La maggiornaza dei quotidiani oggi sfodera pagine su pagine sulla felicità degli iraniani per i risultati degli accordi di Losanna. Sono poche le opinioni critiche, e anche quelle che si sono espresse, lo fanno con cautela.
Abbiamo scelto dalla STAMPA l'intervista a David Kay, ex capo degli ispettori in Iraq dopo la guerra del Golfo, il quale, se non altro, afferma che, nel caso l'Iran non mantenesse quanto promesso sarebbe impossibile scoprirlo.
Da REPUBBLICA l'intervista a Etgar Keret, il quale, come David Grossman, pur appartenendo alla schiera degli intellettuali critici verso Netanyahu, esprime chiaramente il proprio pensiero sul pericolo rappresentato dall'Iran.
Riprendiamo, oggi, 04/04/2015,due interviste. Dalla STAMPA, di Paolo Mastrolilli, a pag.2, a David Kay. Dalla REPUBBLICA, di Giampaolo Cadalanu, a pag.5, a Etgar Keret.
La Stampa-Paolo Mastrolilli: "Intesa buona, ma se il regime bara gli ispettori non potranno scoprirlo"
David Kay
«L’accordo è buono, ma funzionerà solo se l’Iran deciderà di non imbrogliare, e al momento l’Aiea non ha le risorse necessarie a svolgere il compito che le verrà richiesto ». Poche persone al mondo conoscono questa materia come David Kay, che guidò le ispezioni dell’Onu in Iraq dopo la Guerra del Golfo, e l’Iraq Survey Group dopo l’invasione Usa del 2003. Perché l’intesa preliminare è buona? «I dettagli tecnici sono molto positivi. Ad esempio Teheran dovrà ridurre le centrifughe a 6.000 del tipo IR 1: è una tecnologia vecchia e inaffidabile, con cui non possono andare da nessuna parte. Nel testo, però, ci sono anche molte incognite». Quali? «Non si cita il sistema missilistico, sviluppato con la Corea del Nord e molto avanzato. Nulla vieta il design delle armi atomiche, che io potrei fare ora col computer posato sulla mia scrivania. Si sottovaluta il lavoro richiesto agli ispettori». La Casa Bianca dice che si è convinta a procedere proprio per la soliditàdelle verifiche: si illude? «Stiamo parlando di un lavoro enorme, lungo e senza precedenti. Come prima cosa l’Iran dovrà rivelare in maniera trasparente tutte le attività condotte finora, anche quelle militari segrete. Ma se lo farà, e tra un paio di anni le sanzioni verranno tolte, riusciremo poi a verificare le eventuali violazioni, anche le più piccole? Riusciremo a garantire l’integrità dei controlli per 25 anni? L’unico precedente simile fu il Trattato di Versailles, per la smilitarizzazione della Renania dopo la Prima guerra mondiale. I tedeschi cominciarono a violarlo dopo dieci anni, e l’intero impianto crollò prima ancora che andasse al potere Hitler». Ammettiamo che l’Iran pubblichi una dichiarazione onesta: poi come si farannoi controlli? «Bisognerà costruire un team, che richiederà circa 400 persone e almeno 100 milioni di dollari all’anno. L’Aiea non li ha, e non possiede le tecnologie necessarie alle verifiche, quindi i paesi firmatari dell’intesa dovranno aiutarla». Teheran ha siti segreti, ad esempioaParchin: comesi scoprono? «Non si scoprono, senza il suo aiuto. In Iraq correvamo da un posto all’altro a sorpresa, e qui succederà lo stesso, con esiliati, israeliani, sauditi, che denunceranno in continuazione siti e attività nascoste. Se ne esce solo se l’Iran collabora». Bisognerà sigillare le centrifugheel’uranioarricchito, eportarefuori lo«spent fuel»delplutonio. Come si fa? «Si usano video, sigilli con i radio frequency chip, anche controlli satellitari in diretta. L’uranio si può diluire e poi condurre test di verifica, e il plutonio verrà trasferito in Russia. In certi casi però gli ispettori dovranno restare nei siti 24 ore al giorno, e qui nasceranno i problemi». Perché? «I paesi ospiti cercano sempre di corrompere gli ispettori: sesso, soldi, droga, alcool. In Iraq dopo neanche un anno avevano già penetrato la nostra squadra: ci vorrà una costante attività di controspionaggio, che l’Aiea non è attrezzata a fare. Poi c’è il problema di impedire la ricerca sulle sostanze vietate, che può avvenire in un qualunque laboratorio di ospedale, e quello di controllare le forniture di doppio uso, con un sistema tipo “Oil for Food” che non funzionò in Iraq». Paesi come l’Italia hanno grandi interessi inIran. «Non temo violazioni da parte dei governi, ma le entità economiche saranno molto tentate. Pensate ad esempio alle aziende greche». Se tutto funziona, l’atomica di Teheran sarà davvero impossibile? «Il break out time è anche superiore ad un anno, se l’Iran decide di collaborare. Il pericolo sono le violazioni incrementali, dopo il primo anno di rispetto dell’intesa. Ma se anche l’Iran riuscisse a costruire una bomba, poi si troverebbe ad affrontare un avversario, Israele, che ne ha decine. Non gli conviene».
