vedere che non ci importa in quale terra si nasconda o quale cielo possa proteggerla; manderemo tutti i nostri Leoni per ottenere la sua macellazione».

Nello stesso testo, il gruppo estremista islamico dichiara che «ci sono 71 soldati addestrati in 15 Stati pronti a un nostro ordine di attacco». Specificamente, però, l’Isis ne elenca cinque: Virginia, Maryland, Illinois, Michigan e California. La Geller ha risposto, sprezzante, che «questa minaccia illustra la ferocia e la barbarie dello Stato Islamico. Mi vogliono morta per aver violato la legge della Sharia sulla blasfemia. Quello che rimane da vedere è se il mondo libero finalmente si risveglierà e si mobiliterà per la libertà di parola, o se al contrario si inchinerà servilmente a questo male e continuerà a denunciare me».

La sfida della pasionaria ha il tono della provocazione, la stessa di Oriana Fallaci quando denunciò, preveggente, l’avvento dei nuovi barbari e la degenerazione dell’Europa in Eurabia. Le elite culturali, e la sinistra, ostracizzano oggi la blogger Geller così come scatenarono una fatwa politica contro la giornalista italiana. I circoli del politicamente corretto non hanno vergogna della loro ipocrisia, perché quando Salman Rushdie fu oggetto della fatwa di Khomeini nel 1989 per i «Versetti Satanici», si strinsero attorno all’intellettuale dei loro salotti con un abbraccio protettivo e plaudente.

Nel 1999 fu fatto Commendatore dell’Ordine delle Arti e delle Lettere di Francia, nel 2007 la regina Elisabetta lo nominò cavaliere, e dal 2000 Rushdie vive negli Usa, dove lavora all’università di Emory ed è stato eletto membro dell’Accademia americana di arti e lettere. Perché, minacciata di morte per ciò che dice e scrive, Pamela non merita oggi la stessa solidarietà protettiva di Salman, ma anzi viene biasimata e accusata di odio religioso?

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