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La Repubblica Rassegna Stampa
29.04.2015 L'imam di Bergamo: 'Sono un imam radicale che predica il jihad ed esalta i martiri della fede islamica'
Intervistato da Paolo Berizzi aggiunge: 'Ma non sono un terrorista'

Testata: La Repubblica
Data: 29 aprile 2015
Pagina: 19
Autore: Paolo Berizzi
Titolo: «'Sono un imam radicale ma non un terrorista, quando predico la jihad penso solo al Corano'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 29/04/2015, a pag. 19, con il titolo "Sono un imam radicale ma non un terrorista, quando predico la jihad penso solo al Corano", l'intervista di Paolo Berizzi a Muhammad Zukifal Hafiz, l'imam di Bergamo arrestato nei giorni scorsi e accusato di appartenere a una cellula che preparava attentati in Italia.

Le scuse accampate dall'imam, nel tentativo di giustificarsi, sono a dir poco ridicole. Quello che invece è interessante è la sua aperta confessione di predicare il jihad. Una intervista davvero istruttiva, rivelatrice della realtà delle comunità islamiche in Italia. L'imam dice di essere "radicale" e di predicare il jihad pensando al Corano, e aggiunge di non essere terrorista. Alquanto contraddittorio.

Ecco il pezzo:

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Paolo Berizzi                             L'imam di Bergamo

Parla Muhammad Hafiz Zulkifal. Di Al Qaeda. Della jihad. Degli attentati. Di Osama Bin Laden. Dei soldi spediti in Pakistan e del Corano. «Sono un predicatore radicale, non un terrorista. Se lo fossi non userei certo il mio telefono e il mio computer per ordinare le barbarie di cui sono accusato. Ci sono stati degli equivoci, errori di traduzione. Ora spiego tutto », dice in questa intervista a Repubblica . È la sua difesa. Una cella singola con tappeto per pregare. Isolato dagli altri detenuti. Sorvegliato a vista. L’Antiterrorismo non ha dubbi: pachistano di Swabi, 43 anni, in Italia dal ‘97, seguitissimo imam di Bergamo e Brescia, tunica bianca e barba lunga tinta di rosso, è lui, Zulkifal, il capo della cellula italiana di Al Qaeda (18 persone) con basi tra Sardegna e Lombardia. Lui e Sultan Wali Khan, imam di Olbia. Le accuse per Zulkifal sono: costituzione e organizzazione di associazione terroristica internazionale; finanziamento della stessa organizzazione che è responsabile della strage al mercato di Peshawar a ottobre 2009 (oltre 100 morti nel giorno della visita di Hillary Clinton) e di numerosi attentati. E poi duplice omicidio (come mandante) e trasporto di valuta all’estero. L’imam risponde nostre domande attraverso il suo avvocato, Omar Hegazi, del Foro di Bergamo, specializzato in diritto dell’immigrazione e impegnato nel campo dei diritti civili.

Quando i poliziotti la arrestano all’alba, sorride. Perché? «Ero e sono tranquillo. So di non avere fatto niente di male. Non avevo ancora letto la richiesta di arresto. All’inizio pensavo fosse un controllo legato alla mia richiesta di cittadinanza. I poliziotti non mi hanno detto che si trattava di terrorismo. Sono un imam, non organizzo attentati».

In cosa consiste la sua attività di imam? «Insegno la lingua araba. E l’Al Qaeda del Corano».

Scusi? Come Al Qaeda del Corano? « Al Qaeda, in arabo — e non in lingua pashtu — significa “la base”. Ha un riferimento letterario diretto a una sorta di libro- bigino che spiega la corretta interpretazione del Corano e la giusta fonìa delle parole del Profeta. Una fonìa differente può modificare il significato delle parole. Lo insegno anche ai bambini della scuola coranica ».

