Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/05/2015, a pag. 41, con il titolo "Il triste romanzo del genocidio armeno", il commento di Pierluigi Battista.
Pierluigi Battista Antonia Arslan
Chi denuncia il genocidio armeno in Turchia è perseguitato, mentre gli scheletri di un milione e mezzo di morti sono spazzati sotto il tappeto
Contro i censori turchi che si ostinano a negare il massacro degli armeni del 1915, che considerano un reato passibile di galera il solo parlarne, che ingiuriano papa Francesco che ha voluto ricordare quel genocidio, c’è una trincea di tantissimi libri per ristabilire la verità e non dimenticare uno degli orrori più atroci del ventesimo secolo. In questi giorni è uscito da Rizzoli un altro romanzo di Antonia Arslan, Il rumore delle perle di legno, la cui autrice continua a narrare la storia di quel popolo annientato e disperso dopo La masseria delle allodole.
C’è poi La maschera della verità di Pinar Selek, appena pubblicato in Italia da Fandango che è un resoconto agghiacciante del sistema di menzogne con cui in Turchia si è proceduto, dopo la carneficina del 1915, alla sistematica cancellazione di ogni traccia di cultura armena, di lingua armena, di sensibilità armena. La Selek viene da una famiglia di sinistra e il padre fu sbattuto in galera dopo il golpe militare del 1980. Lei stessa, sociologa comunista e femminista, ha conosciuto l’orrore delle torture nelle prigioni turche, ma con questo libro vuole descrivere il silenzio che in Turchia si è addensato sul genocidio. Gli armeni sopravvissuti, «i resti della spada» come li definisce Pinar Selek, quelli che sono scampati alle teste mozzate, alle esecuzioni in massa, ai villaggi incendiati, alle donne violentate e sgozzate, sono stati annullati dalla vita pubblica. Una di loro scrisse: «Sulle strade che avete attraversato, un tempo esistemmo». E invece gli armeni non esistono nelle scuole turche, sui giornali turchi. Persino parlare con uno di loro lungo le vie di Istanbul è pericoloso.
Gli armeni son diventati «invisibili». Anche lei, donna progressista e di sinistra, ha indossato «l’armatura del padrone di casa», la «corazza» di chi ha vinto trucidando un popolo. «Essere armeni in Turchia» scrive Pinar Selek in questo libro scritto in modo emozionante e carico di dolore «voleva dire passeggiare senza ribellarsi sui viali battezzati coi nomi dei governanti responsabili del genocidio. Pronunciare il nome dell’assassino del proprio nonno o della propria nonna facendo finta di scambiarsi un indirizzo. Temere di parlare a voce alta per le strade. Far finta di non sentire gli insulti. Nascondersi per esistere». Una vita segreta, clandestina, nelle grotte sotterranee di Istanbul. E, sopra, i gendarmi che sorvegliano ogni parola perché il genocidio non venga mai ricordato. 1915, solo un secolo fa.
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