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Il Giornale - Il Foglio - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
04.03.2015 Netanyahu al Congresso: commenti e analisi
Commenti di Fiamma Nirenstein, Giuliano Ferrara, Maurizio Molinari, intervista di Arturo Zampaglione a Daniel Pipes

Testata:Il Giornale - Il Foglio - La Stampa - La Repubblica
Autore: Fiamma Nirenstein - Giuliano Ferrara - Maurizio Molinari - Arturo Zampaglione
Titolo: «L'amore Usa-Israele batte Obama - Il gladiatore va al Congresso - Ai banchi del mercato va in scena lo scontro: 'Campagna elettorale' - 'Un appello di impatto che smonta l'accordo'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 04/03/2015, a pag. 13, con il titolo "L'amore Usa-Israele batte Obama", il commento di Fiamma Nirenstein; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Il gladiatore va al Congresso", l'editoriale di Giuliano Ferrara; dalla STAMPA, a pag. 15, con il titolo "Ai banchi del mercato va in scena lo scontro: 'Campagna elettorale' ", il commento di Maurizio Molinari; da REPUBBLICA, a pag. 19, con il titolo "Un appello di impatto che smonta l'accordo", l'intervista di Arturo Zampaglione a Daniel Pipes.

Guardate il discorso di Netanyahu al Congresso:
https://www.youtube.com/watch?v=OKzvXEP43tI

Ecco gli articoli:


Netanyahu al Congresso americano

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "L'amore Usa-Israele batte Obama"


Fiamma Nirenstein

"Cari membri del Congresso e del Senato, ho un amore profondo per l'America e rispetto il presidente Obama, ma quell'accordo con l'Iran è un cattivo accordo. Se lo firmate sancite la distruzione del popolo ebraico e la rovina del mondo intero. E se questo avverrà e ci troveremo nella necessità di farlo, ci difenderemo da soli".

Chiaro, semplice, contenuto in toni bassi per placare le polemiche che hanno disegnato il viaggio di Bibi Netanyahu a Washington come una sfida al presidente americano Obama, pure il primo ministro israeliano non ha perso l'occasione, e senza mai alzare la voce ma senza rinunciare a esser diretto e anche duro ha ottenuto 23 standing ovation.

Perché l'America ama Israele, anche se Obama ha condotto la sua battaglia contro l'invito delle due Camere a parlare dell'Iran. Obama sapeva che Netanyahu la pensa in modo tale da trascinare il Congresso a un veto su un accordo troppo morbido, e si è innervosito. Del resto Netanyahu non gli è mai stato simpatico, anche se Bibi l'ha ringraziato delle mille volte in cui gli Usa hanno aiutato Israele.

Ma Bibi aveva uno scopo, e fra gli applausi l'ha perseguito: l'accordo cui in queste ore lavorano Kerry con il ministro degli Esteri iraniano Zarif in Svizzera è un errore fatale, simile a quello compiuto da Neville Chamberlain quando negò la pericolosità di Hitler, ha detto. Bibi è stato accompagnato da un coro di prefiche israeliane dato il periodo elettorale, che hanno previsto la fine dell'amicizia con l'America. Ieri, non si vedeva davvero: il premier israeliano ha entusiasmato le Camere unificate per la terza volta, unico premier che abbia avuto questo onore oltre a Winston Churchill.

La platea ha ascoltato con tesa attenzione, gli americani sentono in maniera molto diversa verso Israele rispetto al gelido opportunismo europeo. Anche dopo che 50 democratici che hanno annunciato la loro assenza ritenendo che il discorso programmato senza l'assenso di Obama fosse un affronto, e dopo un'intervista alla Reuters in cui Obama ha spiegato che niente è possibile se non la sua idea di accordo con l'Iran, pure Bibi è stato ascoltato da un pubblico pensoso e caldo, anche se ha detto cose che di sicuro hanno dato noia a Obama.

C'era la preoccupazione che Bibi rivelasse qualche particolare delle informazioni segrete dei servizi americani e israeliani: ma con signorilità dopo aver riempito Obama di ringraziamenti Bibi ha detto che i particolari dell'accordo si trovano anche su Google, e poi ha attaccato. Alla fine, Obama in sostanza ha dato a Bibi di fanatico nell'intervista, e Bibi lo ha tacciato di essere ingenuo e facilone. Tutto sottinteso, si capisce.

Netanyahu ha contestato il presidente americano suggerendo intanto di non firmare e di avviare una trattativa completamente diversa. Bibi ha un piano che consta di tre punti, sul cui sfondo deve brillare il rifiuto totale di lasciare centrifughe in mano all'Iran, e la lotta per i diritti civili, disprezzati e fatti a pezzi dal regime islamista estremo dell'Iran, dove si impiccano gli omosessuali e si perseguitano le donne. Bibi ha giocato i suoi dadi: stanno ruzzolando, ed è già tanto nel mondo di Obama.

