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Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.02.2015 Il disegnatore svedese tra censura e autocensura
Lars Vilks intervistato da Marco Imarisio

Testata: Corriere della Sera
Data: 16 febbraio 2015
Pagina: 8
Autore: Marco Imarisio
Titolo: «Vilks, l'artista svedese nel mirino: 'Abbiamo accettato l'autocensura'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/02/2015, a pag. 8, con il titolo "Vilks, l'artista svedese nel mirino: 'Abbiamo accettato l'autocensura' ", l'intervista di Marco Imarisio al disegnatore svedese Lars Vilks.

 
Lars Vilks

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La vignetta che anche oggi nessun quotidiano ha avuto il coraggio di pubblicare

«Io non sono sorpreso, e mi stupisco che lo siano gli altri. Questa è gente dalla memoria lunga, molto lunga. Lo dico sempre alle associazioni o agli amici che mi invitano a parlare nei loro convegni. Non dimenticano. E io sono il più facile dei bersagli». Saranno i paradossi della sicurezza scandinava, di un sistema sociale che forse non comprendiamo del tutto, nel suo impasto di liberalismo e rigidità luterane. Ma alle tre del pomeriggio l’uomo che doveva morire nell’attentato di Copenaghen, il probabile bersaglio di quelle raffiche di mitra, portato in una località segreta e sorvegliato a vista, risponde subito al numero di un cellulare svedese che risale al 2008. E dopo il canonico «non posso parlare» si lascia andare, a lungo, mentre intorno a lui si intuisce un notevole trambusto.

«Stanno allestendo il mio nuovo rifugio. Negli ultimi 8 anni in fondo ne ho cambiati solo una ventina. Mi creda però, non sono spaventato. Mi aspetto che possa accadere in ogni momento, sono preparato». Lars Vilks non deve essere un uomo semplice. Lo si capisce da come cambia il tono della voce quando l’interlocutore incautamente lo definisce «a cartoonist». «Io non sono un vignettista, io sono un artista!», ribatte piccato, come se la distinzione avesse molta importanza, in questa situazione. «La differenza è che non faccio provocazioni, faccio arte. E l’arte ha ogni diritto di essere irriverente, anche blasfema». L’uomo che nel settembre del 2007 disegnò un Maometto-cane, ha spesso sottolineato la sua equidistanza nell’andarci pesante sulla religione, mostrando le sue opere che dileggiano quella cattolica, portando in giro per il mondo statue di legno che raffiguravano suore molto languide e discinte. «Ma nessun vescovo, neppure il più bigotto, sa della mia esistenza. Questo dovrebbe chiudere ogni discorso sul grado di intolleranza di un certo Islam, e dell’autocensura che ormai abbiamo incorporato dentro di noi. A Copenaghen dovevamo parlare di questo, di come l’attentato a Charlie Hebdo abbia raggiunto il suo scopo, che non era solo l’eliminazione fisica dei miei amici francesi. Adesso la gente ha ancora più paura. Io no, per quello che conta».

Le voci intorno a Vilks diventano sempre più concitate. Gli viene chiesto se davvero fosse ormai senza scorta, e solo un suo appello pubblico dopo i fatti di Parigi abbia nuovamente fatto innalzare intorno a lui il «livello di attenzione». «In un certo senso è così», risponde. «Non mi avevano proprio lasciato solo, questo non è corretto dirlo. Ma avevo percepito un calo di tensione nei miei confronti. Diciamo che sono abituato a salvarmi la vita, sono un vecchio rompiscatole che ci tiene ancora alla pelle...». L’incontro di Copenaghen era la sua prima uscita pubblica dell’anno nuovo. Nell’ottobre del 2014 aveva consegnato di persona a Charb, il direttore di Charlie Hebdo , un premio assegnato dal comitato che porta il suo nome, nato per sostenere la libertà di espressione. «No, neppure io, che non sono certo un ottimista, avrei mai immaginato quel che è successo a Parigi. Mai, neanche nei miei incubi peggiori. I fratelli Kouachi sono stati uccisi ma hanno vinto, perché hanno creato un nuovo livello di paura e di intimidazione. Il loro messaggio rischia di passare. Tenga presente che quando mi invitano, io spesso accetto. Poi, all’ultimo momento, gli eventi vengono cancellati con le scuse più strane, che si possono riassumere sotto la parola paura. Figurarsi dopo Charlie Hebdo . Anche per questo, per mandare un messaggio di segno contrario, avevo accettato l’invito al dibattito di Copenaghen». Se davvero si trattava di un nuovo inizio, non è andato bene, proprio no. «Non ho fatto in tempo a vedere molto, anche il panico l’ho solo percepito. Mentre tutte le persone nel locale si gettavano sotto i tavoli, le mie due guardie del corpo invece si sono gettate sopra di me, coprendomi con i loro corpi. Poi mi hanno sollevato di peso e gettato in una stanzetta».

Quando si è rialzato ha fatto in tempo a vedere gli sguardi stravolti, a sentire le grida di panico. Lui non ha detto nulla. Se lo aspettava, era l’unico a essere preparato. In fondo Lars Vilks è pur sempre il paziente zero di questa epidemia di intolleranza che sta contagiando l’Europa.

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