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Il Foglio Rassegna Stampa
11.03.2015 L'amicizia interessata tra Assad e lo Stato Islamico
Daniele Raineri intervista Michel Weiss, autore di 'Isis - Inside the Army of Terror'

Testata: Il Foglio
Data: 11 marzo 2015
Pagina: 3
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Cosa non sapete di Assad»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/03/2015, a pag. III, con il titolo "Cosa non sapete di Assad", l'intervista di Daniele Raineri a Michael Weiss, autore di "Isis - Inside the Army of Terror".


Daniele Raineri, Michael Weiss

Michael Weiss è un giornalista americano che ha appena pubblicato assieme al giornalista siriano Hassan Hassan un saggio pieno di informazioni solide sullo Stato islamico, disponibile per ora soltanto in inglese. Il titolo segue l’uso ormai invalso negli uffici marketing editoriali di tendere ai film con Chuck Norris quando si parla di medio oriente, “Isis – Inside the army of terror” (Regan Arts, 270 pagg.), ma il contenuto sta ricevendo recensioni ottime in America. I due hanno alle spalle parecchio lavoro su quello che succede nei paesi arabi e hanno lavorato in tandem: Hassan ha trovato fonti di prima mano e ha intervistato in lingua originale via Skype decine di appartenenti allo Stato islamico e Weiss – che ha lavorato anche come inviato in Siria – ha dato al saggio tra le altre cose un tono diretto “in your face”.

Chiediamo a Weiss del capitolo settimo del libro, che è quello in cui si spiega la cooperazione di fatto e lunga più di un decennio tra il governo siriano del presidente Bashar el Assad e lo Stato islamico. E’ un tema che può suonare strano in Italia, dove parte dell’opinione pubblica è sinceramente convinta che il presidente Assad sia “un baluardo contro gli estremisti”. Salta fuori che è stato Weiss a occuparsi specificamente del capitolo sette: “Assad baluardo contro gli estremisti? Biggest joke in this conflict”, risponde Weiss. “Che Assad sia considerato un baluardo contro lo Stato islamico è la più grande barzelletta in questa guerra. C’è una convergenza di interessi, anche se non un’alleanza nel senso stretto della parola. Non dico quindi che il governo siriano stia gestendo questo conflitto assieme allo Stato islamico oppure che prenda decisioni assieme alla leadership del gruppo estremista, questo no, o che si stiano telefonando o comunque condividano i loro piani. Dico invece che il governo siriano è sempre stato un grande supporter dello Stato islamico perché questo fa parte della sua politica estera”.

“Non c’è un gruppo terrorista in medio oriente che Damasco non abbia appoggiato. Hezbollah, il Pkk, Hamas, che è stata ospitata in Siria per anni, al Qaida in Iraq (che è lo Stato islamico, prima che cambiasse nome) – continua Weiss – Nel caso dello Stato islamico il governo di Assad lo ha fatto perché ha beneficiato dalla sua esistenza fin da molto tempo prima della rivoluzione durante la guerra americana in Iraq, e ne sta beneficiando enormemente ora, dopo lo scoppio della rivoluzione siriana. Si può dire che gli deve la sua sopravvivenza”.

Questa non è un’idea di Weiss soltanto. Durante i colloqui di Ginevra, a inizio 2013, quando per la prima volta l’opposizione ha incontrato i delegati del governo siriano, i moderati hanno potuto fare direttamente la domanda al ministro degli Esteri siriano: “Perché bombardate ogni giorno Aleppo con i barili bomba e non bombardate mai la capitale dello Stato islamico, Raqqa? A Raqqa tutti sanno dove sono le basi degli uomini di Baghdadi, sono state dipinte di nero con enormi simboli bianchi eppure non sono mai state toccate”. Non c’è stata risposta. I bombardamenti di Assad contro Raqqa sono cominciati soltanto dopo un anno di quiete nell’agosto 2014 quando gli aerei americani hanno cominciato a colpire in Iraq. Il messaggio del governo siriano era chiaro: possiamo essere partner in questa guerra al terrore. Ecco che la presenza dello Stato islamico ha cominciato a offrire un risultato politico. Nel frattempo di moderati in Siria è davvero difficile trovare una pur labile traccia.

