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Libero Rassegna Stampa
01.05.2015 La torta al sesamo che regala salute e felicità
Un breve racconto della scrittrice israeliana Zeruya Shalev

Testata: Libero
Data: 01 maggio 2015
Pagina: 26
Autore: Zeruya Shalev
Titolo: «La torta al sesamo che regala salute e felicità»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 01/05/2015, a pag. 26, con il titolo "La torta al sesamo che regala salute e felicità", un breve racconto di Zeruya Shalev.

La Fondazione Mondadori pubblica i racconti di 104 scrittrici dei 100 Paesi presenti da oggi a Milano sul cibo, la memoria e le radici. Cioè l’essenza della vita, come ci dimostra l’israeliana Zeruya Shalev.

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Zeruya Shalev

Diceva: «Devi assolutamente fare quella torta. Se la mangi ogni mattina avrai salute e felicità. È semplicissima. Una tazza e mezza di farina integrale, due banane schiacciate, due cucchiai di salsa di sesamo, mezza tazza di olio di cocco. Avrò dimenticato qualcosa? No, gli ingredienti sono questi. Se vuoi, puoi aggiungere noci e datteri». Diceva anche: «Devi dire grazie ogni mattina. Grazie per tutto quello che hai. Magari pure elencare quello che hai, come se si trattasse di ingredienti. Due figli, un compagno, lavoro, amici. Ho dimenticato qualcosa? Puoi anche aggiungere che hai me».

E adesso sto mescolando dentro una scodella due banane schiacciate, una tazza e mezza di farina integrale, due cucchiai di salsa di sesamo, mezzo bicchiere di olio di cocco. Si è dimenticata lo zucchero! Mica posso chiamarla e chiederle quanto zucchero ci vuole nella torta: rovinerei la sorpresa! E comunque figuriamoci se se lo ricorda. Così aggiungo mezza tazza di zucchero e continuo a rimestare. Parlarle al telefono, ormai, è praticamente impossibile. Quando risponde e le dico chi sono, esclama immancabilmente: «Ti ho appena sognata!», e quando le chiedo che cosa sognava, non se lo ricorda. È sempre simpatica e cordiale ma nulla, proprio nulla fa pensare che sappia chi sono, che cosa sono stata per lei, e che cosa è stata lei per me. Era la mia speranza, lei. Ero ferita e lei veniva ad assistermi nella convalescenza.

A fare ginnastica, a pensare a belle cose, a mangiare sano. Era sempre vestita di bianco, con i capelli tinti di nero pece. Aveva due bellissimi occhi neri. Sono convinta di essere guarita per merito suo. Ma appena sono guarita io si è ammalata lei. Chiamò per comunicare che nelle settimane successive non sarebbe venuta. «Domani mi ricoverano», disse con una voce tesa, «ma grazie a Dio il tumore è benigno. Me lo tolgono dalla testa e tutto torna come prima».

Fu l’ultima volta in cui seppe chi ero. Chi era lei. «Non dimenticarti di dire grazie ogni mattina e di mangiare la torta tutta salute», disse. Non ho fatto né una cosa né l’altra. La verità è che non mi piacciono i dolci. Ma ora che finalmente ho avuto dalla sua famiglia il permesso di andarla a trovare, mi ritrovo a mescolare tutti gli ingredienti e metterli in forno. Perché l’operazione non è andata bene. Perché Hava non è tornata quella di prima, anche se viva lo è ancora. Perché la speranza che aveva dato lei a così tante persone l’ha abbandonata. Sarà stata troppo generosa? A forza di dare non le è rimasto niente? Comunque una speranza ce l’ho ancora. Una speranza idiota, infantile. Che forse, chissà, mangiando la torta magari guarisce. Che forse se mi vede si ricorda di quel che c’è stato fra noi. Delle nostre meravigliose e interminabili conversazioni. Di tutta la gioia che ha portato nella mia vita.

Sono guarita per merito suo. Per merito suo sono tornata al mio lavoro, alla mia famiglia. La teglia è ancora caldissima, ma nonposso aspettare. La prendo con due strofinacci e salgo in macchina. L’abitacolo si riempie di profumo di miele, anche se nella torta non ce n’è. Forse avrei dovuto metterci il miele invece dello zucchero? E se questo errore togliesse alla torta il suo potere di guarigione? Mi sta aspettando sulla soglia di casa, porta degli occhiali da sole scuri ed è vestita di bianco. Per un attimo ho l'impressione che sia proprio lei, cioè che non sia cambiata, che sia sempre la stessa Hawa buona e capace di fare ancora tutto il bene disinteressato che ha fatto a me. Per un attimo m’illudo di potermi ancora appoggiare a lei e attingerne la sua gioia di vivere di cui ho così tanto bisogno.

La abbraccio e le accarezzo i capelli che hanno le radici grigie. «Mi sei mancata tanto, ero così preoccupata per te», dico. Lei mi sorride: «Benvenuta! Quanto tempo che non ci vediamo!», e mi conduce verso casa. «Ti ho appena sognata», dichiara mentre entriamo e lei si toglie gli occhiali da sole, svelando un volto molto pallido. «Cosa hai sognato?», domando, «era un bel sogno o un brutto sogno?». Lei sorride: «Non mi ricordo», risponde. «Ho sentito che ti fa male la testa», dico, e lei sorride di nuovo: «Sì, l’operazione non è andata bene e il tumore si sta allargando. Ma è un tumore benigno grazie a Dio». Chissà se dice ancora grazie ogni mattina per quel che ha...

«E tu come stai?», chiede, allora cerco di rammentarle chi sono usando le mie traversie di salute, perché ho il dubbio e il presentimento che la sua cordialità non sia di ordine personale. «Ti ricordi che sono rimasta ferita in un incidente stradale? Ti ricordi che venivi ad assistermi? Che facevamo ginnastica sul balcone? La gamba mi fa ancora male e anche la spalla, ma molto meno», cerco di spiegare, e lei dice: «Magnifico! Ottime notizie» ,ma subito dopo domanda di nuovo: «E tu come stai?». Quando guardo interdetta il suo bel viso sento di colpo che dietro non c’è niente, come se avessero svuotato il cranio del suo contenuto o quanto meno di quella parte del cervello che faceva di lei quello che era: il suo cuore, il suo miele, la sua strabiliante capacità di far rivivere, di porgere aiuto, di gioire. E sento che quel suo vuoto sta svuotando anche me del mio cuore, che anche se è meno affettuosa nonmi va proprio di rinunciare a lei.

«Vuoibere qualcosa?», domanda con un certo imbarazzo mentre sta fra la sala e la cucina, e a me torna in mente la torta: «La torta! Ti ho fatto la tua torta tutta salute! Me la sono dimenticata in macchina». «Quale torta?», domanda lei, e io dico: «La ricetta che mi hai dato tu, che bisogna mangiare ogni mattina! La torta tutta salute, con banane e salsa di sesamo, ce la mangiamo insieme e guariamo tutte e due!». Quando torno con la teglia che si è ormai un po’ raffreddata, lei mi accoglie come se stessi arrivando in quel momento: «Benvenuta! Quanto tempo che non ci vediamo!». È seduta nella grande poltrona che dà verso la porta e s’infila subito gli occhiali da sole per via della luce che è entrata quando la porta si è aperta.

«Ecco la torta che mi hai insegnato tu!», dichiaro, «chissà se ti ricordi se si dolcifica con il miele o con lo zucchero». Ma mi pento subito: perché mai metterla in difficoltà con delle domande a cui non è in grado di rispondere? Sarà una vendetta, la mia, perché lei mi ha abbandonato? «Serviti, ti prego», le porgo la teglia, quasi la imploro, e che bella la sua bocca mentre mastica, bella quando sorride, «Ho giusto appena sognato questa torta», dice.
(Trad. it. di Elena Loewenthal)

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