Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 03/04/2015, a pag. 12, con il titolo "Obama si gloria di un'intesa che premia le mire dell'Iran", l'analisi di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 5, con il titolo "Più ispezioni e meno centrifughe: così l'intesa allontana la Bomba", l'analisi di Maurizio Molinari; a pag. 4, con il titolo "Vittoria per il regime, ora il Medio Oriente diventerà più instabile", l'intervento dell'analista israeliano Uzi Rabi riportato da Alberto Simoni; da REPUBBLICA, a pag. 8, con il titolo "Un errore fare patti con chi minaccia di distruggere Israele", l'intervista di Andrea Tarquini a Elie Wiesel.
A destra: Neville Chamberlain, Adolf Hitler
Ecco gli articoli:
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Obama si gloria di un'intesa che premia le mire dell'Iran"
Fiamma Nirenstein
Barack Obama, l'ayatollah supremo Khamenei
Un risultato storico, si è vantato ieri sera Obama del conseguito accordo con l'Iran che ieri sera è stato annunciato, e assicura che qui si è fermata la corsa iraniana verso il nucleare. È stato un discorso preparato con molta cura, molti particolari, già una risposta al Congresso che probabilmente impugnerà la decisione. Ha cercato di convincere della forza pratica e morale dell'accordo, ha garantito che l'Iran non sarà più in grado di usare un numero sufficiente di centrifughe, ha garantito che non si parlerà più di plutonio perchè ad Arak non sarà più possibile arricchirlo, ha difeso con entusiasmo la scelta diplomatica la cui alternativa, ha detto, è solo la guerra. Ha attaccato gli «uomini scettici» che non hanno creduto nel suo programma, ha lodato il conseguimento di «un buon accordo» in polemica con Netanyahu che ha sempre paventato «un cattivo accordo».
E di fatto non sembra a prima vista un buon accordo il risultato della grande fatica di cui Obama è tanto fiero, non appare che siano state stabilite regole che consentano un pieno controllo su un Paese molto abile nel nascondere i suoi segreti, o inventate norme che impediranno, una volta lasciate nella mani degli ayatollah 6000 centrifughe (un terzo di adesso), l'arricchimento che porti alla bomba atomica. Obama si è vantato in maniera autoreferenziale e vanitosa di un accordo problematico con un interlocutore inaffidabile e oltremodo pericoloso. La conferenza stampa di presentazione è stata modesta, soltanto con Federica Mogherini, ministro degli Esteri europeo, e Mohammad Jawad Zarif, il ministro iraniano, mentre Kerry ha preferito presentarsi da solo alla stampa. Lui ha ringraziato Obama, Obama lui. Dopo più di dieci anni di trattative con l'Iran perché cessi la sua corsa alla bomba atomica, di fatto l'Iran porta a casa molto di ciò che voleva, anche se saranno imposti limiti per un decennio all'arricchimento dell'uranio, che per almeno 15 anni non potrà superare la soglia del 3,67%.
L'incontro di Losanna appena conclusosi fra i P5+1 e la delegazione della Repubblica Islamica dopo 18 mesi di discussioni, non dà certo il risultato pacificante che Obama loda, il fallimento scansato in parte spingendo sul gas delle concessioni all'ultimo minuto per paura del disdoro che sarebbe derivato all'Amministrazione. Obama da quello che si capisce in queste ore ha rinunciato a molte delle sue decisioni iniziali. Si è lavorato negli ultimi giorni fino a orari proibitivi in colloqui densi di pressioni americane, di scetticismo europeo, di furbizie dei russi, amici dell'Iran nella difesa di Bashar Assad in Siria e in altre disinvolte scelte internazionali.
L'accordo di ieri sembra soddisfare soprattutto le richieste iraniane, a partire dalla determinazione degli ayatollah a non firmare, come voleva Obama, un accordo cornice e alla promessa di sollevare l'Iran da tutte le sanzioni quando l'incontro entrerà in funzione. L'accordo dura solo dieci anni, un battito di ciglia rispetto alle ambizioni nucleari dell'Iran. E già sappiamo che se a giugno si conclude, l'Iran può proseguire l'arricchimento, che mantiene 6000 centrifughe, che le centrali di Fordo e di Arak restano in piedi e funzionanti. L'uranio già arricchito sarà mantenuto solo in parte in Iran. Netanyahu, voce che chiama nel deserto, ricorda al mondo che nelle stesse ore in cui si sigla l'accordo, l'Iran compie feroci azioni imperialiste in Siria, in Iraq, in Yemen, in Libano.
