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La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
16.02.2015 In Europa ebrei sotto tiro. E' la situazione più grave dopo la Shoah
Analisi di Maurizio Molinari, commento di Pierluigi Battista, critica di IC a due articoli di Repubblica

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Pierluigi Battista
Titolo: «Le comunità ebraiche sotto tiro: così l'Europa si sta svuotando - Attacco agli ebrei e alla libertà»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/02/2015, a pag. 9, con il titolo "Le comunità ebraiche sotto tiro: così l'Europa si sta svuotando", l'analisi di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 1-9, con il titolo "Attacco agli ebrei e alla libertà", il commento di Pierluigi Battista; seguono alcune nostre riflessioni sugli articoli di Gad Lerner e Fabio Scuto, pubblicati su REPUBBLICA.

Ecco gli articoli:


Un ebreo osservante di fronte a scritte antisemite

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Le comunità ebraiche sotto tiro: così l'Europa si sta svuotando"


Maurizio Molinari

«I nostri fratelli d’Europa non si sentono più al sicuro, per questo arrivano». Joseph Sitruk, ex rabbino capo di Francia immigrato in Israele, parla ai fedeli della sinagoga Ramban, sulla Amatzia Street, per spiegare l’ondata di arrivi da Francia e Belgio, accompagnata da numeri più esigui ma crescenti di olandesi e britannici. Ramban è una sinagoga di «German Colony», quartiere di immigrati anglofoni ma sulla centrale Emek Refaim si ascolta sempre più spesso il francese e l’attesa dei residenti si concentra sull’imminente apertura di «Nes», pasticceria parigina.

L’eroe della sinagoga
«Fra poco arriveranno anche i danesi» commenta Yaakov, strillone di «Israel Ha-Yom» dalla tuta interamente rossa, commentando le notizie dell’attentato di Copenhagen che inondano i radiogiornali. La trasformazione di questo angolo di Gerusalemme da cittadella di americani in mosaico europeo descrive l’impatto di una «alyà» - immigrazione - dal Vecchio Continente che pochi avevano previsto. L’eroe del giorno, sulla bocca di tutti, è Dan Uzan, trentenne ebreo danese morto davanti alla sinagoga di Copenhagen per impedire ai terroristi di fare strage in una festa di «bat mitzwa» - maggiorità religiosa - affollata di bambini. Uzan era uno dei volontari ebrei che affiancano la polizia danese nel proteggere sinagoghe e scuole: è una realtà che esiste in ogni Comunità d’Europa evidenziando la situazione di assedio in cui vivono gli ultimi 1,4 milioni di ebrei del Vecchio Continente.

È a loro che il premier Benjamin Netanyahu si rivolge, aprendo la seduta del governo, invitandoli a «venire in Israele dove sono a casa» perché «Copenhagen segue l’attentato di Parigi ed è un’ondata che continuerà». Israele stanzia 46 milioni di dollari d’emergenza per sostenere gli arrivi da Francia, Belgio e Ucraina: si tratta di investimenti in scuole e posti di lavoro in loco ma anche di fondi per l’Agenzia Ebraica, tornata a svolgere un ruolo che evoca quanto fatto al termine degli anni Quaranta. Gli «inviati» dell’Agenzia sono in Ucraina per organizzare fughe spericolate di intere famiglie dalle zone dei combattimenti come nelle più isolate località francesi per andare incontro a chi ha scelto la fuga. A descrivere il trauma collettivo in corso vi sono le divergenze nelle Comunità più colpite. Il gran rabbino di Danimarca, Michael Melchior, contesta Netanyahu perché «il terrorismo non è un motivo per fare l’alyà» mentre Yitzchok Loewenthal, rabbino Chabad di Copenhagen, parla di «famiglie chiuse in casa nel timore di subire aggressioni».

«L’Ue fa lo struzzo»
Ronald Lauder, presidente del Congresso mondiale ebraico, chiede alla Danimarca di «proteggere gli ebrei» e ai governi dell’Unione Europa di «riconoscere che è un’ondata di violenza in crescita». «L’Europa tenta di nascondere la testa nella sabbia - commenta da Bruxelles Menachem Margolin, direttore della European Jewish Association - e non fa abbastanza né per la sicurezza né per l’educazione». Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri israeliano, descrive gli ebrei europei come «i più esposti al pericolo del terrorismo perché sono la trincea del mondo libero davanti alla barbarie». Sitruk rimprovera all’Europa di «non aver reagito agli attentati alla scuola di Tolosa nel 2012, al museo ebraico di Bruxelles nel 2014 e al brutale sequestro e omicidio del parigino Ilan Halimi nel 2006».

Ne sono rimasti 1,4 milioni
A spiegare tale «ritardo» è Dina Porat, direttrice del Centro Kantor dell’Università Ebraica di Gerusalemme, nonché considerata la più autorevole studiosa dell’antisemitismo contemporaneo: «Assistiamo a un fenomeno nuovo, come spesso avvenuto nella Storia l’odio contro gli ebrei si manifesta con caratteristiche diverse ed in questo caso il nuovo simbolo del Male è la fusione ebrei-Israele». Si tratta, aggiunge Porat, «di un antisemitismo violento e di matrice religiosa che vede convergere jihadismo, terrorismo e neonazismo» anche grazie «a quanto avviene fra gli immigrati musulmani dove la ricerca di identità porta i più estremisti a cercare il nemico negli ebrei».

C’è tale dinamica all’origine dell’esodo fotografato dalla ricerca del Pew Research Center, curata dal demografo Sergio Della Pergola, secondo cui nel 1945 circa il 35 per cento degli ebrei del mondo viveva in Europa ma ora si è ridotto al 10 per cento. In termini numerici la riduzione è ancora più evidente perché si passa dai 3,8 milioni del 1945 ai 2 milioni del 1991 fino ai 1,4 milioni odierni: negli ultimi 14 anni dunque, in coincidenza con il boom di immigrazione musulmana, se ne sono perduti 600 mila.

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "Attacco agli ebrei e alla libertà"


Pierluigi Battista

Dopo gli attentati di Copenaghen, dire che la libertà europea è nel mirino degli jihadisti non è solo una formula retorica, ma la fotografia di una dichiarazione di guerra. Il simbolismo dei bersagli e dei messaggi è chiarissimo oramai. Gli islamisti hanno attaccato un convegno sulla libertà d’espressione con l’ambasciatore francese presente.

Tutto questo a un mese o poco più dalla strage nella redazione di Charlie Hebdo. Poi hanno profanato un cimitero ebraico, hanno distrutto centinaia di tombe, hanno profanato un monumento alla Shoah. Gli ebrei sentono sempre meno l’Europa come la loro casa. Cresce l’istinto di fuga da un’Europa che ha chiuso gli occhi da anni, anche quando gli islamisti hanno fatto strage in una scuola ebraica. La libertà e le sinagoghe devastate. Le parole libere e gli ebrei. L’arte libera e gli «infedeli», i «crociati», i quartieri ebraici, i cimiteri, il ricordo dell’Olocausto. L’Europa viene aggredita nel punto in cui dovrebbe essere orgogliosa: la libertà. La libertà nemica numero uno dei fondamentalisti e dei fanatici. Non vogliono altro che l’Europa rinunci a se stessa. La vogliono soggiogare culturalmente. La vogliono umiliare nei valori che le sono più cari. È una guerra di conquista culturale. Ma l’Europa sembra aver smarrito la sua bussola culturale, la fierezza di sé, la sicurezza nella forza dei propri valori.

La libertà europea è sulla difensiva. Se a Londra gli amici dello jihadismo portano cartelli in cui si sbandierano strumentalmente le parole di Francesco sul «pugno» che meritano quelli che offendono la religione, vuol dire che la trincea sta smottando, che il fronte in difesa della libertà è fragile e impaurito. Per qualche giorno tutti hanno portato come un simbolo d’onore «Je suis Charlie». La marcia repubblicana di Parigi è apparsa una prova di compattezza, di solidarietà, di vicinanza non solo alle vittime di Charlie Hebdo e agli ebrei uccisi nel supermercato kosher alla vigilia dello Shabbath. Ma l’unità è durata pochissimo. Si è imposta la retorica dei distinguo.