Vuole dire che nelle telefonate e negli sms intercettati lei si riferiva a Al Qaeda ma non intesa come organizzazione terroristica? «Sì. L’unica lingua conosciuta dall’interprete della Procura di Cagliari è il pashtu. Da qui, forse, è nato l’equivoco. In arabo Al Qaeda non ha il significato che gli è stato dato 15 anni fa dai media occidentali. Lo stesso Bin Laden non ha mai usato il termine “Al Qaeda”».

Lei parla di equivoci, ma ci sono intercettazioni inequivocabili. «Se nella mia veste di imam organizzavo maswara di Al Qaeda, e cioè delle riunioni fatte da religiosi e da insegnanti del Corano per discutere le interpretazioni da dare al nostro testo sacro, è normale che ne parlassi al telefono. Qui il significato di Al Qaeda non c’entra nulla con il terrorismo. Né con la politica».

Non parlava di politica nelle sue prediche? «No. La sharia ( la legge del Corano, ndr) vieta di parlare di cose terrene in un luogo sacro come è la moschea. Parlavo solo della sharia e della jihad».

In che termini, della jihad? «La jihad è un sacrificio quotidiano verso il Corano. Che è sempre pace e amore. È adesione radicale ai dettami del Corano. Ma non c’è violenza. Io sono contrario alla violenza».

La accusano di avere finanziato i mujaheddin, e di avere ordinato un duplice omicidio (una coppia di pachistani “infedeli” fatti sgozzare, un giallo ancora da chiarire). «I soldi che raccoglievo, e che in parte mandavo all’estero, erano legati alla mia duplice attività di imam e di mediatore finanziario e trader. Ero il punto di riferimento per molte transazioni. Gli investitori mi affidavano soldi per l’acquisto di beni che vendevo: poi restituivo l’importo pattuito. Ho iniziato in Sardegna commerciando abbigliamento».

E il duplice omicidio? «Mai ordinato di uccidere nessuno (il legale di Zulkifal parla di «vuoto probatorio »). Forse mi hanno parlato di una donna adultera e ho commentato che questo la legge islamica non lo accetta».

Come funziona il sistema di collette della comunità pachistana? E a cosa servivano i soldi raccolti? «La hawala ( il sistema informale di trasferimento di valori all’estero) è utilizzata da 1,5 miliardi di musulmani nel mondo. È prescritta dalla legge islamica. Prevede sia un prestito di denaro che un trasferimento. A tasso zero. I soldi raccolti tra la comunità servono per la costruzione della moschea, i pellegrinaggi, gli aiuti alle famiglie povere, ai bambini. È tutto documentabile ».

Dalle indagini emerge altro: lei ha diffuso un video nel quale si inneggia ai martiri della jihad mentre si vedono i cadaveri di guerriglieri del gruppo terroristico Sepah-e-Sehaba. «Quel video non è mio. Ripeto: sono contrario alla violenza».

Negli sms che le inviavano si parla di bombe, attentati, morti, soldi. Può spiegare? «Io non ho mai parlato di bombe e attentati. È possibile che, tra le tante persone che mi chiamavano, qualcuno mi parlasse di attentati avvenuti in Pakistan. Di morte parlo spesso, certo, è la via a cui ci porta Allah. E anche di shahid ( martiri) parlavo. Per me significa “testimoni di fede”. Anche io sono un shahid».

Lei ha detto che è stato Osama Bin Laden a mandarla in Italia, che eravate come fratelli. «Anche qui c’è un equivoco sul nome. Parlavo spesso di Usama, che è un mio amico ed è come un fratello. Nel mondo islamico siamo tutti fratelli».

Secondo la Procura lei è un capo terrorista: cosa risponde? «I terroristi si nascondono e si coprono la faccia. Io non mi sono mai coperto, mai cambiato il modo di vestirmi, mai tagliato la barba. Se fossi un terrorista mi sarei camuffato in mille modi. E non avrei usato il mio telefono e il mio pc».

Che cosa pensa dell’Is? «Non lo conosco, so solo che sta facendo del male a molta gente».

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