È difficile se non in una logica di disperazione strategica capire perchè Obama, seguito con la consueta irresolutezza (solo per un attimo la Francia ha dissentito) dall'Europa abbia puntato il suo stesso retaggio su un Paese il cui record di diritti umani è fra i più disgustosi che si possano immaginare, e che ancora l'altro ieri per bocca del capo della sua prima milizia, i basiji, dichiarava che «la distruzione dello stato d'Israele non è negoziabile». Il prezzo nella memoria futura può essere tragico quanto il panorama di una terra bruciata con i suoi abitanti in un secondo Olocausto; oppure nella nuclearizzazione di tutto il Medio Oriente, minacciata dai sauditi e dagli egiziani, stupefatti dalla scelta di alleanze che non punta sui musulmani sunniti moderati, ma sugli sciiti estremisti della Repubblica Islamica degli Ayatollah.
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Più ispezioni e meno centrifughe: così l'intesa allontana la Bomba "
Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"
Con l’accordo-quadro raggiunto a Losanna, l’Iran è più vicino o più lontano dall’atomica?
Gli Stati Uniti ritengono che l’Iran sia più lontano dall’atomica. Se ora il «break-out time», il tempo per raggiungerla, è stimato in 2-3 mesi grazie alle intese diventa di 12 mesi. E le intese resteranno in vigore per 10 anni, con successivi 5 anni di obblighi per Teheran. Usa e Ue ritengono di aver bloccato la corsa dell’Iran all’atomica soprattutto perché l’impianto al plutonio di Arak viene bloccato, il carburante usato spostato all’estero e l’arricchimento dell’uranio limitato a 5060 centrifughe modello IR-1, della prima generazione, nell’impianto di Natanz. Ma a tal fine saranno di vitale importanza le verifiche dell’Agenzia atomica Onu, i cui ispettori per i prossimi 15 anni dovranno certificare il rispetto degli impegni sottoscritti.
Chi vince e chi perde nel negoziato fra l’Iran e il Gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna più Germania)?
Vincono Obama e Rohani, i leader che più hanno voluto l’accordo. Il presidente Usa perché convinto che il dialogo con i nemici rafforza la leadership americana nel mondo e, in questo caso, disinnesca la minaccia atomica di Teheran. Il presidente iraniano perché vede riconosciuto il diritto all’arricchimento dell’uranio e ha la possibilità di far ripartire l’economia e gli investimenti grazie alla progressiva riduzione delle sanzioni. Perdono Israele, Arabia Saudita, Egitto e gli altri Paesi sunniti protagonisti di forti pressioni su Usa e Ue per evitare un’intesa che ritengono pericolosa per la propria sicurezza nazionale. Anche la Russia esce indebolita perché il dialogo fra Usa e Iran che ora inizia consegna nuove opzioni a Obama, riducendo gli spazi per Mosca».
Quale sarà l’impatto economico di questa intesa?
Le sanzioni nazionali e internazionali verranno tolte in fasi successive, parallele all’applicazione degli accordi siglati, ma certamente da subito l’Iran può tornare ad attirare capitali e investimenti stranieri come a pianificare la ripresa dell’export di greggio. Per Teheran significa ossigeno prezioso a fronte di un’economia in affanno. Per le aziende americane ed europee implica la possibilità - nel medio termine - di tornare a vendere prodotti in un mercato di 90 milioni di consumatori.
Come cambiano gli equilibri in Medio Oriente?