L’oggetto del dibattito si è spostato: non più l’ideologia omicida degli stragisti che fanno una carneficina di vignettisti armati soltanto di una matita, ma «gli eccessi» della satira, l’intoccabilità delle religioni, i limiti che la libertà si deve dare. Il Victoria and Albert Museum ha ritirato e nascosto un ritratto di Maometto, neanche offensivo, ma non si sa mai. Durante il Carnevale di Colonia un carro allegorico di solidarietà a Charlie Hebdo è stato vietato. In America una grande casa editrice pubblica un volume sulle «vignette della discordia» ma evita accuratamente di riprodurle per «non offendere». L’Internazionale degli invisibili, tutti quei vignettisti, scrittori, professori, giornalisti che in Europa e in America sono spariti in questi anni dalla circolazione perché raggiunti da una condanna a morte sono di nuovo tornati nel dimenticatoio, presenze inquietanti.

Quando hanno sgozzato Theo Van Gogh, il regista olandese di «Submission» ammazzato in Olanda perché «blasfemo», nessun festival ha voluto ospitare la pellicola. Altro che libertà d’espressione. Lo stesso Michel Houellebecq, che pure si è affrettato a spiegare che il suo romanzo «Sottomissione», in cui si racconta l’ascesa di un presidente musulmano a Parigi, non è contro l’Islam, vive in costante pericolo. Il pericolo che gli ebrei d’Europa vivono oramai con angoscia quotidianamente. Perché c’è un nesso inscindibile tra l’odio per la libertà, le libertà civili, la libertà della donna, la libertà della cultura, la libertà dell’istruzione, e l’odio antisemita.

L’Europa è già stata infettata nella sua storia da questo intreccio perverso di totalitarismo e odio antiebraico. Non capire che è questa la posta in gioco, che le bandiere nere che oramai sventolano in Libia, le cellule islamiste che fanno strage nel cuore delle metropoli, gli attentatori che vogliono macchiare il ricordo della Shoah, oggi vogliono che l’Europa si ripieghi in se stessa, che vinca la paura, l’autocensura, il linguaggio prudente e omertoso. E che perciò dare una mano ai fanatici con sottili atti di disamore nei confronti delle libertà così come le conosciamo, con un’enfasi sui «limiti» della libertà, come se le vittime se l’andassero a cercare, come se la critica fosse un’«offesa», tutto questo rappresenterebbe l’anticamera della sconfitta. E la vittoria dei fanatici, degli antisemiti, di chi odia l’Europa e la sua libertà. E che vuole cacciare gli ebrei dall’Europa. Di nuovo, la grande vergogna.


Gad Lerner                   David Grossman

LA REPUBBLICA pubblica oggi un articolo di Gad Lerner in cui il giornalista ricostruisce la storia della messa in salvo della maggioranza degli ebrei danesi durante la Seconda guerra mondiale ad opera di numerosi danesi non ebrei, a partire dal re Cristiano X. Lerner, però, utilizza questa vicenda per attaccare le affermazioni di Netanyahu, il Primo ministro dello Stato di Israele, che ieri si è rivolto agli ebrei danesi ed europei ribadendo come Israele sia una casa accogliente per tutti gli ebrei del mondo, a partire da quelli vittime dell'antisemitismo in Europa. E' proprio questo ultimo aspetto che viene sistematicamente sottovalutato da Lerner.

Segue, sempre su Repubblica, una intervista di Fabio Scuto allo scrittore David Grossman. Anche in questo caso il discorso si incentra non sul drammatico crescere dell'antisemitismo in Europa; né sulla diffusione endemica dello stesso tra i musulmani, europei e non; né su quello che l'Europa potrebbe e dovrebbe fare per garantire la sicurezza ai propri cittadini ebrei; si parla, invece, ancora una volta delle affermazioni di Netanyahu, bollate in modo semplicistico come mera "propaganda elettorale".

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