IL FOGLIO - Giuliano Ferrara: "Il gladiatore va al Congresso"


Giuliano Ferrara

Churchill aveva molto sense of humour. Bibi Netanyahu, come ci ha raccontato Giulio Meotti, ne è totalmente sprovvisto. Ma ha il dono della parola chirurgica, e con il discorso di ieri al Congresso degli Stati Uniti (il terzo in ordine di tempo, privilegio condiviso con il solo Churchill) ha fatto sanguinare i sognatori e i politicanti, che spesso sono la stessa persona, intenti a legittimare la via al nucleare degli ayatollah iraniani per un risultato da vendere come la famosa “peace in our time” promessa dopo la conferenza di Monaco da Chamberlain. Sono grato a Obama e al Congresso, a tutto il popolo americano e alle sue istituzioni, per quanto hanno fatto e fanno per sostenere Israele e con Israele un assetto del mondo sottratto ai lupi rapaci del radicalismo islamico, ha esordito il primo ministro.

Ma ora la sfida del nucleare iraniano è esistenziale, un medio oriente nuclearizzato è un incubo, e un accordo migliore di questo “very bad deal” è l’alternativa per la quale bisogna lavorare senza tentennamenti, e sono sicuro che alla fine l’America sarà dalla mia parte, ha concluso. L’atmosfera era da stadio, come si dice. Le ovazioni, in piedi, non finivano mai. Il discorso di cinquanta minuti ha puntato subito sulla natura rivoluzionaria, nel senso di jihadista, del regime islamico militante che ha preso su di sé la missione di conquista e assoggettamento degli infedeli nel lontano 1979. In regime di sanzioni gli iraniani si sono già presi Baghdad, Beirut, Damasco e Sanaa – ha detto Netanyahu nella sua lingua autorevole, pesante, razionale, consequenziale – e i contenuti dell’accordo in dirittura d’arrivo, quelli che puoi verificare su Google, non c’è bisogno di intelligence, sono pessimi.

Se il segretario di stato John Kerry siglerà il testo in elaborazione a Ginevra, secondo il capo di Israele, l’infrastruttura per l’arricchimento dell’uranio sarà parzialmente ridotta ma resterà intatta, solo disconnessa, e per un periodo che nella storia delle nazioni e delle generazioni è un “battito di ciglia”, dieci anni. La fine delle sanzioni non avrà in contropartita alcuna attenuazione dell’aggressività internazionale iraniana. Il contrasto tra gli ayatollah e lo stato islamico è una lotta di potere nel jihad, è un deadly game of thrones (e qui Bibi ha occhieggiato al fantasy drama della Hbo, con un abbozzo di umorismo macabro): in questo caso, e ha inciso le parole fra gli applausi scroscianti, il nemico del tuo nemico è un tuo nemico.

Il gladiatore israeliano non ha risparmiato nessuno degli argomenti efficaci: si è fatto beffe degli ispettori, che possono constatare le violazioni di un accordo ma non fermarle, e il break out, il tempo entro cui si può passare alla bomba, è troppo breve per essere decentemente sopportato. Ha citato il cheating, la truffa, come una caratteristica comprovata dell’atteggiamento e della pratica iraniana in fatto di nucleare lungo gli anni (menzionato il caso analogo e penoso della Corea del nord). Poi ha usato il linguaggio sprovveduto di Kerry, famoso gaffeur, quando ha definito “legittimo” il progresso controllato verso il nucleare di Teheran nell’arco dei dieci anni, vero oggetto dell’accordo di cui, ha aggiunto, “loro hanno bisogno più di quanto noi ne abbiamo bisogno”.

Linguaggio semplice ma non spiccio, Bibi, amico personale di mezzo Congresso, ha spersonalizzato il conflitto con la presidenza Obama e così lo ha reso politicamente incandescente. Si è posto retoricamente sopra ogni forma di partisanship, fino a citare le ragioni esistenziali e profetiche del popolo ebraico in nome di Mosè e della regina Ester, e così ha inferto colpi duri al partito dell’accordo. Non ha alluso neanche per un istante alla guerra, così ha potuto rifiutare senza attenuazioni una pace che giudica falsa, fondata su una resa all’inevitabile, la fine di una necessaria resistenza. L’Iran spinge disperatamente per un accordo entro la fine del mese, che comprenda l’immediato rilascio delle sanzioni (mal sopportate da Europa, Cina e Russia).

