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Il Giornale - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.04.2015 Iran: irrecuperabile la cecità di Obama ?
Commento di Fiamma Nirenstein, cronaca e intervista di Maurizio Molinari a Paolo Gentiloni, commento di Benny Morris

Testata:Il Giornale - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Benny Morris
Titolo: «Iran, intesa in bilico: Casa Bianca furiosa. E intanto l'armata Isis arriva a Damasco - Iran, l'America alza la voce: 'Accordo serio subito o ce ne torniamo a casa' - Gentiloni: 'Non accetteremo un'intesa a qualunque costo' - Perché Israele non si fida: l»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 02/04/2015, a pag. 12, con il titolo "Iran, intesa in bilico: Casa Bianca furiosa. E intanto l'armata Isis arriva a Damasco", il commento di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 8, con il titolo "Iran, l'America alza la voce: 'Accordo serio subito o ce ne torniamo a casa' ", la cronaca di Maurizio Molinari; a pag. 9, con il titolo "Gentiloni: 'Non accetteremo un'intesa a qualunque costo' ", l'intervista di Maurizio Molinari a Paolo Gentiloni; dal CORRIERE della SERA, a pag. 5, con il titolo "Perché Israele non si fida: la Bomba è solo rinviata", il commento di Benny Morris.

A destra: Ayatollah-Pinocchio: "Il nostro programma nucleare ha unicamente obiettivi pacifici"

Ecco gli articoli:

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein:  "Iran, intesa in bilico: Casa Bianca furiosa. E intanto l'armata Isis arriva a Damasco"

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Fiamma Nirenstein

Obama sembra anche molto irritato. il suo portavoce Josh Earnest ha laconicamente affermato che «Finora l'Iran non offre impegni tangibili» e poi ha minacciato: «In caso di mancato accordo l'Iran potrebbe ritrovarsi a subire ulteriori sanzioni più pesanti». E ancora: «Siamo pronti ad andarcene senza accordo». É un tentativo duro, che riflette l'esasperazione di chi ha puntato tutto il recupero di una politica estera fallimentare su un interlocutore che, come abbiamo scritto ieri, ha sempre fatto lo stesso prevedibile gioco da più di un decennio: avvicinarsi all'interlocure in giacca e cravatta, tirarla in lungo fingendo di essere pronti a concessionio significative, e poi tirarsi indietro avendo guadagnato altro tempo per seguitare l'arricchimento dell'uranio. Si chiama «taqiyya» ed è il diritto che concede la religione musulmano di nascondere la verità per un fine utile all'Islam.

Le delegazioni si sono concesse altre 24 ore di tempo e chissà quali pressioni Obama sta facendo all'Iran, sapendo che il suo bisogno di denaro non è legato solo alle durezze subite a causa delle sanzioni, ma anche perchè il disegno imperiale degli ayatollah richiede missili per gli Hezbollah, truppe per gli iracheni, armi e uomini per lo Yemen e molto sostegno a Assad. La sfida di Obama è rischiosa. Per dirne una, si è saputo che i rapporti fra USA e Iran hanno rischiato il disastro: un aereo iraniano per due volte ha sfiorato, volando a 45 metri di distanza, un elicottero americano nel Golfo Persico. Gli analisti dicono che l'incidente deriva da una scelta militare locale. L'odio c'è. Due settimane indietro durante i colloqui, ecco il leader supremo Khamenei che guida una manifestazione di piazza che grida «morte all'America». La confusione creatasi intorno alle scelte di Obama è troppo grande per portare a un accordo ordinato.

Mentre l'Iran si qualifica sotterraneamente come alleato nel battere l'Isis, l'Isis può vincere lo stesso; oppure, l'Iran è alleato utile, ma non presentabile; e inoltre, l'Iran come alleato genera nemici, caos e guerra. Esempi: ieri, mentre la lotta all'Isis dovrebbe dare qualche medaglia all'Iran, gli islamisti hanno occupato il campo profughi palestinese di Yarmouk, attaccato al sud di Damasco, mettendo a serio rischio il dittatore Assad. Il rais alawita, che ha sterminato duecentomila siriani, pure non era amato dai palestinesi di Yarmuk. Questo non è importato all'Isis, pure sono sunniti come i palestinesi. Il rifiuto a suo tempo di Obama di mettersi dalla parte di un'opposizione siriana decente, oggi mette l'Isis all'avanguardia contro la roccaforte di Damasco in un caos ormai incontrollabile.

A Tikrit, in Iraq, invece, è in parte merito degli americani se si è quasi conclusa vittoriosamente la battaglia per riconquistare la città natale di Saddam Hussein. Il ministro dell'interno Mohammed al Ghabban ha annunciato la vittoria anche se permangono sacche di resistenza. Ma se è logico che sia l'esercito iracheno a vantarsi della lunga battaglia vittoriosa, esso è stato condotto per mano a Tikrit dalle forze iraniane, e che esse si sono scansate al momento cruciale su richiesta americana. L'alleanza Usa-Iran è una frattura per i sunniti moderati: per frenare un dominio aggressivo che ormai controlla quattro capitali rispondono con l'assalto allo Yemen e la minaccia di nuclearizzarsi. E qui, giravolta, Obama ha tentato di allearsi con l'Arabia saudita contro gli Houti sciiti. Troppa confusione mentre si aspetta la risposta iraniana.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Iran, l'America alza la voce: 'Accordo serio subito o ce ne torniamo a casa' "


Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"

Torna il duello nel negoziato sul nucleare iraniano e la trattativa di Losanna rischia l’impasse. Il cauto ottimismo delle delegazioni riunite in Svizzera sulla possibilità di redigere una «dichiarazione congiunta» si arena dopo l’incontro fra i ministri degli Esteri di Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti con il collega iraniano Javad Zarif. Il primo sintomo è un tweet del tedesco Frank-Walter Steinmaier: «Non c’è accordo su nulla». Poco dopo il britannico Philip Hammond aggiunge: «L’Iran non ha ancora accettato quanto è stato messo sul tavolo».

Teheran punta i piedi
Passano due ore e il negoziatore iraniano Abbas Araghchi conferma il disaccordo: «Non possiamo rinunciare alle centrifughe avanzate, sono un programma di ricerca e sviluppo, e vogliamo subito la fine delle sanzioni». Araghchi parla alla tv iraniana, per far capire che dall’ottimismo si è passati al braccio di ferro.

I ministri degli Esteri di Francia, Russia e Cina sin dal mattino hanno lasciato l’hotel di Losanna che ospita le trattative - forse consapevoli della burrasca - e si limitano a far sapere che sono pronti a tornare «se c’è un accordo da firmare».

Condizioni inaccettabili
Ma il testo a metà pomeriggio ancora non c’è ed è Steinmaier a spiegare ai reporter quanto sta avvenendo: «L’Iran vuole redigere una dichiarazione finale generica, basata sui principi, senza dettagli tecnici». L’intento di Zarif è dunque di uscire da Losanna con un documento che attesti lo scambio fra riduzione del programma nucleare e fine immediata delle sanzioni, senza particolari. È una posizione anzitutto inaccettabile per gli Stati Uniti ma il Segretario di Stato John Kerry preferisce non esporsi nel duello con Teheran, lasciandolo condurre a Berlino e Londra. In realtà, nella notte precedente, la videoconferenza con il presidente Barack Obama a Washington aveva dato un esito scontato: l’amministrazione non può firmare un accordo vago, senza impegni specifici di Teheran sullo smantellamento del programma, perché andrebbe incontro alla bocciatura da parte del Congresso, dove i leader repubblicani sono sul piede di guerra.

Nuove sanzioni
Non a caso John Boehner, presidente della Camera dei Rappresentanti, è a Gerusalemme dove incontra il premier israeliano Benjamin Netanyahu sottolineando la convergente opposizione all’accordo che si stava delineando. «È un’intesa che ci minaccia - afferma il premier israeliano - ne serve una diversa, per spingere Teheran a cambiare comportamento in Medio Oriente, cessando le aggressioni come in Yemen e il sostegno al terrorismo come in Libano». A spiegare cosa ha in mente Netanyahu è Dore Gold, ex braccio destro sull’Iran, parlando di «un accordo sul codice di condotta di Teheran parallelo al disarmo nucleare» per «impedirgli di finanziarie jihadisti e golpe». In tarda serata a Losanna le posizioni restano distanti e la delegazione Usa minaccia l’abbandono: «Senza un accordo, torniamo indietro». I portavoce della Casa Bianca rincarano la dose: «Senza accordo, vi saranno nuove sanzioni». Ma in serata Kerry dice che resterà altre 24 ore per cercare di piegare gli iraniani. La pressione punta a piegare Teheran su durata dell’accordo e metodi di verifica. «Lavoriamo sodo per raggiungere un buon accordo» assicura Federica Mogherini, ministro degli Esteri Ue, e il britannico Hammond non esclude di riuscirci.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Gentiloni: 'Non accetteremo un'intesa a qualunque costo' "

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Paolo Gentiloni

«Siamo a favore di un buon accordo a Losanna ma ciò non significa sostenere le posizioni iraniane»: il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni parla del negoziato sul nucleare di Teheran dopo aver incontrato re Abdallah di Giordania.