In questo senso lo studioso di politica mediorientale Thomas Pierret dice che lo Stato islamico “è il dream team della counterinsurgency”, vale a dire che è la migliore cosa possibile che possa capitare a un dittatore arabo assediato da una sollevazione popolare. Lo Stato islamico ha spento qualsiasi iniziativa internazionale per proteggere i civili con la sua sola esistenza, ha arrestato torturato e ucciso i riformisti moderati siriani che hanno fatto partire la rivoluzione nel 2011, rapisce sistematicamente e ammazza davanti a una telecamera i giornalisti e i soccorritori stranieri, rende sospetti anche i semplici aiuti umanitari ai bambini siriani. In generale fa apparire come un errore ogni ipotesi di azione umanitaria o di intervento militare anche limitato – come per esempio una no-fly zone nel nord della Siria per fermare i bombardamenti.

L’autore americano dice al Foglio che molti leader dei gruppi jihadisti siriani sono stati liberati da Assad con un’amnistia nel 2011, nello stesso periodo cui in le forze di sicurezza arrestavano migliaia di manifestanti. “In questi anni di guerra il dieci per cento degli strike aerei del governo di Damasco è stato lanciato sulle zone controllate dallo Stato islamico (le più estese) e il restante novanta per cento su quelle in mano ai gruppi della ribellione che hanno obiettivi diversi e non vogliono un Califfato universale ma rovesciare il governo” (nota: ormai anche questa parte dei “ribelli” sta diventando meno che minoritaria e completamente impotente).

“Prima crea il problema e poi si offre come soluzione”, dice Weiss, e spiega che però la posa da “baluardo contro l’estremismo” del governo Assad è smentita dai rapporti lucrosi che intrattiene con i jihadisti. A questo proposito venerdì scorso il Financial Times, che è il giornale di riferimento della City londinese e non il giornale di riferimento dell’islam militante, ha rivelato che un businessman siriano-greco che si chiama George Haswani coordina la compravendita “per milioni di dollari” di greggio e gas tra il governo siriano di Bashar el Assad e il suo presunto nemico mortale, lo Stato islamico.

Il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi ha conquistato i pozzi di petrolio siriani concentrati nell’est della Siria a metà 2013. Da allora la vendita del greggio è la sua principale fonte d’incasso – il motore che ha alimentato la successiva espansione in Iraq e la dichiarazione della nascita del Califfato nel giugno 2014. Oltre a essere un cliente, il governo siriano aiuta anche lo Stato islamico nella gestione tecnica dei pozzi, perché il ministero del Petrolio continua a tenere negli impianti di estrazione il personale specializzato e a pagarne gli stipendi. Il greggio viene venduto al governo, che lo redistribuisce nelle aree sotto il suo controllo a prezzo relativamente basso e questo contribuisce a tenere calma la popolazione. In alcuni casi, il governo scambia i rifornimenti di greggio con rifornimenti di energia elettrica alle zone controllate dallo Stato islamico.

A presiedere questa collaborazione c’è Haswani, un siriano cristiano di Yabroud, che secondo il Financial Times ha accesso diretto al presidente Assad e il cui ruolo è diventato pubblico venerdì perché il suo nome appare in una lista di persone colpite dalle nuove sanzioni dell’Unione europea. Haswani da sabato scorso non può più viaggiare nei ventotto stati dell’Unione europea senza rischiare l’arresto e i suoi beni in Europa sono stati congelati.

Dettaglio interessante: la compagnia di Haswani, la Hesco, gestisce senza alcun disturbo un impianto per l’estrazione di gas nella zona di Raqqa, che come è noto è la capitale dello Stato islamico in Siria. Il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi l’estate scorsa ha assediato e conquistato le ultime tre basi militari degli assadisti in quell’area, trucidando centinaia di soldati lealisti. In un video circolato ad agosto, un soldato di Assad con le mani legate rifiuta di dire “bayiya!”, il motto dello Stato islamico: “Resterà!”. Dice invece: “Vi spazzeremo via tutti”, un secondo prima di essere crivellato di colpi. La scena è stata ripresa da tutti i supporter del governo di Damasco, e il soldato morto celebrato come un eroe. Otto mesi dopo, si viene a sapere ufficialmente che a pochi chilometri un businessman del governo e contatto personale del presidente Assad gestisce il suo impianto gasifero. La storia fa venire in mente cosa successe il giorno prima della caduta dell’aeroporto militare di al Tabqa, dove ad agosto lo stato islamico uccise centinaia di soldati di Assad. Presentendo la disfatta, quattro aerei cargo caricarono gli ufficiali e li portarono via, verso Hama, lasciando la truppa senza guida alla mercé dell’attacco dello Stato islamico che sarebbe arrivato quella notte.

Un’altra notizia di questi giorni. Secondo i dissidenti che da Raqqa pubblicano notizie che lo Stato islamico non vuole fare circolare, i produttori di farina della regione di Hasaka, nell’est della Siria, hanno mandato 185 camion carichi di farina verso il porto di Tartous, sulla costa a ovest. I camion sono passati senza problemi per le aree controllate dallo Stato islamico pagando una tassa del venticinque per cento del carico. E’ un altro esempio della simbiosi.

Due giorni fa il dipartimento della Difesa ha desecretato alcuni documenti su Abu Musab al Zarqawi, il terrorista giordano che comandava al Qaida in Iraq durante gli anni della guerra contro gli americani. Al Zarqawi è considerato il padre fondatore dello Stato islamico. Uno dei documenti appena resi pubblici rivela che, dopo essere fuggito dall’Afghanistan, al Zarqawi ha vissuto e si è addestrato in una casa di Daraa, nel sud della Siria, fino all’agosto 2003. Il file è preciso: spiega che la casa è a due piani, il colore della facciata, la distanza dalla più vicina moschea, poche centinaia di metri, ma ancora più vicina c’è una chiesa. Weiss dice al Foglio che per avere il senso di come la Siria abbia coltivato negli anni il suo rapporto con lo Stato islamico è necessario leggere una sentenza del giudice del District of Columbia del 26 settembre 2008. Sono più o meno quaranta pagine che il Foglio può riassumere qui in breve.

Il giudice risponde alla domanda di risarcimento presentata dalle famiglie di due ingegneri americani, Jack Hensley e Jack Armstrong, sequestrati mentre lavoravano in Iraq nel 2004 e decapitati davanti a una telecamera (come si vede, negli anni cambia l’editing dei video, sempre più professionale, ma non il messaggio). La domanda non è diretta ad al Qaida in Iraq, ma alla Siria, considerata stato sponsor del gruppo. E dopo quaranta pagine di prove, testimonianze e spiegazioni il giudice accoglie le domande e condanna il governo di Bashar el Assad a pagare trecento milioni di dollari alle famiglie, cosa mai avvenuta.

“I querelanti hanno provato, e la Corte si dichiara soddisfatta delle prove, che la Siria ha fornito aiuto sostanziale a Zarqawi e ad al Qaida in Iraq e che questo ha portato alla morte per decapitazione di Jack Armstrong e di Jack Hensley. I querelanti hanno mostrato come la fornitura di aiuto materiale e risorse da parte della Siria fosse inevitabilmente conosciuta e approvata dal presidente Bashar el Assad e dal generale Shawkat (capo dell’intelligence), che agivano secondo i loro incarichi. La Siria è stata lo scalo logistico di al Qaida in Iraq dal 2002 al 2005. In questo periodo di tempo, la Siria ha aiutato Zarqawi dando a lui un passaporto e ai suoi seguaci munizioni, addestramento, trasporti e reclute”.

