Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 07/04/2015, a pag. 12-13, con il titolo "Accordo nucleare con l'Iran anche se non riconosce Israele. Ma l'America è al vostro fianco", l'intervista di Thomas L. Friedman a Barack Obama.
Obama, intervistato sul New York Times da Thomas L. Friedman, si dilunga esprimendo la superiorità militare di Usa e Israele nei confronti dell'Iran, un necessario potere di deterrenza verso un Paese che più volte ha minacciato lo Stato ebraico di distruzione. Sottolineare ciò, però, è incoerente da parte di Obama: l'accordo con l'Iran, infatti, consentirà al regime di Teheran di proseguire la propria corsa al nucleare e porterà l'Iran a investire nuove risorse in terrorismo contro Israele (e non solo). Verrà dunque meno la superiorità militare israeliana, e di conseguenza la fondamentale arma della deterrenza.
Ecco l'articolo:
Thomas L. Friedman
Obama, il pugile suonato: a terra ma giudicato vincitore
Il presidente americano Barack Obama ha rilasciato ieri una serie di interviste ai media statunitensi in cui ha affrontato vari temi, tra cui l’ultimo accordo nucleare sull’Iran. In serata, alla radio nazionale Npr ha dichiarato che il riconoscimento di Israele da parte di Teheran non è necessariamente legato all’intesa sul programma nucleare iraniano: « L’idea di condizionare un accordo che impedisca all’Iran di dotarsi di armi nucleari al riconoscimento di Israele sarebbe come dire che non firmiamo alcun accordo a meno che la natura del regime iraniano non cambi completamente » . Obama ha concesso un’intervista anche a Thomas L. Friedman del “ New York Times”, che qui riportiamo.
Signor presidente, si può parlare di una “dottrina Obama”, di un denominatore comune nella sua decisione di liberarsi dalle politiche di lunga data degli Stati Uniti di isolamento del Myanmar, di Cuba e ora dell’Iran? «Siamo abbastanza potenti da poter tentare questi accordi senza metterci a rischio. L’Iran, un paese grande e pericoloso, ha svolto attività che hanno portato alla morte di cittadini americani, ma la verità della questione è: il bilancio della Difesa dell’Iran è di 30 miliardi di dollari. Il nostro bilancio della Difesa è di circa 600 miliardi di dollari. L’Iran capisce che non può combattere contro di noi. Mi ha chiesto quale sia la dottrina Obama. La dottrina è: apriremo delle relazioni, ma preservando tutte le nostre capacità. Se saremo in grado di risolvere questi problemi diplomaticamente, questo ci metterà in una situazione di minor rischio, più sicura, in una posizione migliore per proteggere i nostri alleati. Non stiamo rinunciando alla nostra capacità di difenderci. Perché non dovremmo tentare?»
E le preoccupazioni di Israele? «Israele è in una situazione diversa. Il primo ministro Netanyahu, che io rispetto, può affermare: “Israele è più vulnerabile” e io capisco perfettamente la convinzione di Israele che, data la tragica storia del popolo ebraico, non possa dipendere solo da noi per la propria sicurezza. Tuttavia, sono assolutamente impegnato per fare in modo che Israele mantenga la qualità della sua superiorità militare, e possa scoraggiare potenziali attacchi futuri. Ma voglio stabilire degli impegni che chiariscano a tutti nella regione, Iran compreso, che se il popolo ebraico dovesse essere attaccato da qualsiasi Stato, noi saremmo al suo fianco. Questo, credo, dovrebbe essere sufficiente per cogliere questa opportunità unica di vedere se possiamo almeno togliere dal tavolo la questione nucleare».
Anche gli Stati arabi sunniti hanno espresso timori. «Per quanto riguarda la protezione dei nostri alleati arabi sunniti, come l’Arabia Saudita, essi sono esposti a delle minacce esterne molto concrete, ma hanno anche delle minacce interne — gruppi alienati a volte, giovani sottoccupati, un’ideologia distruttiva e nichilista, e in alcuni casi, la convinzione che non ci siano sbocchi politici legittimi per protestare. E così parte del nostro lavoro è lavorare con questi Stati e dire: “Come possiamo costruire le vostre capacità di difesa contro le minacce esterne, ma anche, come si può rafforzare il corpo politico di questi paesi, in modo che i giovani sunniti sentano che essi hanno qualcosa di diverso (dallo Stato islamico, o Is) da scegliere?. Credo che le maggiori minacce che devono affrontare forse non vengono da un invasione dell’Iran. Ma vengono dall’insoddisfazione all’interno dei loro paesi stessi. Questo è un discorso difficile, ma dobbiamo farlo».
Lei ha avuto più rapporti diretti e indiretti con la leadership iraniana di ogni suo predecessore dopo la rivoluzione iraniana del 1979. Che cosa ha imparato da questi scambi? «E ‘importante riconoscere che l’Iran è un paese complicato. Data la storia tra i nostri due paesi, c’è una profonda sfiducia che non può sparire immediatamente. Le attività a cui danno vita, la retorica anti-americana, anti-semitica, anti-israeliana, sono molto inquietanti. Ma abbiamo anche visto degli aspetti di concretezza nel regime iraniano. Penso che siano preoccupati della propria conservazione. Penso che siano sensibili, in qualche modo, alla loro opinione pubblica. L’elezione del presidente Rouhani ha indicato che c’è un desiderio nel popolo iraniano di ricongiungersi con la comunità internazionale, un accento sull’economia e il desiderio di collegarsi a un’economia globale. C’è l’opportunità per queste forze in Iran di muoversi in una direzione diversa. Non è una rottura radicale, ma ci offre la possibilità di stabilire un rapporto diverso».