La visita ha in cima all’agenda le crisi in Libia e Yemen, la lotta a Isis, il sostegno all’emergenza-profughi e la necessità di riprendere il negoziato israelopalestinese ma le notizie che rimbalzano dalla Svizzera sulle difficoltà della trattativa fra Teheran ed il gruppo 5+1, portano il capo della Farnesina a riflettere su quanto sta avvenendo. «L’Italia si augura di poter arrivare ad un buon accordo» lì dove «buono» significa andare «oltre i riflessi sul nucleare» sottolinea Gentiloni, spiegando che «avrebbe effetti positivi sull’evoluzione dell’Iran in diversi teatri di crisi» ovvero «dall’impegno contro Isis allo Yemen». Nella riflessione di Gentiloni si sommano dunque le due dimensioni della trattativa di Losanna. Da un lato c’è la necessità di ridefinire il programma nucleare iraniano e a tale riguardo precisa che «il Gruppo 5+1 non accetterà un accordo qualsiasi» ma firmerà solo in presenza di risultati tangibili. E dall’altro c’è la possibilità di portare Teheran a «cambiare ruolo» sugli scacchieri di crisi regionali.

Sono due in particolare i riferimenti che fa il ministro: «Mosul e lo Yemen». A Mosul l’Iran preme sull’Iraq per dare l’assalto alla città occupata da Isis con truppe sciite e gli Usa - come l’Ue - temono sia la tattica errata, destinata a spingere i sunniti verso Isis. Nello Yemen, l’ombra dell’Iran dietro i ribelli houthi è stata la miccia che ha portato all’intervento arabo guidato dai sauditi.
Solo il fatto di citare i luoghi geografici di queste crisi dimostra l’attenzione di Gentiloni per le posizioni dello schieramento sunnita a cui la Giordania appartiene, partecipando ai raid tanto contro Isis in Iraq che contro gli houthi in Yemen.

A conferma della convergenza fra il sovrano e il ministro c’è quanto viene detto durante l’incontro al Palazzo reale. Abdallah illustra l’importanza di aver creato una «coalizione contro i rinnegati» - come definisce i terroristi di Isis - perché, come spiega il suo ministro degli Esteri Nasser Judeh, «è la nostra guerra, dobbiamo essere noi, Paesi arabi a combatterli, in prima linea con le operazioni militari e con un’offensiva culturale e religiosa per delegittimarli». L’interrogativo è se la «forza araba congiunta», creata dalla Lega Araba, potrà essere destinata in futuro a crisi come la Libia. Gentiloni non si sbilancia in merito ma dice: «I Paesi arabi guardano con interesse ai colloqui di Rabat» ma «se fallissero Amman ripartirebbe dalla risoluzione Onu sulla Libia incentrata sulla lotta al terrorismo».

CORRIERE della SERA - Benny Morris: "Perché Israele non si fida: la Bomba è solo rinviata"

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Benny Morris

Quasi tutti gli ebrei israeliani pensano che il progetto nucleare iraniano abbia lo scopo di produrre armi nucleari e che le armi nucleari iraniane costituiranno una minaccia per l’esistenza di Israele e per la pace del mondo. La nuclearizzazione iraniana come minimo favorirà una corsa agli armamenti nella regione, e spingerà i principali Stati sunniti, Egitto, Arabia Saudita e Turchia, a dotarsi anch’essi di armi nucleari. La bomba darà all’Iran l’egemonia sui suoi vicini e, grazie a un programma spaziale in via di sviluppo, gli consentirà di intimidirli, cosa che sta già ampiamente facendo. Nell’ipotesi peggiore, l’Iran potrebbe un giorno indirizzare le sue armi nucleari sull’Europa e su Israele — e Israele è estremamente vulnerabile: come disse una volta l’ex presidente iraniano Rafsanjani, «Per Israele basta una sola bomba».

Il problema dell’accordo attualmente in fase di negoziazione è che lascia il programma nucleare iraniano, e i vari impianti di Natanz, Qom, ecc., intatti e perfettamente in grado, in un arco di tempo relativamente breve, di produrre armi nucleari. L’Iran potrebbe violare l’accordo e farlo di nascosto ma, anche se lo rispettasse, sarà comunque in grado, in una situazione «di emergenza», di produrre una bomba nucleare in un anno. Perciò l’accordo, per ben che vada, non farà che rinviare il problema di qualche anno, senza risolverlo. Nel frattempo le sanzioni verranno gradualmente eliminate, l’Iran si rafforzerà economicamente e politicamente e sarà quindi in grado di allargare il suo potere in Medio Oriente ancor più di quanto abbia fatto finora (e negli ultimi anni lo ha fatto assai bene nonostante le sanzioni — si veda la situazione attuale in Yemen e in Iraq).
(Traduzione di Maria Sepa)

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