Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/02/2015, a pag. 4/5 gli articoli di Guido Olimpio, Fabrizio Caccia, Virginia Piccolillo sulla Libia.
Guido Olimpio: "Libia porta strategica degli islamisti. E dietro quel varco il nostro paese"
Dal commento di Olimpio si apprende come un terrorista liberato da Guantanamo - abbiamo ancora nelle orecchie gli appelli per la liberazione di tutti i detenuti, ricordate ? - sia oggi alla guida di un groppo terrorista libico. Innocente anocora oggi, come lo si era ritenuto ieri ?
Guido Olimpio
Minacce e fatti. ll movimento che agita la bandiera nera ci punta: «Paolo Gentiloni è il ministro dell'Italia crociata», ammonisce al Bayan, radio di Mosul, la capitale irachena dell'isis. Un messaggio tornerà ancora in quanto rientra nel manifesto scritto dal Califfo e seguito da militanti libici. In questi mesi hanno ucciso centinaia di persone, vittime passate quasi sotto silenzio, ma sanno bene che la loro popolarità dipende molto dai nemici che si scelgono. Per questo evocano la «conquista di Roma», usano simboli come il Vaticano e la Torre Eiffel. Strategia di comunicazione combinata ad azioni violente, raffiche di mitragliatrice per ribadire il segnale di guerra. Ecco allora la propaganda intensa, i toni forti nella ricerca di nuovi avversari, le teste da far rotolare. Tutto con i tempi veloci e i metodi brutali dell'Isis. I jihadisti, sotto varie etichette, sono attivi in Libia da tempo. C'è chi ha raccolto l'eredità del vecchio «Gruppo islamico combattente libico», chi riconosce ancora il valore della Fratellanza (con suoi sponsor esterni, dal Qatar alla Turchia) e chi ha preferito scavalcarlo creando fazioni nuove, come Ansar al Sharia. Operazioni I militanti hanno intensificato le operazioni contro i soldati di Haftar .Poi i nuovi capi, come Abu Sufian bin Qumu, ex prigioniero di Guantanamo e oggi esponente radicale a Derna. O gli «anziani»: i liberati dalle prigioni di Gheddafi, i guerriglieri del conflitto iracheno. In coda gli indecisi, pronti a saltare sul carro vincente. Un vuoto caotico della rivolta anti-Gheddafi, il moltiplicarsi delle milizie arroccate attorno alle loro città, ha lasciato grande spazio e le correnti estreme hanno preso il sopravvento, ampliando la propria presenza nell'Est. A ottobre il Consiglio islamico giovanile di Dema ha dichiarato la propria fedeltà al Califfo, ovvero il leader Isis al Baghdadi, e lui ha risposto riconoscendo la nuova «provincia» — Wilayat —, includendo nei confini Cirenaica, Fezzan e Tripolitania. Un passo importante quanto formale. Un annuncio che ha aperto nuovi orizzonti: anche chi non è parte, ora può essere tentato ad unirsi alla fazione. L'opportunismo del momento unito all'attrazione rappresentata dall'Isis rischiano di coinvolgere nuovi gruppi. Si levano il «cappello» e indossano la maschera nera. L'eliminazione di un emiro può indurre i mujaheddin a cercare nuovi punti di riferimento. Per molti il Wilayat è diventata la terza branca nord africana del movimento siro-iracheno insieme al nucleo algerino Jund al Khalifa — responsabile della morte di un ostaggio francese — e agli egiziani di Beit al Makdes, ormai feroci tagliagole. Applicando quanto spiegato dagli ideologi Isis sul web e nella documentazione interna, gli islamisti hanno cercato di «consolidare» il territorio per poi conquistarne altro. Si parte dal basso, come è avvenuto a Raqqa e Mosul. I filo-lsis hanno introdotto regole di vita ferree a Barqa, hanno distrutto montagne di sigarette e alcolici, hanno amministrato la giustizia islamica con la consueta severità. Iniziative sempre rilanciate su Internet o altri canali per dimostrare di essere in pieno controllo. Nel contempo i militanti hanno intensificato le operazioni militari contro i soldati del generale Haftar e la forza Sawhat (Risveglio). Fonti americane hanno segnalato la presenza di campi d'addestramento nella parte orientale del paese. Covi sorvegliati dai droni Usa dove agirebbero dei veterani dei conflitti in Siria e nel Mali. Movimenti in parallelo a quelli nel Sud, lungo le piste desertiche che portano fino al Passo di Salvador, in Niger, attraversato dai nuovi carovanieri su pick up pieni di tutto, armi comprese, e qaedisti. È allora facile comprendere perché la propaganda del Califfo definisca la Libia come «la porta strategica» sul Mediterraneo. Dietro questo varco c'è l'Italia.
Fabrizio Caccia: " L'Isis minaccia: 'Gentiloni crociato' "
Ci auguriamo che non vengano espresse solo generiche solidarietà al Ministro Paolo Gentiloni, ma arrivino atti concreti, come bene ha dimostrato il consigliere nazionale di Forza Italia Alessandro Bertoldi, qui non si tratta di centro destra o centro sinistra, è dovere di ogni politico prendere posizione pubblicamente, il silenzio significa complicità.
Alessandro Bertoldi Fabrizio Caccia
Quattro mesi fa, sulla rivista online del Califfato, «Dabiq», apparve in copertina il fotomontaggio con la bandiera nera dell'Isis che sventolava su Piazza San Pietro. L'immagine destò scalpore. Ieri, però, la minaccia jihadista contro l'Italia si è fatta assai più concreta. La radio ufficiale dello Stato Islamico, «al Bayan», che trasmette dalla roccaforte Mosul, nel nord dell'Iraq, ha citato infatti per la prima volta direttamente il nostro Paese, riportando le dichiarazioni del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sulla Libia e definendolo "il ministro degli Esteri dell'Italia crociata". In un'intervista a SkyTg24, il ministro Gentiloni due giorni fa aveva annunciato che l'Italia è pronta a «combattere in Libia in un quadro di legalità internazionale» dopo che anche Sirte è caduta sotto l'avanzata. Nella notte tra venerdì e sabato, miliziani isiamisti libici legati all'Isis sono entrati a Sirte, a 450 chilometri da Tripoli • Sirte è la seconda città della Libia. I miliziani hanno stabilito il loro quartier generale nel centro e poi hanno occupato Radio Syrte e Radio Mekmedas che sono subito diventate il fulcro della propaganda dello Stato Islamico dell'Isis. «Non possiamo accettare l'idea che a poche miglia di navigazione ci sia una minaccia terroristica», aveva detto Gentiloni. L'Italia, dunque, da ieri è entrata ufficialmente nella lista nera dei nemici dello Stato Islamico ed è per questo che subito, intorno a Gentiloni, il governo italiano ha fatto quadrato. «Noi abbiamo detto all'Europa e alla comunità internazionale che è ora di farla finita di dormire — ha chiarito il premier Matteo Renzi al Tgi — . Non è che siccome siamo i più vicini alla Libia, tutti i problemi possono essere lasciati a noi. Ci vuole una missione Onu. E l'Italia è pronta, dentro una missione Onu, a fare la sua parte. Noi non partiamo da soli». Anche il ministro della Difesa Roberta Pinotti — via Twitter — ha manifestato a Gentiloni «vicinanza e sostegno». « Il pensiero che lui ha espresso è quello di tutto il Governo», ha voluto puntualizzare la Pinotti. E lo stesso ha fatto Angelino Al-fano, il ministro dell'Interno, parlando con RaiNews24: «Gentiloni ha riaffermato le nostre intenzioni sul tema della Libia» che resta «la nostra priorità» ed è necessario per questo che «da comunità internazionale spenga l'incendio». Intanto, però, la minaccia di ieri ha fatto salire il livello di attenzione: «Abbiamo un monitoragglo costante di tutti i possibili risèhi. L'allerta rimane elevatissima — ha concluso Alfano — Abbiamo riunioni continue tra i nostri migliori uomini dell'intelligence e delle forze dell'ordine per arrivare a fare previsioni il più possibile affidabili. Ma è chiaro che nessuno Stato, nessun Paese è a rischio zero...». Solidarietà al ministro degli Esteri è arrivata pure dall'opposizione. L'altoatesino Alessandro Bertoldi, consigliere nazionale di Forza Italia, ha deciso di lanciare sui social network perfino l'hashtag #JesuisGentIoni in segno di appoggio. La portavoce dei deputati azzurri, Mara Carfagna, invoca invece sul suo blog un intervento dello stesso Renzi in Parlamento «per spiegare cosa sta succedendo alle porte di casa nostra e qual è la strada che s'intende adottare». n presidente della commissione Difesa della Camera, Elio Vito, dà appuntamento infine al 19 febbraio: «Gentiloni va a dire in tv ciò che avrebbe dovuto dire prima in Parlamento. Comunque sia, giovedì a Montecitorio, c'è un dibattito sulla politica estera che avevamo chiesto da tempo. Ascolteremo il ministro che illustrerà la linea del governo e poi faremo le valutazioni di merito».