L’ex portavoce dei primi negoziati (2003-2005), oggi “studioso” a Princeton, Seyed Hossein Mousavian, aveva spiegato ieri mattina al Daily Telegraph quello che il ministro degli Esteri iraniano Zarif non può ragionevolmente rendere pubblico: se non firmate ci ritiriamo dal trattato di non proliferazione nucleare e vi costringiamo da posizioni regionali di forza a una guerra. Netanyahu non si lascia impressionare e mette Barack Obama in seri guai.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Ai banchi del mercato va in scena lo scontro: 'Campagna elettorale' "


Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"

Noam, venditore di formaggi, ascolta alla radio Netanyahu al Congresso Usa e ringrazia il cielo di aver dato ad Israele «un premier coraggioso» mentre Avi, che offre shwarma alla clientela, impreca contro il premier «perché è un politicante, pensa solo ad essere rieletto, non gli interessa nulla né dell’Iran né di noi».

Fra i banchi del mercato di Machanè Yehuda pulsa il cuore di Israele ed ascoltando in tempo reale la reazione a quanto avviene a Washington si ha l’impressione che la spaccatura su Netanyahu sia diventata più netta. Sostenitori ed avversari sono più loquaci, gli incerti tendono a schierarsi. La polarizzazione su Netanyahu in un angolo di Israele come questo mercato, tradizionale roccaforte del Likud, lascia intendere che le ultime due settimane di campagna saranno assai combattute. A credere che il premier ce la farà a vincere è Naftali Bennett, leader di «Casa Ebraica» alla destra del Likud, che plaude al discorso al Congresso e gli assicura «pieno sostegno» in sintonia con i commenti che arrivano dalle stazioni radio delle comunità ultraortodosse. «Netanyahu ha avuto la forza di dire all’America di evitare concessioni sul nucleare all’Iran» spiega l’ex generale Jaacov Amidror riassumendo l’opinione degli elettori del centrodestra. Yizhak Herzog, leader del centrosinistra, reagisce con un discorso nel Negev accusando Netanyahu di «non aver detto nulla di nuovo ma aver incrinato i rapporti con l’America». «Il premier sa solo parlare di paura - aggiunge Herzog - mentre gli israeliani vogliono speranza». Zehava Gal-on, leader del Meretz alla sinistra di Herzog, aggiunge «Netanyahu è un prepotente». E tutti ora aspettano i sondaggi del dopo-discorso per capire se è davvero riuscito a modificare una sfida elettorale testa a testa.

LA REPUBBLICA - Arturo Zampaglione: "Un appello di impatto che smonta l'accordo"


Daniel Pipes

Presidente da vent’anni del Middle East Forum, un think tank conservatore, e considerato un “falco” sulle questioni medio-orientali, Daniel Pipes mette le mani avanti: «Non sono mai stato tenero nei confronti di Benjamin Netanyahu». Una premessa, questa, che serve a Pipes per non apparire schiacciato sulle posizioni del premier israeliano: eppure il suo giudizio del discorso di ieri al Congresso è a dir poco entusiasta. «È stato un testo scritto e pronunciato in modo brillante», dice Pipes a Repubblica: «Ha toccato tutti i punti-chiave del problema iraniano intrecciando l’intelligenza del ragionamento con appelli molto emotivi».

Perché la Casa Bianca si era opposta con tanta tenacia alla visita del premier? I giornali conservatori hanno parlato di sei settimane di “capricci”. «Lo si è capito bene ascoltando il discorso: il premier ha smontato sistematicamente tutte le posizioni di Obama e dei suoi negoziatori, avvertendo che il risultato delle trattative sarà di spianare la strada alla bomba atomica iraniana e che non bisogna credere che l’attuale regime di Teheran sia meglio dei precedenti».

Ritiene che il premier israeliano sia stato in grado di cambiare le opinioni dei politici Usa e gli orientamenti della Casa Bianca in un momento in cui l’accordo con Teheran appare a portata di mano? «Al Congresso non si sta discutendo se bombardare o meno gli impianti atomici iraniani, ma più semplicemente se mantenere l’arma delle sanzioni economiche nei confronti del regime iraniano, come si apprestano a chiedere i repubblicani in una risoluzione con un alto valore simbolico».

Perché un provvedimento del genere sia al riparo dal veto presidenziale occorre una maggioranza dei due terzi: non sarà facile, visto che oltre cinquanta democratici hanno boicottato il discorso del premier. «A me sembra invece che le parole di Netanyahu abbiano fatto breccia — nel Congresso come nel paese — e che non sia quindi impossibile ottenere una maggioranza ampia a favore delle sanzioni commerciali. Di qui il la mia valutazione positiva. Aggiungo che il discorso aiuterà il premier nelle prossime elezioni, perché gli israeliani apprezzeranno la sua statura internazionale».

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