Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 19/03/2015, a pag. 8, due titoli; dal
SOLE 24 ORE, a pag. 28, con il titolo "Quel 'no' a uno Stato palestinese, un macigno per Europa e Usa", il commento di Ugo Tramballi; dalla STAMPA, a pag. 3, la rubrica "Jena", di Riccardo Barenghi; da AVVENIRE, a pag. 19, con il titolo "Netanyahu batte tutti e si riprende Israele", la cronaca di Giorgio Ferrari.
Ecco articoli e commenti:
IL MANIFESTO è come sempre in prima linea nel diffondere menzogne contro Israele. A pag. 8 apre i numerosi contributi sulle elezioni israeliane con il titolo cubitale "Sarà governo di guerra".
Ma il peggio deve ancora venire. Niente paura: sul Manifesto è puntualissimo. E infatti il titolo del'articolo successivo è: "Un voto per l'apartheid".
Questo titolo non solo è diffamante nei confronti dell'unica democrazia del Medio Oriente, l'unico luogo dove musulmani, cristiani ed ebrei hanno pari diritti, ma fa anche a pugni con i risultati elettorali. Il terzo partito più votato, infatti, è stato la Lista Araba Unita, uno schieramento estremista che ciononostante può dire la sua nel gioco completamente democratico della politica israeliana.
IL SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi: "Quel 'no' a uno Stato palestinese, un macigno per Europa e Usa"
Il pezzo di Tramballi è una summa di disinformazione contro Israele e Netanyahu.
1) L'occupazione di cui parla Tramballi non è tale, visto che prima che il West Bank passasse sotto controllo israeliano non era una regione indipendente. L'enfasi con cui il giornalista parla della "colonizzazione" è grottesca.
2) Netanyahu viene paragonato a Putin. Assurdo. Mentre il secondo ha atteggiamenti apertamente dittatoriali, il leader israeliano è democraticamente eletto dall'unica democrazia del Medio Oriente.
3) La legge sullo Stato ebraico viene definita "tribale". Forse Tramballi si è confuso, voleva riferirsi alla shari'a imposta da Hamas a Gaza?
4) La Bibbia sarebbe un manuale di politica per Netanyahu. Altra assurdità totale. Si può essere o meno d'accordo con la politica di Netanyahu, ma si tratta di un leader laico che è insensato accusare di fanatismo.
Ugo Tramballi
Ecco il pezzo:
E' altamente probabile che per le dimensioni del suo successo elettorale e l'orientamento del governo che formerà, Bibi Netanyahu sia il premier israeliano che fra due anni celebrerà il giubileo dell'occupazione dei Territori palestinesi. Cinquant'anni. Mezzo secolo d'occupazione e di colonie, con una scia di guerre, di morti, di profughi, di terrorismo che prima dell'ascesa del qaidismo e del califfato avevano caratterizzato più di ogni altro conflitto l'instabilità del Medio Oriente.
L'annuncio da campagna elettorale - fino a che sono premier, uno Stato palestinese non ci sarà - era stato preso come la provocazione di un candidato in difficoltà. Ora che invece Netanyahu ha vinto, quella dichiarazione è un programma politico che pesa come un macigno sui rapporti di Israele con gli Stati Uniti, con l'Europa, con quel sistema internazionale di relazioni che aveva creato e coltivato, più come feticcio che come seria agenda di lavoro, la formula dei "due Stati, Israele e Palestina, per due popoli in pace e sicurezza".
A Hamas e Hezbollah non importa ció che dice Netanyahu: avrebbero continuato la loro guerra a Israele anche se avesse vinto Isaac Herzog. Ma per tutti gli altri quell'arroganza del premier israeliano, la palese violazione di un impegno preso con gli alleati egli amici, è una scossa che fa temere un inizio: il passaggio di un Paese e un leader dal nostro campo a quello dell'imprevedibilità comportamentale come la Russia di Vladimir Putin che fissa le regole internazionali sulla sola base del proprio interesse.
Quali danni può fare un governo nazionalista che ricominciasse a costruire nuove colonie nei Territori; o facesse passare la legge tribale sulla natura ebraica dello Stato, che sancisce lo status di cittadini di seconda classe per gli arabi d'Israele, il 20% della popolazione? E se la chiara vittoria lo spingesse all'inebriante convinzione di un potere senza limiti, cos'altro farebbe Netanyahu per minare il negoziato nucleare fra Stati Uniti e Iran? Dicendo no a uno Stato palestinese, Bibi ha contemporaneamente guadagnato voti in casa e perso quel poco di credibilità internazionale che gli era rimasta fuori dalla cerchia dei repubblicani del Congresso.
Il volto civile e i toni misurati di Isaac Herzog avevano offerto la possibilità di un Israele normale che come ogni Paese democratico cerca una misura fra le sue esigenze di sicurezza e i diritti degli altri. Invece si è imposto il populismo di Bibi - o noi o loro-, l'arroganza di chi considera la Bibbia un manuale di politica È come nel 1996 quando, commentando la sua sconfitta contro Netanyahu, Shimon Peres disse che gli ebrei avevano sconfitto Israele. Il passato che vince sul futuro: non è tanto una questione di legittima sicurezza, quanto di affermazione di un dogma fondamentalista, la terra donata da Dio al suo popolo.
Anche gli ultimi avvenimenti di Tunisi aiutano a spiegare il successo di Netanyahu: è difficile chiedere agli israeliani di essere lungimiranti in un Medio Oriente così pericoloso. In questo contesto, infatti, nessuno stava premendo su Israele perché facesse passi decisivi verso un accordo con i palestinesi. Ma il governo Netanyahu ha continuato ad approfittare del momento di stallo per creare le condizioni affinché un compromesso non potesse mai essere raggiunto. Il massacro di Tunisi spiega un'altra cosa: che in pericolo non c'è solo Israele. La difesa con ogni mezzo di una sola tribù non aiuta a sconfiggere il terrore, lo alimenta.
LA STAMPA - Riccardo Barenghi: "Jena"
La rubrica "Jena" di Riccardo Barenghi oggi propone un paragone senza senso, che mette nel paiolo delle "brutte notizie", insieme all'attentato di Tunisi, la vittoria elettorale di Netanyahu. La satira non deve avere limiti, ma quella di Barenghi non è satira, è una menzogna, come Dieudonné in Francia.
Invitiamo i lettori di IC a scrivrere al direttore della Stampa Mario Calabresi, la e-mail la trovate in fondo a questa pagina.
Ecco le tre righe di Barenghi:
Riccardo Barenghi
Tre brutte notizie
ci arrivano dal mondo:
i terroristi fanno una strage, Netanyahu vince ancora e Lupi non si dimette.
AVVENIRE - Giorgio Ferrari: "Netanyahu batte tutti e si riprende Israele"
Giorgio Ferrari scrive un articolo non solo contro Netanyahu, ma anche contro Israele. Gli arabi israeliani, secondo il giornalista, sarebbero "indesiderati, come sempre" in Israele. E' il rovesciamento esatto della verità: Israele è l'unico luogo dell'intero Medio Oriente in cui gli arabi godano di tutti i diritti, incluso quello di voto. E quest'ultimo lo esercitano come tutti gli altri cittadini, tanto che il partito giunto terzo in questa tornata elettorale è proprio la Lista Araba Unita.
Il quotidiano dei vescovi riconferma la propria visione di Israele, un paese che dovrebbe ignorare i pericoli che lo minacciano, non occuparsi della propria sicurezza, in pratica non esistere. Ripensiamo con amarezza, ma con buona memoria, che il Vaticano ha riconosciuto Israele soltanto nel 1993.
45 anni dopo la sua fondazione.
Ecco il pezzo:
Sono emozionato per l'incarico che il popolo ebraico mi ha affidato ancora una volta. Sono venuto qui, in questo posto millenario, conscio di questa responsabilità». La kippah nera, l'abito scuro, il volto impenetrabile. Eccolo lì, "Bibi" Netanyahu, il leone che ha sbaragliato gli avversari e ridicolizzato i pronostici, che ha messo al tappeto il ticket laburista-centrista formato da Isaac Herzog e Tzipi Livni, eccolo lì in preghiera al Muro del Pianto, la moglie Sara nel settore riservato alle donne, eccolo lì in quella Gerusalemme che lo ha massicciamente votato così come Tel Aviv gli ha preferito l'avversario Herzog, eccolo Iì con in tasca 30 seggi alla Knesset, otto di più di quelli che i sondaggi più benevoli gli assegnavano alla vigilia.
