Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 18/03/2015, a pag. 6, con il titolo "La prima volta degli arabi in massa alle urne: 'Basta con le divisioni, ora la nostra voce pesa'", la cronaca di Fabio Scuto.
Israele è una piena democrazia, e di conseguenza tutti i cittadini a prescindere dall'appartenenza etnica e dalle convinzioni politiche, etiche e religiose hanno diritto di voto. Lo ha perfino chi appoggia partiti estremisti e antisionisti come quelli della Lista Araba Unita. Questa è la più grande dimostrazione di che cosa sia la democrazia israeliana, uno spazio dove tutti possono esprimere in libertà la propria opinione.
Ma Scuto si è ben guardato dallo scriverlo, proprio lui che è specializzato nel mischiare fatti e opinioni.
Invitiamo i nostri letttori a chiedere al direttore di Repubblica che ne pensa:
e.mauro@repubblica.it
Ecco l'articolo:
Fabio Scuto
Una donna araba israeliana vota per il Paese di cui è cittadina, Israele
La fila ai quattro seggi di questo villaggio arabo-israeliano di seimila anime alle porte della Città Santa era già lunga alle dieci del mattino, perché l’elettorato arabo ha risposto in forze all’appello al voto e le percentuali dell’affluenza nel corso della giornata cresceranno fino al punto in cui non erano mai arrivate. Per la prima volta nella storia i quattro partiti arabi — sempre litigiosi e diffidenti l’uno dell’altro — si sono presentati uniti. Una grande affluenza araba potrebbe non solo aumentare il numero dei seggi alla Knesset dei parlamentari non ebrei, ma anche impedire ad altri piccoli partiti di varcare lo soglia di sbarramento innalzata proprio a ridosso di queste elezioni. Nabila, una giovane mamma di trent’anni, ha appena deposto la sua scheda azzurra nel seggio. Aspetta il marito Mansour sulla scala di questa scuola elementare. Lui è netto nel suo giudizio e nell’importanza di questo voto, «decisivo come mai prima». «Ho votato per i nostri candidati della Lista Unita», spiega, «come tutti nella mia famiglia, abbiamo l’occasione per la prima volta di presentarci uniti e far pesare il nostro voto».
Saed Kayyal, il capo della campagna della Lista Unita, spera addirittura che 15 dei 120 seggi del Parlamento possano andare a loro. Erano 11 nell’ultima Knesset ma gli arabi erano andati al voto divisi in quattro fazioni. «Questo è quello che dobbiamo superare tra la nostra gente», dice Keyal, «far sapere che la nostra vittoria andrà solo a nostro beneficio: questa volta saremo in grado di alzarci e dire la nostra e dimostrare che tutte le strategie per tenerci divisi sono fallite». Saleh Rafah, membro dell’Esecutivo dell’Olp, vuole invece mettere l’accento sull’importanza di bloccare un quarto mandato per Benjamin Netanyahu. «Non dobbiamo puntare su qualsiasi altra cosa, perché anche Herzog ha promesso di mantenere Gerusalemme unita come capitale di Israele e ha fatto dichiarazioni sugli insediamenti nei Territori occupati che troviamo molto negative ». Eppure, è costretto ad ammettere che Herzog, se formerà il governo «forse prenderà un altro approccio, diverso da Netanyahu, sul ritiro (dalla Cisgiordania, ndr) e sullo Stato palestinese ».
La “minaccia” è sentita dal premier uscente Benjamin Netanyahu che ieri mattina ha postato su Facebook un messaggio in cui lanciava l’allerta contro «gli elettori arabi che stanno andando a votare in massa, portati ai seggi in autobus dalla sinistra». Il governo della destra è «in pericolo », ha scritto il leader conservatore, esortando gli elettori a prendere famiglia e amici e andare a votare per il Likud. L’attacco razzista di Netanyahu ha provocato l’immediata reazione sia del blocco di centro-sinistra Unione Sionista che dei partiti arabi. Il parlamentare della Lista Unita, Dov Khenin, si è rivolto alla Commissione centrale elettorale affinché il messaggio fosse rimosso il prima possibile. «Un premier che fa campagna contro il voto di cittadini di una minoranza etnica ha superato la linea rossa dell’incitamento e del razzismo», commenta Khenin amaramente.
Anche se nella notte la Lista araba unita nelle proiezioni diventerà il terzo partito, una cosa sembra certa: qualunque sia la formazione del governo, non ci saranno ministri arabi, almeno cosi ci spiega l’avvocato Ayman Odeh, che è il capolista e l’artefice della Lista Unita, creata in risposta alla controversa legge che ha innalzato la soglia di sbarramento dal 2% al 3,5% minacciando la sopravvivenza dei pic- coli partiti. Se non è tutto merito suo, Odeh ha però avuto il pregio di credere nell’alleanza dei partiti arabi e di presentare all’opinione pubblica un’immagine carismatica ma anche composta, moderata nei toni, che è piaciuta. Come le sue risposte pacate alle ingiurie e gli insulti che durante un dibattito tv gli ha lanciato il leader dei nazionalisti Avigdor Lieberman. L’ingresso nel governo non è in agenda, spiega Odeh, che dal 2006 guida il partito arabo Hadash (comunisti).
La Lista Unita — che comprende comunisti, islamisti e nazionalisti arabi — vuole mantenere una certa suspense oltre alla certa assenza dal governo. «Nei casi particolari ci atterremo a un appoggio esterno», spiega Odeh, elencando i temi su cui si batteranno i suoi deputati: la situazione economica e sociale in cui versa la minoranza araba, la disoccupazione specie quella femminile, il trasporto pubblico in villaggi e città arabe, lo sradicamento della violenza. «Gli arabi», spiega a Repubblica il politologo arabo Sass al-Atrach, «non vogliono entrare in un governo per evitare casi di coscienza. Cosa farebbero se il governo decidesse di dichiarare guerra a Gaza o al Libano?».
«L’idea — dice Osama al-Saadi, n.12 della Lista Unita — è quella di essere una leva di influenza». Una volta noti i risultati definitivi, dice ancora Saadi, «vedremo quale maggioranza sarà possibile e sceglieremo in quel momento se sostenere una coalizione o restare all’opposizione».
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