Riprendiamo da LIBERO,oggi, 04/04/2015, a pag.26, con il titolo " Le invettive di Le Corbusier contro gli ebrei " il commento di Simone Paliaga.
Quasi 70 anni per scoprire che era davvero Le Corbusier, incredibile. Vine da chiedersi come sia stato possibile ignorare il passato di uno dei più famosi architetti del secolo passato. Eppure è andata così, anche nel campo dell'architettura. Adesso però sappiamo chi è stato davvero Le Corbusier, un fanatico filo-nazista. Qualcuno dirà 'però geniale'. E' sufficiente ?
La fine del mito Le Corbusier
«Il denaro, gli ebrei (in parte responsabili), la massoneria, alla fine subiranno la legge giusta. Queste fortezze ignominiose saranno smantellate. Esse dominavano tutto».
Per chiunque pronunciasse queste parole o l'incriminazione, almeno, per istigazione all'odio razziale sarebbe alle porte. Invece un tempo a pronunciarle non erano solo pochi facinorosi ignoranti e obnubilati da fedi politiche razziste. A sostenere queste idee e a riportarle sulla carta è Charles-Edouard Jeanneret-Gris. Il nome suona ai più sconosciuto, giustamente. Ma se scopriamo che dietro a esso si trova il soprannome Le Corbusier, il più grande architetto del '900, allora le cose cambiano. Ritenuto uno dei propugnatori dell'architettura e urbanistica razionaliste, amante degli angoli retti e ammirato ancora oggi,
Le Corbusier, nato in Svizzera, a Chaux-de-Fonds, il 6 ottobre 1887, si trasferì a Parigi nel 1917 con la speranza di contribuire alla ricostruzione.
Le cose andarono diversamente e dovette attendere il secondo capitolo della Guerra civile europea per dire la sua e diventare, secondo André Malraux, il
maggiore architetto del secolo.
Tuttavia la fama che lo avvolse dopo il 1945 nascose i suoi primi passi nel mondo della cultura e della politica. A rivelarli ora ci pensa un libro appena uscito in Francia e che sta scatenando enorme scalpore. Si tratta di
Le Corbusier, un fascisme français diXavier de Jarcy appena pubblicato dall'editore Albin MIchel (pp. 288, euro 19).
Le Corbusier si avvide ben presto che architettura e politica vanno a braccetto. Soprattutto quando la politica ambisce a presentarsi come una sorta di opera d'arte generatrice dell'homo novus che sottomette le consunte esperienze borghesi del passato.
Non è un caso dunque per Le Corbusier la fascinazione per regimi che al giorno d'oggi non suscitano certo ammirazione. «Lo spettacolo offerto attualmente dall'Italia di Mussolini», scrive, «lo stato delle sue capacità spirituali, annuncia l'alba imminente dello spirito moderno». Ma c'è di più. Quando nel giugno del 1940 la Wehrmacht sfonda le linee difensive francesi e in una manciata di giorni sfila a Parigi sotto l'Arc du Triomphe, il genio dell'architettura non fugge a Londra con Charles de Gaulle. Saluta piuttosto l'evento come «una miracolosa vittoria francese, perché se avessimo vinto con le armi», confessa in una lettera alla madre, «il marciume avrebbe trionfato e nessuno avrebbe più potuto pretendere di vivere». E ora i francesi si trovano «tra le mani di un vincitore la cui attitudine potrebbe essere distruttiva. Ma se sarà sincero Hitler potrà coronare la sua vita con un'opera grandiosa: organizzare l'Europa».
Per questo alla fine del 1940 Le Corbusier si reca a Vichy dal maresciallo Pétain, l'eroe della Prima guerra mondiale che al momento della sconfitta e quando tutti si sono danno alla fuga firma la pace con il Führer.
«Con Pétain è avvenuto un vero miracolo», annota il celebre architetto. «Tutto avrebbe potuto crollare, annientarsi nell'anarchia. Invece tutto si è salvato e nel Paese c'è ancora la possibilità dell'azione».
Subito viene nominato consigliere per l'urbanistica presso il governo e comincia a scrivere, nel suo ufficio presso l'hôtel Carlton, l'Urbanisme de la Révolution nationale. E il 27 marzo 1941 incontra il Maresciallo che «ha i pieni poteri per mettere all'opera la ricostruzione della Francia».
Malgrado la guerra non è certo un momento sterile per Le Corbusier, scrive Sur les quatre routes, Destin de Paris, Maison des hommes e la Charte d'Athènes, che diventerà il manifesto dell'urbanistica contemporanea. Alla fine però i progetti non vanno in porto. Nel giugno del 1942 il sua piano urbanistico per Algeri viene rifiutato provocando in Le Corbusier sconforto per «la cara merdosa Vichy» che abbandonerà di lì a poco per Parigi. Dopo aver lavorato per la fondazione del Nobel e amico Alexis Carrel il 20 aprile 1944 darà le dimissioni persuaso «che il clima regnante non mi conveniva».
Se Le Corbusier sta all'architettura come Heidegger sta alla filosofia si spalancherà forse il piagnisteo delle anime belle che scopriranno di non poter citare nelle loro conversazioni, oltre al grande filosofo, anche il più grande architetto del Novecento?
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