Se potesse parlare direttamente al popolo israeliano, che cosa gli direbbe? «Gli direi: avete tutto il diritto di essere preoccupati per l’Iran. È un regime che ha espresso il desiderio di distruggere Israele, ha negato l’Olocausto, ha espresso idee antisemite avvelenate ed è un grande paese, grandemente popolato e con un apparato militare sofisticato. Ha ragione quindi Israele di essere preoccupato per l’Iran, e si deve assolutamente preoccupare che l’Iran non costruisca un’arma nucleare. Sappiamo che un attacco militare o una serie di attacchi militari può riportare indietro il programma nucleare iraniano per un certo periodo di tempo ma, quasi certamente, spingerà l’Iran ad affrettarsi a costruire una bomba, dando il pretesto ai sostenitori della linea dura in Iran per dire: “Ecco che cosa succede quando non hai un’arma nucleare: che l’America ti attacca”. Se non facciamo nulla, a parte mantenere sanzioni, continueranno a costruire la loro infrastruttura nucleare. In un mondo perfetto, l’Iran direbbe: “Non avremo nessuna infrastruttura nucleare”, ma quello che sappiamo è che questa è diventata una questione di orgoglio e di nazionalismo per l’Iran. Non si arrenderanno completamente, nessun leader iraniano lo farebbe. Possiamo avere delle vigorose ispezioni, senza precedenti, e sapremo esattamente che cosa stanno facendo in ogni singolo punto della loro catena nucleare. Questo proseguirà per vent’anni e nei primi dieci anni il loro programma non sarà semplicemente congelato, ma effettivamente verrà riportato in larga parte indietro. Sappiamo che anche se volessero barare, avremmo almeno un anno per intervenire, cioè tre volte più del tempo che abbiamo adesso. L’idea di non accettare questo accordo adesso e che non sia nell’interesse di Israele è semplicemente sbagliata».
Cosa direbbe al popolo iraniano? «Se i loro leader stanno davvero dicendo la verità quando dicono che l’Iran non è alla ricerca di un’arma nucleare, significa che non vogliono spendere tanto in un programma simbolico ma sfruttare gli incredibili talenti e l’ingegno e l’imprenditorialità del popolo iraniano, ed entrare a far parte dell’economia mondiale e vedere la loro nazione eccellere in questi termini, e questa dovrebbe essere una scelta abbastanza semplice per loro. L’Iran non ha bisogno di armi nucleari per essere un colosso nella regione. Al popolo iraniano direi: non avete bisogno di essere antisemiti o anti-israeliani o anti-sunniti per essere una potenza in questa regione. L’Iran ha tutti questi beni potenziali, come protagonista responsabile a livello internazionale, in virtù delle sue dimensioni, delle sue risorse e del suo popolo sarebbe una potenza regionale di enorme successo. La mia speranza è che il popolo iraniano cominci a rendersene conto. Certo, una parte della psicologia dell’Iran ha le sue radici nelle esperienze del passato, nella sensazione che gli Stati Uniti o l’Occidente si siano intromessi prima nella loro democrazia e poi nel sostenere lo Scià, dopo nell’appoggiare l’Iraq e Saddam in una guerra estremamente brutale. Quindi dobbiamo distinguere tra un Iran aggressivo e guidato dall’ideologia, e un Iran che si difende perché si sente vulnerabile. Se ci riusciremo — ma non ne sono sicuro — quello che può succedere è che quelle forze che in Iran dicono “facciamo eccellere la scienza, la tecnologia, la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo del nostro popolo”, potrebbero diventare più forti". È un buon accordo, anche se l’Iran non cambiasse affatto. Anche per chi crede che non ci sia nessuna differenza tra Rouhani e la Guida suprema, questa rimane la migliore scelta per proteggerci. Se essi sono implacabilmente contro di noi, a maggior ragione vogliamo fare un accordo in cui sappiamo cosa stanno facendo».
Riguardo all’accordo quadro, se sospettiamo che l’Iran sta barando, abbiamo il diritto di insistere perché un impianto sia esaminato da ispettori internazionali? «Abbiamo stabilito che potremo ispezionare e verificare che cosa accade lungo tutta la catena nucleare dalle miniere di uranio fino agli impianti finali come Natanz. Potremo vedere che cosa fanno ovunque, se ora volessero iniziare un programma segreto per produrre un’arma nucleare, dovrebbero creare una catena di rifornimento totalmente diversa. Punto numero due, stiamo creando un comitato sugli appalti che esamina ciò che importano e che potrebbero rivendicare come di uso alternativo, che determini se ciò che stanno usando è adatto ad un programma nucleare pacifico. Numero tre, stiamo creando un meccanismo per permettere agli ispettori Aiea di andare ovunque. Per quanto riguarda la dottrina Obama — «apriremo delle relazioni, ma preservando tutte le nostre capacità » — l’Iran non avrà un’arma nucleare finché ci sono io, e devono capire che facciamo sul serio. Ma lo dico sperando di poter concludere questo accordo diplomatico, che inaugura una nuova era nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Iran e, cosa altrettanto importante, una nuova era nelle relazioni tra l’Iran e i paesi vicini. Qualsiasi cosa sia successa in passato, a questo punto gli interessi fondamentali degli Stati Uniti in questa regione non sono il petrolio e non sono territoriali. Il nostro interesse fondamentale è che tutti vivano in pace».
The New York Times - Traduzione Luis E. Moriones
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