Perché il governo siriano gioca con lo Stato islamico? “Prima perché volevano far fallire l’intervento militare americano in Iraq, e allora aiutavano i jihadisti. Oggi perché volevano far fallire la rivoluzione, e hanno colpito, ucciso e incarcerato migliaia di siriani moderati e hanno lasciato che lo Stato islamico prendesse queste dimensioni, fino a quando non sono diventati indispensabili nella gestione della crisi. E’ il caso classico del piromane che viene chiamato a spegnere l’incendio. Al governo siriano in questo decennio ha sempre interessato una cosa: essere considerati, ricevere chiamate al telefono dalla comunità internazionale, essere al centro delle trattative che riguardano il medio oriente.

La lettura della sentenza di risarcimento – che fino a oggi rappresenta l’inchiesta pubblica più completa sui rapporti tra al Qaida in Iraq e la Siria – offre innumerevoli spunti, qui se ne citano un altro paio. Uno è questo. La Siria è definita uno “stato di polizia altamente efficiente”, dove nulla poteva succedere senza che gli apparati di sicurezza ne fossero a conoscenza. Il flusso di jihadisti stranieri che arrivava senza visto all’aeroporto internazionale di Damasco era poi diretto alla stazione degli autobus centrale, dove c’era anche il bus per Baghdad. La fila di volontari aspettava sul marciapiede sotto le finestre dell’ambasciata americana, una delle zone più sorvegliate della capitale, a dispetto delle proteste dell’ambasciatore americano che vedeva e capiva perfettamente cosa stava succedendo. Un altro è questo. Il presidente Assad nominò un addetto speciale a trattare con al Qaida, Fawzi al Rawi, capo dell’ala irachena del partito Baath, Rawzi aveva il compito di incontrare gli emissari di Zarqawi, discutere le operazioni contro gli americani, reclutare attentatori suicidi e fornire fondi e armi all’organizzazione di Zarqawi, e percepiva uno stipendio dal governo siriano.

Questa non è che una parte del saggio di Weiss e Hassan, e altre cause di questo fenomeno che sta cambiando il medio oriente come lo conoscevamo sono considerate. In un capitolo che è stato pubblicato in anteprima sul sito americano Daily Beast i due autori dell’inchiesta raccontano come durante gli anni della guerra americana in Iraq i jihadisti si facessero imprigionare apposta nel carcere militare di Camp Bucca, per riuscire a entrare in contatto da vicino con la leadership del gruppo di al Qaida in Iraq (il gruppo che poi è trasmutato nello Stato islamico, come si è già detto) e vivere finalmente in un posto perfettamente sicuro e isolato dalle interferenze esterne. Lì si addestravano in attesa di essere rimessi in libertà dopo periodi di prigionia brevi – rafforzati nello zelo e resi più forti dalla nuova rete di conoscenze.

Il saggio descrive anche come lo Stato islamico riesce a smontare le personalità individuali nei campi di rieducazione dove le reclute passano “da un mese a un anno, a seconda della necessità”. Le personalità decostruite sono poi ricomposte secondo i canoni del gruppo, per servire con assoluta fedeltà l’emiro Abu Bakr al Baghdadi. Da quel momento agiscono nella convinzione più profonda che la vita vissuta fino a quel momento fosse un’illusione debole, del quale si sono infine liberate, e che solo con il loro arruolamento nel gruppo comincia la vita vera. Nota finale: il saggio arriva con 242 note e rimandi alle fonti usate, e questo decisamente non è male in tempi di grande confusione sui temi mediorientali che regna sotto il cielo del Dar al Kufr, la terra degli infedeli.

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