Virginia Piccolillo: " Il ministro: Italia in prima linea nella lotta al terrorismo. Non possiamo chiamarci fuori "
Sono molte le dichiarazioni sul genere 'teniamoci lontanti dalla Libia', ma occorre vedere se lo Stato islamico lo riterrà sufficiente. Guai dimenticare che la Libia è ormai nella mani dei terroristi. Un governo che lo dimenticasse, esporrebbe l'intera nazione alle decisioni criminali di nemici il cui linguaggio - insieme agli atti - non usa eufemismi.
Paolo Gentiloni Virginia Piccolillo
Lo ha scoperto dalle agenzie di stampa, Paolo Gentiloni, ieri, che da bersaglio di ironie sulla sua mitezza da «pompiere», era diventato, di colpo, obiettivo dell'Isis. Non si aspettava proprio che il suo nome venisse pronunciato da radio-terrore, l'emittente di Al Bayan nella capitale dell'Isis in Iraq, e definito «ministro degli Esteri dell'Italia Crociata». Minacce che hanno fatto subito scattare l'allerta al Viminale, facendo salire di livello l'attenzione sulla protezione del capo della Farnesina, già dotato di scorta. Ma soprattutto hanno causato un vorticoso giro di telefonate tra Palazzo Chigi e l'ambasciata di Tripoli per stabilire cosa fosse meglio fare. La decisione di chiudere la sede diplomatica era già stata presa. Assieme a quella di suggerire alla comunità italiana di lasciare il Paese. Ma, paradossalmente, è slittata per evitare di dare un seguito immediato alle dichiarazioni dei terroristi. Così, all'indomani di quelle dichiarazioni rilasciate a Skytg24, sull'Italia pronta a «combattere» in Libia, Gentiloni ha tentato di correggere il tiro. E in un convegno del Pd su «Come cambia il mondo» è tornato «pompiere». Nessuna citazione dedicata ai terroristi, ne alle accuse a lui dirette, quasi in tempo reale, per avere «detto che l'Italia è pronta a unirsi alla forza delle Nazioni atee». Ma di fronte a una platea, in cui è stata accolta con grande calore l'ex ministro degli Esteri, Emma Bonino (che ha auspicato un ruolo più forte dell'Italia sulla scena politica europea) Gentiloni ha ingranato la retromarcia. Sottolineando che parlava di lotta al terrorismo, non di guerra sul campo. E rimarcando che il nostro intervento sarà all'interno di una iniziativa Onu. Ma che non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità». «L'Italia è in prima linea nella lotta al terrorismo — ha detto Gentiloni — sul piano militare, politico, culturale. Questa battaglia dobbiamo farla anche in Libia di fronte alla minaccia terroristica che cresce a poche ore di navigazione». «Certamente — ha specificato — in una cornice Onu, ma non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità per ragioni geografiche, economiche e di sicurezza». Quasi a giustificare i toni poco felpati del giorno prima, il capo della diplomazia ha aggiunto: «Lo sto dicendo con nettezza in questi giorni perché so che la situazione si sta deteriorando».«Nessuno pensa a fare interventi al di fuori di un progetto politico — ha ribadito — ma dobbiamo renderci conto che il lavoro politico diplomatico deve essere una priorità». «Renzi — ha rimarcato il capo della Farnesina — ha molto chiara la situazione. Ma c'è da recuperare un ritardo enorme». Infine una metafora che dava il senso della burrasca emotiva vissuta ieri dopo l'anatema islamico: «Per navigare in questo mare in tempesta serve un grande impegno di governo e Parlamento. II terrorismo è una minaccia globale da non sottovalutare». Ma cosa accadrà ora? Giovedì prossimo Gentiloni potrebbe riferire in Parlamento la linea del governo sulla Libia. Tema già all'ordine di vari consigli di Affari Esteri d'Europa dove si è discusso di come rafforzare l'attività dell'inviato speciale delle Nazioni Unite per il Mediterraneo, Bernardino Leon, finora senza successo Ma la situazione è ormai in rapida evoluzione. E c'è chi chiede un cambio di passo all'Europa. Il presidente della Commissione difesa del Senato Nicola Latorre lo dice esplicitamente: «La Libia è la nostra Ucraina. Merita la stessa attenzione. Serve un mandato europeo per un'iniziativa politico-diplomatica che coinvolga tutti i Paesi del Mediterraneo: Italia, Egitto, Turchia, Tunisia, Algeria. Solo dopo si potranno esplorare altre vie». «Non esiste l'ipotesi di un intervento militare italiano in Libia», chiarisce il presidente della Commissione esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini. «Esiste, invece — conclude — , la necessità che l'Onu si assuma la responsabilità di convocare al più presto il Consiglio di sicurezza dell'Onu».
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/ 62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante