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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.05.2015 Fuga dalla libertà: se l'Occidente rinnega Charlie Hebdo
Analisi di Pierluigi Battista

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 maggio 2015
Pagina: 19
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Il caso Charlie Hebdo: quando l'Occidente è stanco della libertà»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/05/2015, a pag. 19, con il titolo "Il caso Charlie Hebdo: quando l'Occidente è stanco della libertà", l'analisi di Pierluigi Battista.

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Pierluigi Battista


Vignetta di solidarietà a Charlie Hebdo

Prima erano soltanto sei, e abbastanza marginali nel mondo della letteratura. Ma adesso sono oltre 150 gli scrittori, con nomi di peso come quello di Joyce Carol Oates e Patrick McGrath, a protestare con grande clamore perché il Pen Club si è permesso di assegnare a Charlie Hebdo il premio intitolato alla libertà d’espressione. Di cosa hanno paura? Perché tanto accanimento e malanimo contro una testata che dopo la carneficina di Parigi era diventato il simbolo della libertà conculcata, vignettisti massacrati per delle vignette considerate blasfeme? Joyce Carol Oates è arrivata su Twitter a suggerire un paragone tra Charlie Hebdo e il Mein Kampf di Hitler, ambedue, ha scritto, liberi di essere pubblicati, ma ambedue, allo stesso modo, senza differenze, portatori di un messaggio razzista.

Le vittime di Charlie Hebdo sono stati messi sullo stesso piano dei loro carnefici. Cosa ci sta accadendo, cosa si sta insinuando nelle nostre menti se la libertà suscita così poco desiderio di curarla, di salvaguardarla? Questa smania di mettere limiti, di imporre restrizioni, di essere prudenti, di mettere la museruola alla satira?

Qualche anno fa sarebbe stato semplicemente impensabile che un gruppo nutrito di scrittori protestasse per un premio alla libertà d’espressione conferito a una rivista i cui redattori sono stati sterminati perché avevano pubblicato qualcosa di «eccessivo». Ma nel giro di qualche anno, lo spirito pubblico dell’Europa e dell’Occidente si è molto modificato. Commentando l’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione , Emmanuel Carrère, ha avanzato l’ipotesi che oramai siamo stanchi della libertà. La libertà non è più una meta, un bene che custodiamo con passione. Pensiamo che le nostre società siano vuote, sfibrate. Che non valga la pena rischiare per qualcosa che forse è un lusso. Nel romanzo di Houellebecq la società francese non si lascia conquistare da gruppi violenti e aggressivi, ma si fa imprigionare docilmente, poco a poco, senza opporre alcuna resistenza. Si nega l’ingresso delle donne nell’Università e la cosa viene accettata senza tante contestazioni.

Si instaura la poligamia con le bambine consegnate a vecchi mariti che eserciteranno su di loro un controllo totale e un dominio sessuale che ancora oggi consideriamo disgustosamente inaccettabile. Ma nel romanzo la Francia si adegua, rinuncia a combattere. La libertà delle donne? Si può anche rinunciare, se questo serve a pacificare la società, a farla uscire dalle sue incertezze e dai suoi pericoli. La libertà d’espressione? Ma che volete che sia la libertà d’espressione di così prezioso da rischiare addirittura la vita e l’emarginazione in suo nome. E quindi gli scrittori protestano, si mettono dalla parte di chi considera la libertà d’espressione un peccato imperdonabile, un segno di dissoluzione morale. Ma ne hanno uccisi dodici, sono entrati in un supermercato kosher, a Copenaghen hanno sparato durante una discussione tra vignettisti che aveva come tema la libertà. Peggio per loro, se la sono andata a cercare, sono usciti dalla routine. La stanchezza della libertà rischia di essere l’orizzonte della nostra epoca. Erich Fromm parlava di fuga dalla libertà, perché la libertà è difficile, faticosa. Buñuel agitava il «fantasma della libertà».

La «stanchezza della libertà» fa dire a Luz, il vignettista di Charlie Hebdo che ha pianto per la strage dei suoi colleghi e che ha disegnato la copertina successiva al massacro di gennaio, che basta, non farà più vignette su Maometto. Ora il settimanale francese chiede a tanti vignettisti di collaborare e di mandare i loro disegni. Sono giovani, avrebbero un’occasione di lavoro importante, la possibilità di farsi conoscere, ma loro chiedono l’anonimato, hanno paura, Pensano che non ne valga la pena. Come dar loro torto se un gruppo di scrittori ha già dimenticato la carneficina di gennaio e trova che sia offensivo premiare delle persone che sono morte perché disegnavano e pubblicavano vignette? La stanchezza della libertà è anche questo; nessuna voglia di combattere. Da una parte ci immergiamo compunti nella retorica delle celebrazioni per il settantesimo della Liberazione. Dall’altra alziamo un muro di eccezioni, di distinguo: da qui a qui la libertà può andare, oltre questa linea entri dalla parte del torto, vai a cercare guai.

La stanchezza della libertà è dare la libertà acquisita una volta per tutte. Senza accorgersi che l’autocensura, la paura, i distinguo, la voglia di mettere limiti fa arretrare lentamente ma inesorabilmente la soglia della libertà, la svuota, la sfibra, ne fa un guscio fragile e vulnerabile. Muori sotto i colpi di chi vuole abolire la libertà d’espressione e gli scrittori, passati tre mesi, ti rifiutano persino un premio alla memoria. È la stanchezza, il primo passo verso la sconfitta.

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lettere@corriere.it

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