Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 10/03/2015, a pag. 3, con il titolo "I falchi del Congresso spiegano agli ayatollah il bluff di Obama", l'analisi di Mattia Ferraresi.
Mattia Ferraresi
Obama a Netanyahu: "Dunque, non dobbiamo perdere di vista la road map verso la pace..."
New York. Non potendo esercitare un’autorità diretta sui negoziatori dell’Amministrazione Obama che stanno lavorando al “grand bargain” nucleare con l’Iran, i falchi del Congresso hanno pensato di appellarsi direttamente alle infide autorità di Teheran, per avvertirle che Obama sta vendendo la pelle dell’orso prima di averlo ucciso. Senza l’approvazione del ramo esecutivo, spiegano, le promesse del presidente sono poco più che simboli, effimere dichiarazioni d’intenti che oggi ci sono e domani chissà. Il successore di Obama potrebbe rimangiarsi la parola e rovesciare i termini dell’accordo con un tratto di penna.
La circostanza è inusuale, anzi inedita: 47 senatori repubblicani firmano una lettera aperta per spiegare ai leader di un paese con cui l’America non ha rapporti diplomatici che la mano tesa della Casa Bianca è un grande bluff; l’animosità politica della manovra è celata – più o meno – dietro rilievi di diritto costituzionale, un memorandum legale non richiesto che si apre così: “Durante i vostri negoziati nucleari ci è sovvenuto che voi non abbiate una totale comprensione del nostro sistema costituzionale”. I senatori fanno notare che ci sono almeno due grandi equivoci nei termini della trattativa che dovrebbe sollevare l’Iran dalle sanzioni in cambio dello smantellamento del programma nucleare a scopo militare (ma non quello civile, punto nevralgico della faccenda). Primo: “Benché il presidente negozi gli accordi internazionali, il Congresso ha il compito fondamentale di ratificarli. In caso di un trattato servono i due terzi dei voti al Senato. Tutto ciò che non è approvato dal Congresso è un mero accordo esecutivo”. Secondo equivoco: “Il presidente rimane in carica al massimo per due mandati da quattro anni ciascuno, mentre i senatori per un numero illimitato di mandati da sei anni ciascuno. Molti di noi potrebbero essere ancora in carica quando Obama lascerà la Casa Bianca, magari per decenni”.
Date queste premesse, scrivono i senatori, “il Congresso considererà qualunque trattato soltanto un accordo esecutivo fra Barack Obama e l’ayatollah Khamenei”, roba che può essere modificata “in qualunque momento” dal Congresso sovrano e spazzata via da un altro presidente. Il messaggio è chiaro: fate attenzione, infidi negoziatori di Teheran, ché quello che si decide ora nei colloqui ginevrini non vale a titolo definitivo, anzi vi conviene dare forfait subito ed evitare a tutti una grande perdita di tempo, tanto il voto del Congresso non lo avrete mai. Da un punto di vista strettamente formale, il ragionamento costituzionale espresso nella lettera fa acqua in più punti, e a notarlo per primo è stato Jack Goldsmith, ex consigliere di George W. Bush e giurista di Harvard, non il tipo che possa essere accusato di remare ideologicamente dalla parte di Obama.
Il vizio di forma non inficia tuttavia il senso politico dell’operazione antinegoziati, lanciata in grande stile dal rampante Tom Cotton, giovane senatore dell’Arkansas di spiccate tendenze neocon che ha raccolto per questa battaglia anche le firme di tre possibili candidati presidenziali: Marco Rubio, Rand Paul e Ted Cruz. Ieri in un’intervista a Fox, Cotton ha spiegato che l’Iran rappresenta una minaccia alla sicurezza dell’America molto peggiore di quella dello Stato islamico – argomento chiarito anche dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, la settimana scorsa al Congresso – e ha invitato anche i falchi democratici a unirsi all’iniziativa. Il primo nome invocato da Cotton è quello di Hillary Clinton, vista da molti a sinistra come il garante di una politica idealista e incentrata sulla leadership americana, opposta al realismo “from behind” di Obama. La lettera di Cotton e compagni raccoglie anche il trasversale malumore di un Congresso che si sente continuamente scavalcato da un presidente che procede per la sua strada a forza di ordini esecutivi.
Mettere in luce le forzature costituzionali di Obama potrebbe essere un modo efficace per eroderne dall’interno la credibilità politica, già messa in discussione dall’alleato israeliano nel caso dell’Iran. Un’inchiesta “motivata politicamente” Alla lettera dei falchi repubblicani si aggiunge anche lo strano caso di Bob Menendez, senatore democratico del New Jersey e incarnazione del falco di sinistra. Menendez è autore di due disegni di legge che sono diretta opposizione alla linea politica di Obama: il primo impone nuove sanzioni all’Iran, cosa che farebbe saltare il tavolo delle trattative e per questo Obama promette il veto nel caso ottenga il voto della maggioranza; questo disegno ha ottenuto l’appoggio informale di Netanyahu e il sostegno dei lobbisti dell’Aipac. Il secondo prevede che il Congresso possa riesaminare e modificare qualunque accordo venga fuori dai negoziati, richiesta che va nella direzione delle rivendicazioni esposte da Cotton e dagli altri senatori nella lettera aperta.
La settimana scorsa su Menendez è piovuto un avviso di garanzia del dipartimento di Giustizia, sotto inchiesta per corruzione. I procuratori dicono che il senatore ha sfruttato la sua posizione per favorire un finanziatore democratico del suo stato nonché suo vecchio amico, l’oftalmologo Salomon Melgen, il quale, in cambio, dava regali e altri benefit a Menendez. Il senatore parla di una “campagna di diffamazione” e anche il repubblicano Ted Cruz sostiene che si tratti di un’inchiesta “motivata politicamente”, una punizione per le posizioni eterodosse in politica estera. Lui non si lascia intimidire e prepara il contrattacco: “Non vado da nessuna parte".
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