Se non vi saranno imprevisti e l’accordo quadro sarà firmato entro fine giugno, si tratterà di un riassetto complessivo degli equilibri in Medio Oriente, destinato ad avere conseguenze talmente ampie da essere difficili da prevedere. Dalla rivoluzione khomeinista del 1979 l’Iran è stato un agguerrito avversario strategico degli Stati Uniti ma ora l’intesa nucleare rende possibile un disgelo bilaterale che può portare alla ripresa delle relazioni diplomatiche e alla trasformazione di Teheran in un partner in Medio Oriente, nel segno di una realpolitik che già si affaccia con il convergente impegno militare contro Isis nell’Iraq guidato dagli sciiti. Resta però l’interrogativo di come reagirà il Congresso perché l’opinione pubblica americana resta segnata dalla memoria della crisi degli ostaggi del 1979 e degli attentati commessi da Hezbollah contro civili e militari statunitensi.
Come reagirà Israele?
Per il ministro della Sicurezza Interna israeliano, Yuval Steinitz, «i sorrisi di Losanna sono distaccati dalla realtà perché l’Iran non fa concessioni sul nucleare e continua a minacciare il Medio Oriente grazie a un accordo cattivo e pericoloso». È una lettura condivisa dall’Egitto all’Arabia Saudita, dagli Emirati all’Algeria. Israele ha di fronte a sé tre opzioni: rafforzare la coesione strategica con i Paesi sunniti dando vita a un blocco anti-Iran; puntare sui leader repubblicani del Congresso Usa per ottenere delle modifiche significative a un accordo «pericoloso»; pianificare azioni, militari o di sabotaggio, contro gli aspetti del programma nucleare iraniano che ritiene più pericolosi, ovvero quelli militari.
LA STAMPA - Alberto Simoni: "Vittoria per il regime, ora il Medio Oriente diventerà più instabile"
Alberto Simoni, Uzi Rabi
«Teheran ha vinto. E non mi riferisco solo al negoziato sul nucleare, il Medio Oriente sta cambiando volto e la mano iraniana si vede ovunque». Dal Libano di Hezbollah, allo Yemen, sino al Bahrein e alla Siria di Assad. Per Uzi Rabi, direttore del Moshe Dayan Center di Tel Aviv, è come se ci fosse un prima e un dopo negli equilibri del Medio Oriente, anche se lo spartiacque è difficile da individuare: la guerra all’Iraq di Saddam di George W. Bush o le Primavere arabe del 2011. Quest’ultime oggi sfidate (dove non vinte) da forze uguali e contrapposte come la restaurazione di Al Sisi in Egitto, il caos libico, la guerra a Damasco, o lo Yemen, capace di scacciare sull’onda della rivoluzione l’ex presidente Saleh e oggi lacerata da una guerra sunniti-houti.
«L’Occidente – spiega Rabi – non ha colto i mutamenti della regione, non ne ha visto la debolezza e l’instabilità e oggi ancora di più Teheran diventa un “game changer”, un attore che cambia la dinamica della partita». In appena due mesi i giordani hanno bombardato l’Isis (per rappresaglia dopo l’uccisione del suo pilota), l’Egitto ha bersagliato la Libia e i sauditi hanno colpito lo Yemen. «Episodi - dice Rabi – che dimostrano come in questo momento storico tutti in Medio Oriente si comportino badando ai propri interessi, liberi da alleanze e accordi». Ed è in questo scenario che l’Iran si muove alimentando «i conflitti regionali in una sorta di guerre per procura». Non è un caso che il premier israeliano Netanyahu commentando l’accordo abbia postato su Twitter una mappa del Medio Oriente con la scritta «Le aggressioni dell’Iran durante i negoziati nucleari». Quasi un avvertimento a futura memoria dell’instabilità in cui la regione è precipitata. «L’agenda dell’Iran per diffondere la sua influenza nella regione va ben oltre il dossier nucleare», sostiene quindi Rabi che non vede come Israele avrebbe potuto fermare Teheran («Troppo tardi»).
«Negoziare per l’Iran è stato il miglior modo di garantirsi la possibilità di continuare il suo programma nucleare». Secondo gli Usa infatti con l’accordo il break out time passa da 3 mesi a 12 mesi. Bene per i negoziatori, male per Israele. Ecco perché, dice Radi, «ha vinto l’ayatollah Teheran». Anticipando di qualche ora il commento del governo israeliano: «I 5+1 hanno ceduto a dettami di Teheran».
