Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/04/2015, a pag. 3, l'editoriale "La resipiscenza del mondano Rushdie"; dalla REPUBBLICA, a pag. 51, con il titolo "Siamo orgogliosi del premio. Chi ci accusa è un oscurantista", l'intervista di Pietro Del Re a Gérard Biard, caporedattore di Charlie Hebdo.
Ecco gli articoli:
IL FOGLIO: "La resipiscenza del mondano Rushdie"
Salman Rushdie e il suo libro più noto
Nel 1989 Salman Rushdie si nascose sotto la protezione della polizia inglese. Sarebbe uscito dalla clandestinità soltanto un decennio più tardi. Aveva imparato la lezione più grande, ovvero quanto è facile essere costretti a entrare nelle tenebre. Questo è ciò che accade ogni giorno nel mondo libero, dai tempi della sua fatwa, a innumerevoli scrittori, vignettisti e giornalisti. Questo è quello che è successo ai redattori di Charlie Hebdo.
Da quando sono stati assassinati da un commando islamista, in Europa ma soprattutto in America si sono susseguite voci critiche e attacchi anche pesanti contro il settimanale satirico francese, reo di “islamofobia”, “hate speech”, “razzismo”. Le stesse accuse, fra l’altro, per cui quelli di Charlie Hebdo vennero trascinati nelle aule di giustizia di Parigi. Ne sono un esempio adesso gli scrittori che boicotteranno la serata di gala al Pen di New York durante la consegna di un premio a Charlie Hebdo.
Su questo caso ha avuto un moto di resipiscenza proprio Rushdie, che spesso si è accodato al pigro ricalco del peggiore chiacchiericcio culturale in voga fra la bella gente che indulge alla via breve, inerziale, del partito preso ideologico. E’ l’establishment più ristretto e furbesco del mondo, il demi-monde impazzito di odio di sé. Adesso però Rushdie ha detto che gli scrittori che boicottano Charlie Hebdo sono delle “fighette” e dei “compagni di viaggio di un islam fanatico che è ben organizzato, ben finanziato e che cerca di terrorizzarci tutti, musulmani e non musulmani, in un silenzio intimidito”.
Parole importanti che vengono da un famoso esponente della literary London e di un milieu ultramondano fatto di equivalenza morale, un intellettuale globale che secondo il New York Times “usa i social media con il vigore di un ragazzino”, un colletto bianco di Sua Maestà diventato parte della vita pubblica occidentale, il romanziere che si accompagna a pop star e conigliette di Playboy, che è comparso persino in un cameo nel “Diario di Bridget Jones”, l’ospite d’onore alla presentazione di app per iPad, delle gallerie d’arte a Chelsea, dei ristoranti indiani di cui è socio e delle prime cinematografiche.
Salman Rushdie è forse lo scrittore, assieme ai redattori martirizzati a Charlie Hebdo, che ha pagato il prezzo più alto all’esercizio sacrosanto e doveroso della libertà d’espressione e che adesso ha capito, forse, che se all’epoca della sua fatwa avessero prevalso gli scrittori che oggi contestano il Pen, la casa editrice francese Christian Bourgois e quella tedesca Kiepenheuer avrebbero avuto ragione a rifiutarsi di pubblicare, per paura e per viltà, le sue “Vignette sataniche”.
LA REPUBBLICA - Pietro Del Re: "Siamo orgogliosi del premio. Chi ci accusa è un oscurantista"
Pietro Del Re Gérard Biard
Non ci sta Gérard Biard, capo redattore di Charlie Hebdo, alle critiche mosse al suo giornale da alcuni membri dell’organizzazione letteraria Pen Club. E ribatte con durezza, prendendosela con «gli oscurantisti del pensiero e con il relativismo culturale anglosassone, che produce soltanto disprezzo » nei confronti dell’intero pianeta. «Sono comunque onorato di questo riconoscimento che premia il coraggio per la libertà di espressione, e che andrò a ritirare io stesso a New York il 5 maggio prossimo», dice il giornalista francese.
Signor Biard, sei soci-scrittori del Pen Club sostengono che voi siate una redazione di giornalisti intolleranti. Che cosa risponde a quest’accusa? «Dovrebbero assumersi le loro responsabilità e lasciare il Pen Club, che è un’organizzazione nata per difendere la libertà d’espressione, dove loro sei non c’entrano nulla. Se avessero un briciolo di coraggio e di coerenza è quello che dovrebbero fare, lasciare il Pen Club, che difende valori nei quali loro non possono riconoscersi».
Secondo questi soci “ribelli”, ma anche secondo alcuni intellettuali francesi, la vostra colpa è di prendervela con la minoranza musulmana di Francia, dunque di essere razzisti. «Ma chi è razzista? Chi considera che i diritti siano universali e chi sostiene che si possa liberamente decidere se credere o non credere in Dio? Oppure è razzista chi pensa che solo alcuni siano degni di questi diritti?».
E che cosa ribatte a chi vi chiede più rispetto per la religione? «Vede, non si tratta di rispetto, ma della legittima critica di quei poteri religiosi che vogliono imporre come verità universale la loro visione del mondo. Noi non combattiamo la religione, ma il totalitarismo religioso».
Quanto è importante per voi il riconoscimento del Pen Club? «Lo è molto, perché è lo stesso premio che fu assegnato a Salman Rushdie, il quale da sempre si batte per la libertà di espressione. E mi chiedo come si sarebbero comportati i sei soci “ribelli” se Rushdie avesse scritto i suoi Versetti satanici, in cui è molto più “intollerante” di noi nei confronti dei musulmani, prima di ricevere il premio dell’organizzazione letteraria. È verosimile che quei soci avrebbero fatto la stessa sceneggiata che adesso fanno con noi».
Parafrasando Pirandello, Rushdie li ha definiti «sei fighette, o sei autori in cerca di popolarità». Condivide il suo giudizio? «Sì, sono persone che rifiutano di mischiarsi con la massa. E lo sa perché? Perché la disprezzano. Però, cosa curiosa, sostengono che gli arroganti e gli intolleranti siamo noi. Detto ciò nella loro protesta qualcosa di buono c’è, perché ha aperto il dibattito in quel mondo letterario anglosassone governato dal relativismo culturale, che produce solo razzismo e disprezzo. Ora, noi di Charlie Hebdo difendiamo un solo credo che è esattamente all’opposto, perché siamo convinti che tutti debbano godere dello stesso diritto alla libertà di espressione».
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