La Repubblica-Giampaolo Cadalanu. "L'amarezza di Keret 'è una brutta notizia per Israele e il mondo"
Etgar Keret
Gerusalemme- Non ha nessuna voglia di scherzare Etgar Keret. Lo scrittore che con Pizzeria Kamikaze, Gaza Blues e All’improvviso suonano alla porta ha fatto dell’ironia uno strumento raffinato, vede nell’accordo firmato in Svizzera sul nucleare iraniano una notizia preoccupante.
Come valuta la firma del documento di Losanna?
«Non sono contento, credo che sia una brutta notizia per il mondo e per tutta Israele. Non mi fido degli iraniani, non hanno mai rinunciato a sostenere gruppi terroristi come Hezbollah. È vero, se non mantengono gli impegni potranno sempre ripartire le sanzioni. Ma non è un buon accordo. Mi consola soltanto pensare che senza un’intesa la situazione sarebbe stata peggio».
Ma lei crede davvero che l’Iran potrebbe costruire ordigni nucleari da usare contro Israele?
«Sono loro che non hanno smesso di dire: cancellare lo Stato ebraico è una nostra priorità».
Israele potrebbe far qualcosa per fermare questo accordo o piuttosto cercare di verificarne l’applicazione per rendere i controlli più efficaci?
«Non credo che Israele possa fare molto, a questo punto. I Paesi che lo hanno siglato ci credono, seguono la loro politica. E Benjamin Netanyahu ha seguito una sua logica, che ha portato a un maggior isolamento del Paese. Ha allontanato il mondo, ora ne paga le conseguenze. Insomma, non si può respingere ogni contatto con la comunità internazionale, spingere sul nazionalismo a tutti i costi e poi aspettarsi che le altre nazioni ci aiutino. Ma resto dell’idea che oggi nemmeno un primo ministro diverso da Netanyahu potrebbe fare molto».
Le forze armate israeliane “non escludono” la possibilità di un primo colpo contro i Paesi nemici. Lei ci crede?
«No. Mi sembra molto improbabile. Ormai sembra molto difficile cancellare con un bombardamento il programma nucleare. Se fosse stato possibile, si sarebbe comunque dovuto fare prima».
Questo accordo è stato fortemente voluto da Obama.
Pensa che la firma possa allontanare Israele e gli Stati Uniti?
«I rapporti fra Israele e gli Usa non sono al meglio. Ma non credo che l’amicizia fra noi e loro verrà meno, è solida, supererà anche questo momento. Quanto alla decisione di Obama, ogni accordo comporta rischi strategici. Nella politica internazionale nessuno può essere sicuro di avere soluzioni definitive. Si corrono rischi. Noi ne abbiamo corso per l’accordo con l’Egitto, nel ‘77. E dura ormai da oltre 37 anni».
Per inviare la propria opinione, telefonare:
La Stampa: 011/65681
La Repubblica: 06/ 49821
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti