Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/02/2015, a pag. 2, con il titolo "Il Labor israeliano è tutto giustizia sociale, ma ha un leader invisibile", l'analisi di Rolla Scolari.
Rolla Scolari
Ytzhak Herzog Tzipi Livni
Herzog chi? Non è una nuova frecciata all’interno del Partito democratico, ma una constatazione sul voto del 17 marzo in Israele. Soltanto un israeliano su cinque ha un’opinione o ha sentito parlare di Yitzhak “Buji” Herzog, candidato premier e principale sfidante di uno dei più longevi primi ministri della storia del paese, Benjamin Netanyahu.
Herzog è il leader del partito laburista ma anche dell’Unione sionista, alleanza elettorale siglata assieme al movimento dell’ex ministro della Giustizia, Tzipi Livni: a marzo potrebbe ottenere i numeri per strappare la poltrona a Netanyahu. Secondo un sondaggio del sito Times of Israel condotto a febbraio, un robusto 20 per cento della popolazione non avrebbe idea di chi sia il politico che, oltre a essere figlio del sesto presidente israeliano – Chaim Herzog – è in Parlamento da dodici anni, è stato più volte ministro e fu segretario di gabinetto dell’ex premier Ehud Barak.
Benché sia in politica da oltre quindici anni, i numeri suggeriscono come Herzog non sia stato capace di lavorare alla propria immagine, neppure in un momento politico come quello che sta attraversando Israele in cui la questione principale del voto è proprio quella al centro del programma laburista. Il 48 per cento degli israeliani, infatti, andrà alle urne pensando alle sorti economiche del paese, il 19 per cento alle relazioni tra palestinesi e israeliani, soltanto il 10 per cento alla minaccia nucleare iraniana. E nonostante questi numeri e lo spazio che i laburisti dedicano ai temi sociali ed economici, soltanto il 19 per cento della popolazione ritiene Herzog il candidato adatto per affrontare i problemi dell’economia nazionale (Netanyahu non raccoglie maggiore fiducia sullo stesso tema: ha l’approvazione del 18 per cento degli israeliani).
Stav Shaffir
L’appuntamento elettorale, il secondo dal 2013, racconta la metamorfosi in corso nel Labor israeliano, “questo storico partito che ha fondato lo stato e lo ha modellato sul suo spirito”, come aveva scritto nel gennaio 2012 Naum Barnea, editorialista del quotidiano Yedioth Ahronoth. Già alle scorse elezioni, con l’assenza dalle liste dei rappresentanti dei kibbutz – le storiche comunità agricole fondate fino ad alcuni anni fa sul principio della proprietà comune – aveva sancito il progressivo spostamento del partito dai centri rurali alla classe media urbanizzata. Oggi, con l’aumento del costo della vita, al centro del dibattito politico del partito ci sono la classe media cittadina e la giustizia sociale. Già da diversi anni il processo di pace con i palestinesi, per lungo tempo cuore dell’agenda politica del movimento, è messo in secondo piano dai temi economici.
Shelly Yachimovich
La realtà militare nazionale incarnata da leader laburisti come Ehud Barak e, prima, Yitzhak Rabin – “un soldato diventato uomo di stato”, come è scritto nel necrologio che gli dedicò nel 1995 il New York Times – è più lontana dalla quotidianità di politici che, più che dalle file dell’esercito, arrivano dalle redazioni dei giornali, come l’ex leader Shelly Yachimovich, o dalle proteste del 2011 contro il carovita, come la giovane e rossa Stav Shaffir. E proprio lei, che a 29 anni è la più giovane deputata della Knesset, è diventata in poche ore un fenomeno politico per un discorso improvvisato tenuto di fronte agli scranni mezzi vuoti del Parlamento, in cui ha accusato la destra di servire soltanto i propri interessi e quelli degli abitanti degli insediamenti in territorio palestinese. YouTube ha poi fatto rimbalzare quei tre minuti intitolati “Chi è un sionista?” che, in una settimana, l’hanno aiutata ad aggiudicarsi il secondo posto sulla lista delle primarie laburiste. E che raccontano, fondendo l’accento dell’attivista sociale ai toni della tradizione storico-politica dello stato d’Israele, la nuova sfida sociale che sta a cuore alla classe media: “Non fateci prediche sul sionismo, perché il vero sionismo significa dividere il budget in maniera equa tra tutti i cittadini del paese. Il vero sionismo è prendersi cura dei deboli. Il vero sionismo è solidarietà, non soltanto in battaglia ma nella vita di tutti i giorni”.
Per inviare la propria opinione al Foglio, telefoanre 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante