Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 17/03/2015, a pag. 20, con il titolo "Netanyahu rischia grosso: la sinistra può cacciare la vecchia volpe di Israele", il commento di Fiamma Nirenstein; dalla NAZIONE - CARLINO - GIORNO, a pag. 19, con il titolo " 'Mai esisterà lo Stato palestinese', Netanyahu super falco alle elezioni", il commento di Aldo Baquis.
Ecco gli articoli:
Ytzhak Herzog con Benjamin Netanyahu
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Netanyahu rischia grosso: la sinistra può cacciare la vecchia volpe di Israele"
Fiamma Nirenstein
La grande volpe, nonostante dovesse svicolare fra le dune del deserto mediorentale dense di pericoli e di agguati, ce l'ha messa tutta, si è a volte nascosta in silenzio per essere però poi subito stanata, ha cercato alle volte di girarsi mostrando i denti alla turba dei cani da caccia, ha corso veloce quanto ha potuto, ma l'assedio l'ha alla fine stretta nell'angolo. 23 o 24 a 21, questo è il risultato che danno i sondaggi, gli ultimi permessi prima delle elezioni di oggi. Il parlamento consta di 120 membri. Due sono i partiti principali in lizza: il gruppo Isaac Herzog-Tzipi Livni, la cosiddetta Unione Sionista, di fatto la sinistra unita contro Netanyahu, sulla carta inaspettatamente batte il Likud di Bibi. Questo non vuol dire necessariamente che Herzog, un rampollo di una nobile famiglia sionista, padre presidente, piccolo, educato, voce chioccia, sguardo irritato, sarà il prossimo Primo Ministro.
Una coalizione di sinistra non arriva a 61, la lista araba unita (13 seggi) non ha intenzione di associarsi a un partito sionista, Moshe Kahlon, moderato con 12 seggi, è incerto se accettare la promessa di Bibi di farlo Ministro delle Finanze. I numeri di Bibi per una coalizione di destra sono più realistici, ha con sé lo schieramento che teme imprudenze pacifiste, e in più chi in fondo sa che Bibi ha più carisma di Herzog. a Bibi si rimprovera di aver scelto in campagna elettorale la strada del blocco nazionale dimenticando che il suo precedente governo comprendeva Tzipi Livni e Yair Lapid, il candidato laico per eccellenza, tanto da dire nelle ore che pensare a uno stato palestinese nei confini del 67 e con Gerusalemme divisa, oggi, in tempo di estremismo, non è più proponibile. Il presidente Reuven Rivlin quando darà l'incarico, certo spingerà per un governo di coalizione che i due leader per ora rifiutano.
Dopo 6 anni, dunque, Bibi potrebbe andare a casa. Tre fattori hanno giocato: l'odio obbligatorio, nel mondo contemporaneo, per un leader di destra; l'ostilità per il suo curriculum dell'altro secolo, combattente dell'unità Sayeret Matkal in difficilissime operazioni antiterrorismo; colto figlio dello storico Bent Tzion Netanyahu; fratello di Yoni, che fu ucciso a Entebbe; ambasciatore all'ONU; la lunga permanenza sulla sedia di Primo Ministro; portabandiera solitario della lotta contro il nucleare iraniano. Più che una campagna elettorale è stato un assedio politico, giudiziario, economico forte di un esercito nazionale e internazionale. Lo slogan che circola ormai da mesi è: "Chiunque fuorché Bibi".
I giornali, i tg, i programmi satirici hanno fatto di Netanyahu il bersaglio fisso, il traino dello share: preso di mira il suo tenore di vita sulla base dell'indagine annuale di legge sulle spese di casa secondo standard socialista-populisti tipicamente israeliani, il poveretto è stato persino accusato di aver ordinato un gelato al pistacchio e di non aver restituito al cameriere i soldi di un collirio; nel mirino la moglie Sara, un personaggio non facile ma certo non criminale; l'insistenza di Bibi sulla sicurezza, il viaggio al Congresso americano per parlare del problema iraniano sono stati visti come una mania; alcuni suoi collaboratori messi oggi da parte, come il capo del Mossad Meir Dagan, l'hanno accusato di essere un pericolo per la sicurezza: chi l'ha vituperato per non aver distrutto Hamas, chi al contrario per aver intrapreso la guerra.
L'immagine suggerita al pubblico è quella di un leader che non sa quanto costa un litro di latte, mentre la sinistra e i partiti di centro hanno indossato la tuta proletaria. La vita qui è difficile, il bilancio dello stato è appesantito dalle spesse militari. IlNew York Times ha torto quando pensa che le elezioni siano legate soprattutto al tema dello Stato palestinese, degli insediamenti, dei coloni. Anche Herzog e Livni, una volta detto rapidamente che è un peccato che Israele non goda di simpatie internazionali e che è tutta colpa di Netanyahu, sanno che non vale la pena di promettere la pace.
L'atteggiamento aggressivo di Abu Mazen, l'assedio terrorista e il pericolo iraniano oltre all'esperienza dello sgombero di Gaza non promettono bene. L'accusa di fondo a Bibi non riguarda gli insediamenti, ma non aver frenato il costo della vita, non aver attuato i piani edilizi promessi. Nessuno si è ricordato del fatto che l'economia israeliana, la scienza, l'high-tech, il cyber, i tassi di occupazione sono invidiabili, che Israele in questi anni ha messo in piedi un'incredibile rete stradale e di trasporti, la sanità copre tutto, i salari sono aumentati, l'esercito è forte... ma Bibi è di destra, e Herzog è "un uomo d'onore", direbbe Shakespeare.
NAZIONE - CARLINO - GIORNO - Aldo Baquis: " 'Mai esisterà lo Stato palestinese', Netanyahu super falco alle elezioni"
Aldo Baquis
SEI MILIONI di israeliani oggi alle urne al termine di una campagna elettorale che, perse di vista le grandi sfide del Paese, si è ridotta ad un referendum sulla persona di Benjamin Netanyahu, il premier in carica da sei anni. Alla base, c'è un paradosso. La maggioranza degli israeliani vorrebbe che fosse estromesso: lo dicono i sondaggi e lo si avverte nell'aria, perfino nelle roccaforti del Likud. il suo partito. Eppure la maggioranza relativa ritiene ancora 'Bibi' Netanyahu il personaggio più idoneo a quella che pare una delle cariche più difficili: il primo ministro del Paese più minacciato al mondo.
L'esperienza del suo rivale diretto, il laburista Isaac Herzog, è modesta. «Non ha la stoffa adatta — dice sprezzantemente di lui Netanyahu — Non resisterebbe alle pressioni esterne nemmeno un minuto». Eppure un terzo dell'elettorato è disposto a metterlo alla prova, assieme alla sua alleata Tzipi Livni. Netanyahu argomenta che se Israele è oggi un'isola di normalità in un Medio Oriente in stato di ebollizione, ed è sostanzialmente florido malgrado le tempeste nei mercati internazionali lo si deve alla sua politica prudente. Tutto ciò, avverte, potrebbe cambiare in maniera radicale se conquistassero il potere i suoi «inesperti rivali». Israele, ha insistito, non può permettersi debolezze, né concessioni territoriali. Deve mantenere il controllo militare in Cisgiordania, rafforzarvi la presenza ebraica; «impedire — ha precisato ieri - la costituzione di uno Stato palestinese indipendente».
Herzog e la Livni hanno invece messo l'accento su una parola quasi sconosciuta nei testi del Likud: la speranza in un futuro migliore. Non più un Israele isolato, bensì in ritrovata sintonia con la comunità internazionale, in primo luogo Usa e Ue. Un Israele più pronto ad ascoltare il parere di Paesi amici e più incline a mettere la sordina alla politica di colonizzazione: almeno nelle aree esterne alla Barriera di sicurezza. Prefigurano un'estesa riforma sociale che accolga le istanze degli 'indignati', protagonisti dell'estate 2011: un Israele in cui i più deboli non siano condannati a restare ai margini della società.
NETANYAHU e Herzog sono arrivati al voto stremati e confusi, alla guida di partiti decimati da lotte intestine. Nei sondaggi ricevono 22-24 seggi sui 120 della Knesset. Per formare un governo la maggioranza minima è 61 deputati. Sulla carta, finora, non ce l'hanno. E' il secondo paradosso di queste elezioni, volute da Netanyahu proprio perché esasperato dalla ingovernabilità del governo precedente.
Adesso, chiunque vinca, dovrà egualmente concedersi a partiti minori: centristi, nazionalisti, ortodossi. La nuova demografia di Israele ha fatto emergere in queste elezioni strati sociali nuovi, assetati di potere. Fra questi gli ebrei ortodossi, che possono conquistare una ventina di seggi; la minorava araba che, riunita in una sola lista guidata da un marxista ateo, punta a una quindicina di seggi; e gli strati popolari degli ebrei sefarditi (originari di Paesi arabi) che sostengono il partito sociale Kulanu. Tutti costoro hanno contribuito a focalizzare la campagna elettorale sulle questioni sociali più stringenti: caro-vita, lotta alla povertà, sanità, edilizia popolare, confronto con i grandi monopoli, gli istituti bancari e le assicurazioni. Le periferie, che avevano alzato la testa nel 2011, marciano ora verso i cancelli della Knesset. Chiunque prevalga, il conservatore Netanyahu o il laburista Herzog, non potrà non tenerne conto.
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