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Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
18.02.2015 Libia: tribù e fazioni in guerra civile, mentre Hamas minaccia l'Italia
Analisi di Guido Olimpio, commento di Carlo Panella

Testata:Corriere della Sera - Libero
Autore: Guido Olimpio - Carlo Panella
Titolo: «Tribù e fazioni - L'Europa scappa dalla guerra, ma anche Hamas ci minaccia»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/02/2015, a pag. 6, con il titolo "Tribù e fazioni", l'analisi di Guido Olimpio; da LIBERO, a pag. 2-3, con il titolo "L'Europa scappa dalla guerra, ma anche Hamas ci minaccia", il commento di Carlo Panella.

Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio: "Tribù e fazioni"


Guido Olimpio

Città-Stato in guerra tra loro, un'infinità di milizie poco compatte, due governi, interessi di attori esterni. E' questa la Libia, vittima delle sue divisioni e dell'eredità lasciata da Muammar Gheddafi, un leader che ha gestito il Paese da capo clan senza dargli un vera struttura.

Sulla mappa brillano alcuni punti chiave. Partiamo da Est, a Tobruk, Cirenaica, luogo che evoca battaglie lontane. E' la sede del governo presieduto da Abdullah al Thani. Lo riconosce la comunità internazionale e ha l'appoggio del generale Khalifa Haftar. L'alto ufficiale ambisce al ruolo di uomo della Provvidenza. A lungo coccolato dagli Usa, dove ha vissuto, ha scatenato l'«offensiva Dignità» contro le milizie islamiche, Fajr, e i mujaheddin filo-Isis. Campagna condotta con la copertura — anche militare — di Egitto e Emirati Arabi Uniti. Haftar comanda quello che resta dell'esercito regolare libico e dispone di un'aviazione rimessa in linea con l'aiuto del Cairo.

Ancora a Oriente: Bengasi. Islamici di Ansar al Sharia e uomini del Consiglio rivoluzionario sono attestati in tre quartieri fronteggiati dai «regolari» e formazioni locali. Quadro comunque complesso perché gli estremisti bersagliano gli avversari con attentati, cecchini, omicidi e trappole esplosive.

Sempre nella zona est c'è Dema, il cuore del nascente califfato libico e culla di dozzine di volontari morti in Iraq dopo il 2003. A ottobre Ansar al Sharia e il Consiglio dei Giovani Thuwar hanno dichiarato fedeltà ad Al Baghdadi. A Derna opera inoltre la Brigata Battar, circa 800 uomini molti dei quali hanno combattuto a Deir Zor, Siria, e Mosul, Iraq. Hanno campi d'addestramento dove sono presenti anche elementi arrivati dall'estero. Una figura importante è stata quella di Sufian Bin Qumu: di recente sono circolate informazioni sulla sua morte dopo un ricovero in Turchia. Al fianco di Bin Laden in Sudan, poi con i talebani, è stato catturato dai pachistani e «passato» agli Usa che lo hanno rinchiuso a Guantanamo fino al 2007. In quell'anno è stato mandato in Libia dove ha trascorso un altro anno di prigione per essere poi liberato da Gheddafi. Sin dai primi giorni della rivolta si è imposto come capofila di una fazione ultra-integralista ed è stato anche sospettato di aver partecipato all'assalto contro il consolato Usa di Bengasi.

In queste ore la città più osservata è Sirte. Alla sua periferia hanno girato il video con la decapitazione dei copti e da qui l'Isis ha lanciato le sue minacce. Ora è circondata da più lati e i seguaci del Califfo hanno abbandonato molte posizioni, un ripiegamento tattico per evitare conseguenze peggiori. I responsabili sarebbero Ali Qiem Al Garga'i e due emissari di Al Baghdadi, un saudita e un mauritano distaccati dal movimento in qualità di consulenti.

Misurata era e resta una realtà particolare. Conta su una miriade di organizzazioni — oltre 300 — molte delle quali dotate di armamento pesante e alcuni caccia, da vero esercito. È l'apparato più potente e temprato. Le unità ricadono sotto tre grandi cartelli politici: i Fratelli musulmani di Al Sahib, gli ex membri del Gruppo combattente libico (fazione che fu pro Qaeda), una formazione più estrema della Fratellanza. La linea principale sostiene il governo ribelle ma alcuni esponenti hanno compiuto passi per negoziare anche con gli avversari.

A Tripoli cerca di imporre la propria autorità il governo parallelo di Omar al Hassi ostile a quello di Tobruk. Alle sue spalle la Fratellanza, la Turchia e la milizia Fajr, formata in gran parte dai veterani di Misurata. Il quadro è reso confuso dalla presenza di gruppi di autodifesa nati in alcuni quartieri, come Abu Selim e Wershefana. Erano al fianco di quelli di Zintan, ma dopo la loro sconfitta sono venuti a patti con Al Hassi. Non per sempre. Nella capitale si fanno notare i mujaheddin del Wilayat Trabulus, islamisti in favore del Califfato.

Le milizie di Zintan, attestate sui monti Nafusa, sono schierate con il governo legittimo e rappresentano la seconda forza militare del Paese. Uno schieramento che ha avuto, durante l'insurrezione, un aiuto diretto da parte degli Emirati.

Ancora a ovest ci sono Bani Walid e Gharian favorevoli ad Al Thani mentre in altre località lavorano con gli islamisti ma sempre con mille distinguo. L'ultima conferma di come sia complicato il puzzle chiamato Libia.

LIBERO - Carlo Panella: "L'Europa scappa dalla guerra, ma anche Hamas ci minaccia"


Carlo Panella

L'Europa, per bocca del portavoce di Federica Mogherini, sbaglia al solito e completamente i toni nell’affrontare la crisi libica: «L’opzione militare non è la soluzione al conflitto. Bisogna incoraggiare il dialogo fra tutte le parti in Libia che include tutte le parti libiche». Dando per scontato che è sempre preferibile il dialogo  all'intervento militare, è assolutamente sbagliato - e perdente - dichiarare che «l'opzione militare non è la soluzione».

In Libia, infatti la diplomazia, in primis quella italiana - eccellente - non riesce da due anni a concludere il dialogo perché tutte e due le parti si fanno ferocemente guerra. Ieri, ma non è una novità, l'aviazione agli ordini del governo - illegittimo - di Tripoli ha bombardato le “milizie di Zintan”, fedeli al governo - legittimo - di Tobruk. Questo quanto a “dialogo”.

In questo contesto, è indispensabile ribaltare il ragionamento e minacciare le parti di essere pronti ad una azione militare in ambito Onu,con forze soverchianti rispetto a quelle libiche, proprio per obbligarle a trovare un accordo, pena la certezza di soccombere. È la vecchia, saggia norma del “Si vis pacem, para bellum”, che convince perfino il Vaticano, visto che proprio ieri il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ha affermato che per la situazione in Libia è necessario intervenire, sotto l’egida dell’Onu s’intende. «Qualcosa deve essere presto fatto» ha detto, ma sotto l'ombrello dell'Onu».

Ancora più incredibile è questo approccio di Federica Mogherini, alla luce del precedente siriano. Anche per quella crisi, infatti, la diplomazia europea, l'Onu e anche la Farnesina sotto la guida di Emma Bonino, hanno sostenuto che «la soluzione non è militare, ma solo politica». Il risultato è noto: i vertici di mediazione denominati “Ginevra1” e “Ginevra2” sono falliti vergognosamente, le parti hanno continuato a spararsi, nel marasma si è imposto il Califfato e i morti hanno superato i 200.000.

Ieri, comunque, ci sono state due novità. La prima è che è stato convocato per oggi il Consiglio di Sicurezza Onu. Successo non piccolo della diplomazia italiana che da più di un anno, invano, chiede di investire al massimo livello le Nazioni Unite per la soluzione della crisi libica. Ma la novità vera è che a fronte del nulla proposto da Federica Mogherini, dalla Francia e dalle cancellerie europee, l'Egitto ha dichiarato che chiederà una risoluzione che allarghi al territorio libico la risoluzione già adottata per l'Iraq e la Siria che autorizza a combattere i miliziani del Califfato. È evidente che al Sisi punta molto sull'appoggio della Russia di Putin - che ha sostituito gli Usa come alleato del Cairo - per ottenere questo risultato, così come conta sul palese imbarazzo e l'afasia di Obama per imporre un assenso anche a Washington e a Londra. Se l'operazione avesse successo, le nazioni che già sono autorizzate a bombardare e a combattere le milizie del Califfato in Iraq e Siria, potrebbero con pieno diritto effettuare le stesse operazioni anche in Libia. Soluzione che l'Egitto dichiara di voler mettere al più presto in pratica effettuando operazioni con l'esercito e i blindati, contro le basi jihadiste a Derna, Sirte e a Bengasi.

In questo senso, sempre ieri, l'Egitto ha annunciato che sta organizzando con gli alleati arabi, Giordania, Arabia Saudita e paesi del Golfo, una “Forza Araba” che combatta ovunque le milizie dello Stato islamico. Segno che lo sgozzamento barbaro dei 21 copti egiziani della settimana scorsa (dopo l'orrendo rogo in cui è stato bruciato vivo il pilota giordano) ha dato una sferzata alla capitali arabe sunnite, sinora molto tiepide nel contrasto al Califfato. È comunque molto difficile che le Nazioni Unite autorizzino a combattere il Califfato in Libia, non fosse altro per il timore, che sicuramente rappresenterà pesantemente la Turchia, che l'Egitto non si limiti a colpire le basi libiche dei terroristi del Califfato, ma che attacchi anche le basi militari delle “milizie di Misurata”o comunque fedeli al governo islamista di Tripoli (protetto dalla Turchia di Erdogan).

Tra le nazioni che già contrastano l'Isis in Mesopotamia, come è noto, vi è anche il nostro paese, che però sinora si è limitato alla fornitura di armi ai curdi, a inviare aerei da ricognizione e a addestrare truppe. A questo proposito Hamas ha minacciato l'Italia, dichiarando «di essere contraria in modo categorico a un intervento della comunità internazionale in Libia, in particolare da parte di alcuni paesi come l'Italia che adducono pretesti, come la lotta al terrorismo, per intervenire negli affari interni della Libia. Consideriamo, questa una nuova crociata contro i paesi arabi e musulmani!». Una presa di posizione oltraggiosa, da girare immediatamente alle anime belle dei parlamentari della sinistra che auspicano un riconoscimento dello Stato di Palestina che vedrebbe Hamas in posizione egemone al governo.

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