LA REPUBBLICA - Andrea Tarquini: "Un errore fare patti con chi minaccia di distruggere Israele"
Elie Wiesel
«La mia prima reazione è negativa. Non mi sembra bene che l’Iran abbia accesso al nucleare». Ecco il commento a caldo di Elie Wiesel, sopravvissuto ad Auschwitz, Nobel per la Pace e grande voce della comunità ebraica mondiale.
Professore, che ne pensa? «Vedo il pericolo che l’Iran abbia un giorno armi nucleari. E’ irresponsabile e minaccioso accettare una simile possibilità».
L’accordo secondo lei non fornisce garanzie contro un uso militare dell’atomo? «Mi sembra un argomento molto forte. E mi chiedo perché l’Iran debba avere bisogno di armi atomiche: chi minaccia la sicurezza e l’esistenza dell’Iran?».
Che risponde a chi, come il premio Nobel Günter Grass, osserva che Israele ha già la bomba? «Israele ha una sua Storia, l’Iran ha un’altra Storia. L’Iran non ha mai visto in faccia una volontà di distruggerlo».
Ma Usa e Israele non sono mai state così lontani, che ne dice? «Non sono un esperto di tecnologia nucleare, ma penso fermamente che l’Iran non dovrebbe acquisirla. Perché la natura delle ambizioni nucleari iraniane non è chiara. I leader iraniani di oggi dicono di volere solo l’atomo civile, ma secondo i loro predecessori Israele “doveva sparire”. Chi parlerà come, alla guida dell’Iran?».
Accusa cioè i leader religiosi, le forze armate, i Pasdaran, i servizi segreti? Tutti quelli insomma più vicini alla linea più dura dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad che non a quella del moderato Hassan Rouhani? «E’ il problema principale. Quei circoli non rispondono alla domanda-chiave: perché il sogno dell’atomica? Chi minaccia l’Iran?».
Insisto: molti nel mondo parlano di minaccia atomica israeliana… «Chiunque conosca Israele e la sua Storia sa che Israele non userà mai l’arma atomica. Ne dispone solo come deterrente. Ma nessuno in Israele ha mai esposto dottrine di primo impiego, né detto che questo o quello Stato deve “sparire dal mondo” ».
Sta dicendo che dottrine difensive non sono credibili se sono iraniane? «Le loro dichiarazioni sono sempre ispirate a principi offensivi».
E’ la crisi più grave tra Israele e l’alleato strategico americano: quanto pesa ciò? «Un’alleanza strategica non significa avere sempre la stessa posizione, strategia o filosofia politica. Gli Usa restano il primo alleato ».
Mai così divisi su un tema cruciale, però: c’è il rischio di divorzio? «Credo che continueranno a parlarsi. Ma vogliamo affermare che qualsiasi Paese capace di padroneggiare la tecnologia atomica possa farlo e restare credibile e non minaccioso? Non capisco perché l’America segua questa linea. Ad alcuni paesi si deve dire no».
Cioè concorda col discorso che ha fatto il premier israeliano Benjamin Netanyahu al Congresso americano prima delle elezioni? «Non le dirò certo che quel discorso non mi sia piaciuto. Guardi: quando vado in Israele e nei Territori occupati critico spessissimo il governo, e ripeto che la soluzione dei due Stati è l’unica via per la pace. Ma uno stop ai piani atomici iraniani è irrinunciabile».
Teme correnti antisemite, e l’incubo della Shoah? «Non voglio tirare in campo la Shoah. Un “sì” a capacità nucleari iraniane minaccia la sicurezza del mondo intero, non solo di Israele. L’Iran inoltre è divenuto un paese con forti, arroganti correnti antisemite. Se colleghi l’antisemitismo alla fierezza nazionale non te ne liberi più».
E le critiche mondiali alla linea dura israeliana? «Israele ha problemi da quando esiste. Non conosco un’altra nazione la cui esistenza sia stata tanto, e costantemente, minacciata e messa in discussione. Ciò detto, non mi piace affatto come si comportano i soldati israeliani nei Territori, non mi piace mai un’occupazione. Un Israele in pace con uno Stato palestinese è il mio sogno. Ma al momento la sicurezza nazionale è priorità assoluta degli israeliani».
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