I suoi avversari sono ancora sbalorditi, balbettano scuse, promesse, vaticini mentre lui già compila liste di ministri e frenetico gioca con il pallottoliere che permetterà al Likud di allestire una coalizione con i partiti della destra nazionalista come Focolare Ebraico di Naftali Bennet (che avrà 8 seggi) e Yisrael Beitenu di Avigdor Lieberman (6 seggi), ai quali aggiungere i partiti religiosi Shas (7) e Torah Unita nel Giudaismo (7), oltre al nuovo partito di centro destra Kulanu (10) dell'ex ministro delle Comunicazioni Moshe Kahlon.
Impresa titanica, degna della litigiosità endemica del Medio Oriente e parimenti di quella volontà di potenza che solo Netanyahu sembra saper esprimere nel mosaico politico israeliano. Mentre i rivali diretti di Campo Sionista si leccano le ferite e si flagellano per aver impostato la campagna in una sorta di referendum su Netanyahu (che è esattamente ciò che Bibi peraltro voleva), esulta la Lista araba unita che ha ottenuto la cifra record di 14 seggi, anche se il raggruppamento sa che trascorrerà i suoi giorni all'opposizione. Fino alla notte scorsa si prefiguravano tre scenari: una coalizione guidata dal Likud di Netanyahu che potrebbe raggiungere i 68-70 seggi (la maggioranza che occorre è di 61); una coalizione affidata al laburista Isaac Herzog che comprenderebbe Shas, Meretz, Torah Unita nel Giudaismo e i 10 deputati di Moshe Kahlon, ma che non arriverebbe alla maggioranza e dovrebbe affidarsi all'appoggio esterno della Lista araba unita; un governo di unità nazionale caldeggiato fin dalla prima ora dal presidente Reuven Rivlin.
Ma di fronte all'esito delle urne una Grosse Koalition è impensabile e Rivlin non ha altra scelta che affidare a Netanyahu l'incarico di formare il nuovo governo. Giochi già fatti? Tutt'altro. Non dimentichiamoci che a indire nuove elezioni è stata la decisione di Netanyahu di mandare a casa un governo indisciplinato e non più gestibile. Ora si ritroverà molte facce note ed anche quel Moshe Kahlon che dal Likud era uscito ed ora è il piccolo king-maker del nuovo governo: può stare con Bibi ma si è detto disponibile in caso Herzog riesca ad allineare abbastanza partiti da poter offrire un gabinetto sionista-progressista laddove eventualmente Netanyahu fallisse. L'analisi del voto non lascia dubbi. Netanyahu ha vinto dove predomina la paura. A Gerusalemme e in Cisgiordania le destre hanno fatto man bassa di consensi. Nella città-colonia di Ariel il Likud ha rastrellato metà dei voti e un altro 30% è andato a liste ideologicamente contigue, mentre Campo sionista ha ricevuto solo il 4% dei voti. A Tel Aviv invece il ticket Herzog-Livni ha avuto il 34% dei voti, seguito dalla sinistra sionista Meretz con il 13% e dalla Lista araba unita (3%), mentre il Likud si è dovuto accontentare del 18%. Herzog vince anche a Haifa mentre il Likud domina a Beer Sheva.
Grande festa nelle fila della Lista araba unita guidata dal marxista Ayman Odeh. Quei 14 seggi guadagnati li hanno indotti ad annunciare che per il momento rinunceranno a dividersi (erano una coalizione di tre piccoli partiti araboisraeliani). Resta loro l'amarezza del disprezzo con cui Netanyahu li ha bollati il giorno delle elezioni, lanciando l'allarme sulle «masse di arabi che stanno andando a votare». Indesiderati, come sempre.
Ieri John Keny ha chiamato Netanyahu per congratularsi. Obama lo farà nei prossimi giorni, ma la Casa Bianca continua a pensare alla soluzione dei due Stati. «Faremo vedere che saremo un'opposizione che combatte», commenta Isaac Herzog. «La gente si aspetta che rialziamo la testa e proseguiamo nella strada intrapresa. Un giorno cambieremo questo Paese». Ma per il piccolo Kennedy il bel tramonto che scende lieve su Israele è un tramonto amaro.
Non riprendiamo gli interventi di Etgar Keret su Repubblica e di Meir Shalev sul Corriere della Sera di oggi. Le idee espresse dai due scrittori sono ripetitive e non contengono nulla di nuovo. Sono i giornali italiani che non chiedono mai il parere anche ad altri intellettuali che la pensano in modo differente.
Etgar Keret Meir Shalev
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